Alfred Kubin: differenze tra le versioni
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*«Ma perché siamo tutti ancora vivi se siamo già condannati? Se ora mi ammalassi, neanche il diavolo si occuperebbe di me ». Una sorda paura s'impossessò di me: «''Non voglio morire, non voglio morire!''» smarrito mi tenevo la testa tra le mani. «Non ci sono esseri superiori» disse dentro di me lo sconforto. «Due gambe, dei canali ossei sostengono tutto il mio mondo, un mondo di dolori e di errori! La cosa più spaventosa è il corpo». La paura della morte mi sconvolgeva: «Che cosa dovrà ancora sopportare il mio corpo, in che raffinati strumenti di tortura si trasformeranno i suoi mille organi? Ah, se potessi smettere di ''pensare''! Ma il pensiero funziona da sé. Non esistono certezze alle quali non si contrappongano delle incertezze. Il groviglio è senza fine... io sono dannato! Nel mio ventre trascino schifo e sozzura, e se mai dovessi arrivare a una grande passione, ecco che subito dopo viene la vigliaccheria. So soltanto una cosa: per quanto mi divincoli, devo lasciare che l'inevitabile, la [[Morte|morte]], si avvicini sempre più, di minuto in minuto. Non ho nemmeno la forza di suicidarmi: sono condannato a una perpetua infelicità». Sospirai. (p. 210)
*Poi il mostro si contrasse rapidamente, solo il suo sesso non rimpiccioliva: alla fine egli rimase attaccato come un parassita insignificante a un fallo di proporzioni assurde. Poi il parassita cadde come un porro disseccato, e il terribile membro, simile a un mostruoso serpente, strisciò sulla terra, si contorse come un verme e scomparve rimpicciolendo in un cunicolo sotterraneo dello Stato del Sogno. (p. 278)
*La realtà mi sembrava una ripugnante caricatura dello Stato del Sogno. Oramai mi dava sollievo soltanto il pensiero di scomparire, di morire. Mi aggrappavo alla morte con tutto il fervore di cui ero ancora capace. L'amavo in un'estasi, come se fosse stata una donna, ero perso in lei. Nelle notti che seguirono, piene di luce lunare, mi abbandonavo cornpletamente a lei, la contemplavo, la sentivo, e godevo di una voluttà ultraterrena. Vivevo nell'intimità di quell'immensa sovrana, di quella gloriosa signora del mondo, la cui bellezza è indescrivibile per tutti coloro che la sentono. Era la mia ultima, la mia più grande felicità. La riconoscevo in ogni foglia caduta, nell'erba bagnata, persino in una zolla di terra. Cedere alle sue carezze feline, percepire come amplessi d'amore le sue distruzioni, ciò mi rendeva felice! [...] Pensavo alla mia morte come a una gioia grandissima, celeste, come all'inizio di
*Il demiurgo è un ibrido. (p. 293)
:''Der Demiurg ist ein Zwitter''.
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