Tommaso Landolfi: differenze tra le versioni

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*Ho triste e grave il cuore (il mio così pieno di contraddizioni, come poi quello di tutti) per un minuto avvenimento che non so ormai se avrò la forza (fisica) di riferire. Le acacie del cortile (che figurano la mia vita, me stesso, come detto in qualche luogo) avevano avuto un figliuolo o una figliuola (mia figlia dunque), nato o nata in un angolo del cortile stesso in posto poco adatto. Naturalmente da mio padre, il responsabile poi dell'identificazione, e da me era stato dato severissimo ordine che nessuno scerpasse o toccasse la tenera piantina; ma il vento furioso, o qualcuno che non vuol confessarlo, la ha da qualche giorno fa cavata, e vano è risultato il ripiantarla in terra buona e l'averne cura, e la piantina è morta. (p. 78)
*L'esistenza è una condanna senza appello e senza riscatto; niente vi è da fare contro di essa; ed è forse la nostra speranza soltanto, il nostro bisogno di riprender fiato come dall'acuto dolore d'una ferita, che ha immaginato uno stato altro dall'esistere, un nulla. Forse, mio Dio, tutto esiste, è esistito, esisterà in eterno. Non c'è niente da fare contro la vita, fuorché vivere, press'a poco come in un posto chiuso dove si sia soffocati dal fumo del tabacco non c'è di meglio che fumare. (p. 113)
*Lungi dall'essere il movente di tutte le nostre azioni (come in alcuni scrittori si legge), l'[[egoismo]] è la più difficile delle conquiste: troppe cose di vari ordini vi si oppongono. L'arte stessa può essere concepita quale un progressivo avvicinamento all'egoismo, che resta tuttavia irraggiungibile. Esso è insomma, e in fondo per tutti, perenne aspirazione mai appagata; e conquista tanto più difficile in quanto è ben inteso che esso sia una male, benché necessario. (pp. 155-156)
*Il mio culto dei luoghi comuni: mio modo di essere umano, di essere uomo. – Ma qui sembrerebbe implicito un omaggio a ciò che gli altri hanno fatto: in realtà i luoghi comuni non o non sempre si direbbero cose fatte dagli altri. Da chi o da che vengono dunque? Si pensa quasi a una loro origine divina, alle idee per es. di un De Maistre sul linguaggio, e a un loro valore mistico. (p. 158-159)
*[...] da qualche tempo sembra che mi limiti a mettere nelle cose che faccio un che purchessia e non tutto quello che ci può stare. Insomma una sorta di malafede sarebbe al postutto possibile? Poca chiarezza e prontezza di idee, questo è certo e del resto scontato; e pigrizia, tanto il lettore può sempre pensare di non capire per colpa sua (anch'io ce n'ho messo del tempo a concludere che in certi casi era l'autore stesso ad avere le idee confuse), e tanto il poco che gli si dà è sempre troppo per lui, sicché da ultimo basta raggiungere una generica dignità. (p. 173)