Terry Nation

sceneggiatore gallese (1930–1997)

Terry Nation (1930 – 1997), sceneggiatore gallese.

I sopravvissuti modifica

Incipit modifica

Al principio il Signore disse: «Il mio nome sarà conosciuto da tutti i popoli della terra». Entro un'ora rivelò il suo nome a dieci persone.
Nell'ora successiva ciascuna di queste persone ne incontrò altre dieci e disse loro il nome del Signore.
Dopo quattro ore, ciascuno dei mille e duecento discepoli sussurrò il nome del Signore ad altri dieci individui.
E così via. Quante ore dovettero trascorrere prima che il nome del Signore giungesse a tutti i popoli della Terra?
Da il buon libro dei passatempi per bambini (1850)
(Nel 1850 la popolazione mondiale si aggirava sul miliardo di esseri umani. La soluzione del problema era una cifra che si trovava tra le sette e le otto ore. Oggi la soluzione potrebbe situarsi tra le otto e le nove ore).

Citazioni modifica

  • In quel giorno soltanto, più di seimila persone erano transitate attraverso l'aeroporto di Londra. Le loro destinazioni comprendevano tutte le principali città del mondo.
    L'uomo ammalato si chiamava Robert Jorden Mills. Era giunto in volo da Mosca a Parigi; aveva trascorso una notte all'Hilton, poi si era imbarcato su un apparecchio delle Linee Aeree Britanniche per Londra. Si era sentito male pochi minuti dopo la partenza. Quattro giorni più tardi, moriva nel reparto isolamento di un ospedale londinese.
    Mary Saunders, hostess delle Linee Aeree Britanniche, pernottò in un albergo di New York. Avrebbe dovuto trovarsi all'aeroporto Kennedy per il volo del mattino successivo. Si sentì male due ore prima del decollo. (p. 12)
  • «Rapporti inviati dalle organizzazioni automobilistiche parlano di massicci ingombri che si starebbero creando nella zona di Londra. La polizia stradale consiglia ai guidatori di ritardare il più possibile il proprio rientro a casa per evitare ulteriori congestioni. Per la massima parte, le difficoltà con il traffico sono state causate dalle interruzioni nella erogazione della corrente elettrica. Le notizie dall'interno hanno riportato in prevalenza un accentuato assenteismo nelle industrie. Numerosi negozi e fabbriche sono stati costretti alla chiusura. Anche i trasporti pubblici e i servizi sono stati duramente colpiti. Un portavoce ministeriale afferma che potrebbero trascorrere diversi giorni prima che il peggio dell'epidemia di 'influenza' possa venir superato e le cose tornino alla normalità.
    E adesso le notizie dall'estero. Dopo ventiquattr'ora dalla sua interruzione, a New York manca ancora la corrente elettrica. Si calcola che più della metà delle forze lavorative della città sia stata contagiata dal virus dell'influenza, e il sindaco ha proclamato lo stato di emergenza. Fonti autorevoli a Roma e a Parigi comunicano una crescente apprensione delle autorità sanitarie a proposito del rapido diffondersi del virus. Si sono verificati alcuni decessi in entrambe le città, ma non si è avuta una diretta conferma che debbano essere messi in relazione con il contagio.
    Per il momento, questo è tutto. Altre notizie dall'interno e dall'estero verranno trasmesse con il bollettino delle sei.»
    La voce di un vivace presentatore riprese il programma musicale e annunciò che il prossimo disco era «dedicato a tutta quella brava gente che si trovava a letto con 'l'influenza asiatica' e non si sentiva perciò troppo in forma». Il disco era intitolato Hong Kong Blues. (pp. 23-24)
  • Abby fermò la macchina davanti al portico del cimitero, lungo il vialetto della chiesa. Si era sposata in quella stessa chiesa, e Peter vi era stato battezzato.
    Il suono dei suoi passi sul lastricato suscitava echi sonori mentre avanzava lentamente. Girò la maniglia di ferro e spinse la porta. Guardò dentro, si voltò immediatamente, e ripercorse di corsa metà del viale verso il portico. C'era della gente in chiesa. Con quello sguardo rapido non le fu possibile riconoscere nessuno o dire quante fossero quelle persone. Si rese soltanto conto che erano tutte morte.
    Il suo sguardo seguì la guglia della chiesa su nel pallido azzurro del cielo in quel pomeriggio di ottobre. La supplica che era andata prendendo forma sempre più nettamente fin da quando aveva raggiunto il villaggio le salì adesso alle labbra in una preghiera piena di terrore.
    «Signore Iddio, fa' che non sia io l'unica rimasta su questa terra!» (p. 50)
  • Quando le modeste provviste di cibo saccheggiate qua e là, terminavano, era necessario uscire nella neve per rifornirsi nelle case abbandonate e nei negozi. I tragitti erano per lo più brevi, limitati alla distanza che si sarebbe potuto percorrere a piedi nelle pche ore di luce della giornata. E limitati inoltre, dalla capacità di trasportare a braccia le merci. Le strade erano impraticabili per i veicoli. Il freddo intenso rallentò la decomposizione dei cadaveri, rendendo se non altro sopportabile l'immediato contatto con i morti.
    Molti dei principi così a lungo rispettati e molti ideali persero ogni valore nel gelo di quel lungo inverno. Caddero tutte le illusioni e la verità nuda e cruda divenne evidente. Per sopravvivere erano necessarie due sole cose: un rifugio riscaldato e dei viveri. Soddisfare queste due necessità divenne l'unica preoccupazione dei sopravvissuti. Per il cibo si trovarono a competere con gli animali, branchi di cani, topi, e con i propri simili. Tutti quelli che avevano cercato di isolarsi ebbero le difficoltà più gravi. Nelle zone remote e difficilmente accessibili, le provviste si esaurirono in fretta. Quando non rimase più nulla, taluni vinsero il disgusto di mangiare la carne umana e continuarono a vivere.
    Le città erano, al contempo, una serie di camere mortuarie per il gran numero di morti e riserve preziose di cibo e di indumenti. Le loro ricchezze erano state protette dal contagio e dal fetore della corruzione. Il lungo gelo ostacolò la putrefazione e rese possibile l'accesso alle aree urbane.
    Quelli che tornarono ad abitarvi vissero bene durante l'inverno. Ci fu un periodo di abbondanza. In gruppi o come semplici individui, la gente proclamava la propria supremazia su interi quartieri di case e di negozi. Gli ultimi arrivati di rado contestavano quel diritto. Si limitavano semplicemente a occupare le zone ancora libere. C'erano riserve sufficienti per tutti.
    A Natale, circa un migliaio e più di persone viveva a Londra. Si erano riparate nei quartieri commerciali o nelle vicinanze dei centri di acquisto, facendo man bassa dei cibi in scatola o sotto vetro. C'era carenza unicamente di carne fresca e di verdura, alcuni supplivano a quella mancanza integrando con oculatezza la propria dieta con pillole di vitamine. L'acqua potabile costituiva un problema costante. Lavare gli abiti divenne una fatica inutile. La gente si limitava a scartare gli abiti sporchi e a sostituirli con indumenti nuovi.
    Si viveva nell'abbondanza e nel tepore, ma anche nella paura. Ogni giorno la gente scrutava il cielo, paventando il ritorno del sole e il conseguente disgelo, che l'avrebbe costretta ad andarsene di nuovo. Ma per tutto gennaio e febbraio, il gelo continuò e l'atmosfera si mantenne respirabile.
    Il gruppo di venti individui che aveva stabilito diritti territoriali su Piccadilly e sulla zona circostante, fece alcuni preparativi per l'evacuazione. Servendosi di un bulldozer che si trovava in un cantiere di costruzioni, liberarono dalla neve tratti di strada. Rimisero in funzione e rifornirono di carburante decine di furgoni. Li caricarono al massimo di viveri, indumenti e attrezzi, per trovarsi pronti quando fosse venuto il momento di allontanarsi dalla città.
    La cosa si verificò ai primi di marzo. Era cominciato il vento che aveva portato piogge insistenti da ovest. La morsa del ghiaccio si allentò ben presto e la neve gelata si trasformò in fetta in un pantano. Le fogne, bloccate fin dall'inizio dell'invero, cominciarono a trattenere le acque. Le zone basse si allargarono rapidamente. Seminterrati e cantine furono i primi a essere sommersi. Pesanti falde di neve ammucchiatesi sui tetti presero a sciogliersi e trascinarono con sé le tegole. Ampi squarci nella pavimentazione stradale e nelle costruzioni in muratura cominciarono a manifestarsi, evidentemente provocati dall'espansione del ghiaccio. Conduttore e serbatoi dove l'acqua ancora stagnava erano stati spaccati dal gelo.
    E con il rialzo della temperatura, il fetore dei morti in decomposizione si fece risentire insieme a quello delle macerie delle città fatiscenti.
    I sopravvissuti che avevano superato l'inverno, si allontanarono dalle zone urbane, abbandonandole alle mosche e ai topi. (pp. 112-113)
  • Il paesaggio che li circondava era silenzioso quanto deserto. Era un silenzio che talvolta incutea loro un timore reverenziale. Altre volte li terrorizzava. Li circondava, tangibile e intenso. Le loro voci sembravano attenuate dal suo incombere. Assorbiva ogni suono, soffocando rapidamente tutti i rumori che venivano a contrastare la sua immobilità. Il silenzio era un requiem senza fine. (p. 126)
  • Alcune strade erano ormai scomparse e molte altre erano pressoché impraticabili. Ortiche, arbusti e rovi coprivano ogni cosa. Rimanevano libere soltanto le piccole sacche di campi coltivati intorno alle comunità. Come isole in un mare ribollente di vegetazione. I sopravvissuti si trovarono rinchiusi in un mondo che finiva ai confini delle loro proprietà. Mangiavano e lavoravano. E lavoravano per mangiare. La necessità di non interrompere quel ciclo non permetteva altre alternative. Erano sopravvissuti cinque anni e si erano procurati da soli i mezzi per sopravvivere. La vita non concedeva proroghe. Ogni giorno era occupato soltanto dalla preoccupazione per il tempo, i raccolti, la salute degli animali domestici. Il più lontano futuro era rappresentato dall'inverno o dalla primavera successiva. Non facevano progetti che andassero oltre i sei mesi a venire. Al di fuori delle loro occupazioni rurali, non c'era quasi spazio per altre attività. Sfruttavano ancora le scorte di scarpe e indumenti. Continuavano ancora ad adattare gli oggetti del passato ai loro attuali bisogni. (p. 209)

Explicit modifica

Il tempo rimase bello per una settimana. Per tutto questo periodo continuarono a tenere il fuoco acceso sulla spiaggia. Nonostante la loro fame disperata, attesero fino alla prima tempesta, ed ebbero così la certezza che Abby non sarebbe mai arrivata. Poi si incamminarono verso l'interno. Mentre si trascinavano fuori della spiaggia, Jenny camminava a fianco di Greg.
«Che cosa ne sarà di noi?»
Lui scosse il capo. «Non lo so, Jen.» Poi soggiunse: «Ma sopravviveremo. Sopravviveremo».

Bibliografia modifica

  • Terry Nation, I sopravvissuti, Sperling & Kupfer editori, 1979

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