Amílcar Cabral

politico guineense

Amílcar Lopes da Costa Cabral (1924 – 1973), politico guineense.

Cabral nel 1964

Citazioni di Amílcar Cabral modifica

  • [Sul Capo Verde] Son dieci caravelle | in cerca di Infinito... | Son dieci caravelle, | senza vela, | in cerca di Infinito... || Alla tempesta e al vento camminano... | e navigano dolcemente | le isole, le figlie | del nero continente.[1]
  • In Portogallo mi sono riafricanizzato studiando l'economia e i problemi politici del mio paese. Nel 1952, quando ritornai in Guinea ed ebbi un posto nell'amministrazione coloniale, cominciai a vedere veramente lo sfruttamento del mio popolo. (da un intervista di Newsweek, marzo 1970)[2]
  • La gente dei villaggi deve pagare una quantità di tasse - per i matrimoni, per i funerali, persino per le feste tradizionali - senza alcun compenso nel campo sociale. Essa deve vendere il riso e le arachidi ai prezzi prestabili dalle compagnie portoghesi che detengono le concessioni. Questo popolo, definito "indigeno", che costituisce il 99.7 per cento della popolazione, non ha diritti civili o politici. Soltanto una minima élite di "assimilados" ha qualche diritto concesso dalla Costituzione portoghese. Per essere un "assimilado" devi terminare la scuola primaria, ma per poter andare a scuola devi essere prima di tutto un "assimilado". (da un intervista di Newsweek, marzo 1970)[2]

Da Messaggio di Capodanno del gennaio 1969 nella Guinea rivoluzionaria

Estratti dal messaggio registrato negli studi di Radio Libertacao e trasmessi il 1 gennaio 1969; riportato in Resistenza.org, 15 gennaio 2018

  • Come tutti sapete, siamo partiti praticamente dal nulla. Di fronte alla repressione e ai crimini dei colonialisti portoghesi siamo riusciti a organizzare e consolidare il nostro Partito e, passo dopo passo, a sviluppare la lotta armata in Guinea, e ora abbiamo liberato dal dominio coloniale più dei due terzi del nostro paese e più della metà della nostra popolazione.
  • Per sei anni i criminali colonialisti portoghesi, con l'aiuto dei loro alleati, hanno usato tutti i mezzi di distruzione disponibili contro di noi e hanno aumentato di sette volte la forza delle loro truppe; hanno cambiato il loro governatore e i loro comandanti; hanno provato ogni sorta di propaganda, con la menzogna e gli intrighi politici per smobilitare il nostro popolo e i nostri combattenti; hanno commesso atti di aggressione contro i paesi vicini e hanno fatto tutto il possibile per fermare la nostra lotta, ma non ci sono riusciti. Al contrario, il nostro popolo sta diventando più consapevole della sua forza e il nostro Partito si irrobustisce ogni giorno, le nostre forze armate sono più potenti che mai, con più combattenti e quadri, con maggiore esperienza e armi più potenti. Questa, compatrioti e compagni, è la più grande vittoria del nostro popolo e del nostro grande Partito in questi sei anni: il successo della nostra lotta, il costante miglioramento della nostra organizzazione politica e militare, la certezza sempre crescente che nessun potere sulla terra può fermare l'avanzata del nostro popolo verso l'indipendenza nazionale.
  • Il nostro popolo, che si trovi nelle città o nelle campagne, conosce le promesse dei criminali colonialisti portoghesi, ma soprattutto sa che la nostra dignità di popolo africano, la nostra lotta, l'indipendenza che abbiamo già vinto nel gran parte della Guinea, non possono essere comprate.
  • All'inizio di questo nuovo anno di lotta, dobbiamo dire ai criminali colonialisti portoghesi, forte e chiaro, che se questo è il modo in cui intendono le cose, pagheranno caramente, molto caramente, la loro permanenza e anzi saranno cacciati dal nostro Paese!
  • Dobbiamo infliggere punizioni severe ai traditori tra noi, a quelli che continuano a servire i criminali colonialisti portoghesi contro gli interessi del nostro popolo. Mostreremo chiaramente a questi traditori che è ora di decidere: o cessano di servire i colonialisti portoghesi o saranno annientati.

Da Dieci anni di lotta armata

Dal discorso alla Quarta Commissione dell'Assemblea generale dell'Onu, 16 ottobre 1972; riportato ne L'Unità, 23 gennaio 1973

  • Le forze nazionali, il cui compito è di attaccare sistematicamente le truppe colonialiste per completare la liberazione del paese, come forze armate locali che assicurano la difesa e la sicurezza delle regioni liberate, sono oggi più potenti che mai, temprate da un'esperienza di quasi dieci anni di lotta. Prova ne è che i colonialisti non sono capaci di recuperare nemmeno piccole parti delle regioni liberate, subiscono sempre maggiori perdite e che, nello stesso tempo, il popolo sta loro infliggendo colpi ogni giorno più duri, anche nei due principali centri urbani come la capitale Bissau e Bafata, la seconda città del paese.
  • Questi dieci anni di lotta non hanno solo forgiato una nazione africana nuova e solida, ma hanno anche fatto nascere un uomo nuovo ed una donna nuova, esseri umani coscienti dei loro diritti e doveri, sul suolo della loro patria africana.
  • Ecco la più grande vittoria del popolo della Guinea e del Capo Verde, perché è una vittoria sull'ignoranza, la paura e le malattie, flagelli imposti a questo popolo e all'uomo africano durante più di un secolo dal colonialismo portoghese.
  • Fino alla morte di Salazar, la cui arcaica mentalità non poteva ammettere che neppure concessioni fittizie fossero fatte agli africani, non c'era altra via che la radicalizzazione della guerra coloniale. Salazar, che ripeteva a chi voleva capirlo «L'Africa non esiste» (affermazione che esprime sì un razzismo demenziale, ma sintetizza anche alla perfezione i principi e la pratica della politica coloniale portoghese in tutti i tempi), alla sua età non poteva sopravvivere a questa prova dell'esistenza dell'Africa: la resistenza armata vittoriosa dei popoli africani alla guerra colonialista portoghese.
  • Salazar non era che un fanatico credente del dogma della superiorità dell'europeo e dell'inferiorità dell'africano. Come tutti sanno, Salazar è morto malato d'Africa. Il suo successore, Marcelo Caetano, oltre a essere un teorico di questo dogma, quale professore di diritto coloniale alla Facoltà di Diritto di Lisbona, lo ha applicato nella pratica come ministro delle colonie durante molti anni. Egli che pretende, come afferma spesso, di conoscere i negri, ha optato per una politica nuova che nei rapporti sociali deve essere quella del buon padrone che stringe la mano al suo boy; e che sul piano politico non è, all'interno, che la vecchia tattica del bastone e la carota, mentre all'esterno consiste nell'utilizzare gli argomenti, le parole stesse dell'avversario per confonderli, conservando intatta la propria posizione.
  • Avendo dovuto ammettere di non poter vincere la guerra, i colonialisti sanno ormai che nessuno stratagemma potrà fermare la popolazione di queste regioni, che niente potrà arrestare la sua marcia verso la liberazione totale e l'indipendenza. Essi cercano dunque di mantenere il potere costi quel che costi, utilizzando anche largamente i mezzi di cui dispongono per distruggere il più gran numero possibile di vite umane e il massimo di beni materiali.
  • Riaffermiamo la solidarietà del nostro popolo non soltanto verso i popoli africani fratelli dell'Angola e del Mosambico, ma anche nei confronti del popolo del Portogallo che non abbiamo mai confuso con il colonialismo portoghese. Il mio popolo è più che mai convinto che la lotta e la liberazione totale della Guinea e del Capo Verde servono gli interessi profondi del popolo del Portogallo, con il quale esso si augura di stabilire e sviluppare i migliori rapporti di cooperazione, di solidarietà e d'amicizia, nell'indipendenza e al servizio del vero progresso dei due Paesi.

Note modifica

  1. Citato in Maria de Lourdes Jesus, Racordai, Vengo da un'isola di Capo Verde Sou de uma ilha de Cabo Verde, illustrazioni di Maria Alice Fernandes, Sinnos Editrice, Roma, 1996, p. 147. ISBN 88-86061-20-X
  2. a b Da Ucciso Cabral, il capo della guerriglia in Guinea, La Stampa, 22 gennaio 1973

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