Vincenzo Morello

giornalista e politico italiano (1860-1933)

Vincenzo Morello, noto anche con lo pseudonimo di Rastignac (1860 – 1933), giornalista e politico italiano.

Vincenzo Morello, fotografato da Mario Nunes Vais

L'energia letteraria

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  • Il simbolismo fu l'opera di reazione del giovine spiritualismo francese contro il naturalismo di Zola. Come i romantici si erano in massa ribellati ai Greci ed ai Romani, così i nuovi spiritualisti si ribellarono ai conquistatori dei mercati, delle miniere, delle bettole, che nei libri di Zola occupavano e ingombravano tutti i campi della vita. Quella fitta massa di umanità che si muoveva gravemente con tutto il peso della sua carne e delle sue ossa; tutta quella fitta rete di sistemi nervosi che obbediva severamente e scientificamente alle leggi inflessibili del determinismo; tutta quella brutale verità e realtà che pretendeva di assurgere alle più alte vette letterarie con le volgari esplosioni del gergo e le violente espressioni della natura, offendeva gli squisiti gusti e i raffinati sensi della nuova generazione avida di sogni, che il preraffaelismo da una parte ed il wagnerismo dall'altra avevano cominciato a educare alle meravigliose avventure dell'allegoria storica e della filosofia trascendentale. (pp. 199-200)
  • Solo un belga, il Maeterlinck, è riuscito a dare al simbolismo un carattere e una impronta, che se non possono aspirare all'onore dell'originalità, possono almeno diventare argomento di intellettuale curiosità. Solo un belga poté fare dell'arte con gli elementi critici del simbolismo. E per questo egli ebbe, oltre che per la lingua, immediato diritto di cittadinanza nella letteratura francese. (p. 201)
  • Spinoza fu il più rigido, e, quel che val meglio, il più concludente fra i critici della morale cristiana, e allo stesso tempo il più felice iniziatore della scienza positiva moderna e il più sicuro annunziatore della morale utilitaria. Egli fu il primo ad affermare i diritti della vita, e di contro alle sentenze dei neoplatonici e dei cristiani, che la saggezza riponevano nella preparazione alla morte – sapientia mortis comentatio – primo a glorificare la ragione della vita come la vera sapienza, e la perseveranza dell'essere come la vera virtù: Sapientia non mortis sed vitae meditatio est. E come nella fisica, proclamò la solidarietà assoluta dell'anima col corpo, e l'impossibilità dell'esistenza dell'anima dopo la dissoluzione del corpo; cosi, come conseguenza, nella morale, proclamò la corrispondenza del concetto di bene col concetto di utile: bene tutto quello ch'è utile; male, tutto quello che costituisce un impedimento alla gioia. (pp. 218-219)

Nell'arte e nella vita

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  • L'arte, per lei [Sarah Bernhardt], non è nel metodo o nel contenuto di questa o di quella scuola: l'arte per lei, è nella poesia. Ed è poesia tutta la forza che accresce ed illumina gli atti, le parole, i sentimenti della vita umana. (p. 261)
  • Come un generale che nelle ore decisive raccoglie nel suo pugno tutto il nerbo delle forze, poi le lancia nel campo per ottenere con la massima rapidità possibile il massimo possibile di azione: cosi pare che Sarah Bernhardt raccolga ormai, sera per sera, nel piccolo campo del palcoscenico, tutte le sue forze fisiche e intellettuali tutto il calore del suo sentimento e tutta l'energia del suo sistema nervoso, per dare nell'attimo fuggente il massimo grado di espressione e di significazione alla parola, al gesto, all'atteggiamento, che devono concorrere a creare e a dare l'illusione della vita nel personaggio di cui s'investe. (p. 262)
  • Ogni momento della recitazione di Sarah Bernhardt è un momento poetico; ogni movimento contiene una linea di bellezza, un'anima d'arte, che lo rende utile, e quasi vorrei dire esteticamente inevitabile. Ella parte, evidentemente, da questo principio fondamentale, che la figura umana deve sempre e tutta comparire sul palcoscenico, come la statua sul plinto; che la figura umana deve sempre e tutta significare agli occhi del pubblico, finché non sparisce nella morte, o dietro il sipario, la vita del personaggio; quindi ella è sempre in piedi sulla scena, e difficilmente, e solo quando l'assoluta necessità della parte lo impone, sta seduta, ma per poco. (pp. 266-267)
  • Strane vibrazioni, strani scoppi nervosi, nella parola, nello sguardo, nel gesto: e in mezzo a tutto questo una dolce nota d'amore, che zampilla fresca e lucente come un sorriso infantile, e fa sognare: ecco l'arte di Eleonora Duse. (p. 273)
  • [Eleonora Duse] La figura della donna, fine ed elegante: il volto pallido e dolente, a cui il candido sorriso irregolare accresce tormento più che non dia letizie; la parola acuta, tagliente, mordente, che basta da se sola a rendere il significato delle cose; tutta la sua persona e tutta la sua intelligenza rivelano la donna moderna, la donna capace di sentire la realtà e di darle l'espressione artistica più immediata e più vera. Eppure, ella ha, da qualche tempo, la nostalgia dell'antico: ella si tortura nel pensiero di far qualcosa di diverso di quello che ha fatto fino ad ora: ella si sforza, quasi, di uscire da se stessa, di rifarsi un nuovo carattere, un nuovo metodo, un nuovo sistema d'arte: di distruggersi insomma, per ricrearsi in una forma, che non sia più del nostro tempo, e neppure della nostra letteratura. Ella sogna la tragedia; ella, delicata e tormentata anima cresciuta nelle intime lotte e nelle complicate tristezze del nostro tempo, sogna le gravi istorie e le gravi fortune create dai fati, indipendentemente dalla forza e dalla volontà individuale. (p. 273-274)
  • Che cosa è la Duse, se non la vera e grande rappresentante dello squilibrio nervoso della nostra società e della nostra vita!
    Eleonora Duse significa sulla scena: la prevalenza, il trionfo del sistema nervoso sul sistema muscolare: la glorificazione dell'emozione interiore sull'emozione esteriore: la vittoria della specifica coscienza dell'individuo sulla coscienza generica del tipo. (p. 280)
  • [Tina Di Lorenzo] La caratteristica principale di questa attrice è la perfezione della dizione. Ella non si affida per gli effetti scenici al gesto, alla mimica in genere; ma alla dizione. Il sentimento è per lei nella parola, e l'espressione del sentimento è nel modo di dire, o forse meglio di scolpire e di colorire la parola. (p. 293)
  • [Tina Di Lorenzo] Dotata di una voce armoniosa, che può facilmente seguire tutta la gamma delle passioni umane, ella l'adopera con una rara sapienza e con una rara abilità, specialmente nei due termini estremi, nella gioia e nel dolore. La parola ride veramente sulle sue labbra nei momenti di letizia o di malizia e piange vermente nei momenti di rammarico o di dolore o di dispetto. (p. 293)
  • [Tina Di Lorenzo] La sua figura, che non ha nulla delle irrequietezze e degli spasimi della donna moderna, pura nella linea e nel contorno, serena nella sicura compostezza di tutta la persona, par quella di una Musa, staccata da un bassorilievo di un antico monumento greco. Ella non conosce il mondo che dall'arco del palcoscenico, non conosce l'umanità che nella simulazione dell'arte rappresentativa. Per questo, dicono, non è abbastanza cattiva in certe parti, non è abbastanza tormentata in certe altre, e non è in genere abbastanza convinta nella lotta di certe complicate passioni umane, attraverso le quali bisogna essere passati, per comprenderle e all'occasione risentirle e interessarsene. Osservazioni di volgarità incontestabile, a me pare, e che non val la pena di discutere, e forse neppure di enunciare. (pp. 295-296)

Bibliografia

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