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==''Novecento''==
===[[Incipit]]===
Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa… e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire…dire... Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi…noi... Eppure c'era sempre uno, uno solo, uno che per primo…primo... la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte…ponte... magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni…pantaloni... alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare…mare... e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov'era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (''piano e lentamente''): l'America. Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l'aveva fatta lui, l'America.<!--(p. 11)-->
 
===Citazioni===
*Quello che per primo vede l'America. Su ogni nave ce n'è uno. E non bisogna pensare che siano cose che succedono per caso, no... e nemmeno per una questione di diottrie, è il destino, quello. Quella è gente che da sempre c'aveva già quell'istante stampato nella vita. E quando erano bambini, tu potevi guardarli negli occhi, e se guardavi bene, già la vedevi, l'America, già lì pronta a scattare, a scivolare giù per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da lì alla lingua, fin dentro quel grido (''gridando''), AMERICA, c'era già, in quegli occhi, di bambino, tutta l'America.<br>Lì, ad aspettare.<br>Questo me l'ha insegnato Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, il più grande pianista che abbia mai suonato sull'Oceano. Negli [[occhio|occhi]] della gente si [[vedere|vede]] quello che vedranno, non quello che hanno visto. (p. 12)
*A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, ''fran'', giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, ''fran'', cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, ''fran''. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. ''Fran''. Cos'è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, ''fran''. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto fra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buona notte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto: ''fran''. Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave". Ci rimasi secco. ''Fran''.
*Io ne ho viste, di Americhe... Sei anni su quella nave, cinque, sei viaggi ogni anno, dall'Europa all'America e ritorno, sempre a mollo nell'Oceano, quando scendevi a terra non riuscivi neanche a pisciare dritto nel cesso. Lui era fermo, lui, ma tu, tu continuavi a dondolare. Perché da una nave si può anche scendere: ma dall'[[Oceano]]... (p. 12)
*Adesso so che quel giorno Novecento aveva deciso di sedersi davanti ai tasti bianchi e neri della sua vita e di iniziare a suonare una musica assurda e geniale, complicata ma bella, la più grande di tutte. E che su quella musica avrebbe ballato quel che rimaneva dei suoi anni. E che mai più sarebbe stato infelice.
*[...] mi misi a suonare. Lui se ne stette lì a fissarmi senza muovere un muscolo. Aspettò che finissi, senza dire una parola. Poi mi chiese:<br>"Cos'era?".<br>"Non lo so."<br>Gli si illuminarono gli occhi.<br>"Quando non sai cos'è, allora è jazz."<br>Poi fece una cosa strana con la bocca, forse era un sorriso, aveva un [[denti d'oro|dente d'oro]] proprio qui, così in centro che sembrava l'avesse messo in vetrina per venderlo.<br>"Ci vanno matti, per quella musica, lassù." (p. 13)
*È un lavoro di cesello. Ho disarmato l'infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri. Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l'altro, incantati, immobili, fermati lì per sempre a segnare la rotta di questo viaggio strano che a nessuno ho raccontato se non a te.
*[[suonare|Suonavamo]] perché l'Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il [[tempo]], e si dimenticasse dov'era e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti [[Dio]]. E suonavamo il [[ragtime]], perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede. Su cui Dio ballava, se solo era negro. (pp. 13-14)
*Andavo di [[fantasia]], e di ricordi, è quello che ti rimane da fare, alle volte, per salvarti, non c'è più nient'altro. Un trucco da poveri, ma funziona sempre.
*Non credo che ci sia bisogno di spiegarvi come questa nave sia, in molti sensi, una nave straordinaria e in definitiva unica. Al comando del capitano Smith, noto claustrofobo e uomo di grande saggezza (avrete certo notato che vive in una scialuppa di salvataggio), lavora per voi uno staff praticamente unico di professionisti assolutamente fuori dall'ordinario: Paul Siezinskj, timoniere, ex sacerdote polacco, sensitivo, pranoterapeuta, purtroppo cieco... Bill Joung, marconista, grande giocatore di scacchi, mancino, balbuziente... il medico di bordo, dott. Klausermanspitzwegensdorfentag, aveste urgenza di chiamarlo siete fregati..., ma soprattutto:<br>Monsieur Pardin,<br>lo chef,<br>direttamente proveniente da Parigi dove peraltro è subito tornato dopo aver verificato di persona la curiosa circostanza che vede questa nave priva di cucine, come ha argutamente notato, tra gli altri, Monsieur Camembert, cabina 12, che oggi si è lamentato per aver trovato il lavabo pieno di maionese, cosa strana, perché di solito nei lavabi teniamo gli affettati, questo per via dell'inesistenza delle cucine, cosa a cui va attribuita tra l'altro l'assenza su questa nave di un vero cuoco, quale certamente era Monsieur Pardin, subito tornato a Parigi da cui proveniva direttamente, nell'illusione di trovare qui sopra delle cucine che invece, a rimanere fedeli ai fatti, non ci sono e questo grazie alla spiritosa dimenticanza del progettista di questa nave,l'insigne ingegner Camilleri, anoressico di fama mondiale, a cui prego di indirizzare il vostro più caloroso {{sic|applausooooooo}}...<br>(''Band in primo piano'')<br>Credetemi, non ne troverete altre di navi così: forse, se cercherete per anni ritroverete un capitano claustrofobico, un timoniere cieco, un marconista balbuziente, un dottore dal nome impronunciabile, tutti sulla stessa nave, senza cucine. (pp. 15-16)
*Cos'era? Non lo so. Quando non sai cos'è, allora è Jazz.
*"Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla". (p. 17)
*E non bisogna pensare che siano cose che succedono per [[caso]], no... e nemmeno per una questione di diottrie, è il [[destino]] quello. Quella è gente che da sempre c'aveva già quell'istante stampato nella [[vita]].
*A quel bambino incominciò a dare il suo, di nome: Danny Boodmann. L'unica vanità che si concesse in tutta la vita. Poi ci aggiunse T.D. Lemon, proprio uguale alla scritta che c'era sulla scatola di cartone, perché diceva che faceva fine avere delle [[secondo nome|lettere in mezzo al nome]]: "tutti gli avvocati ce l'hanno," confermò Burty Bum, un macchinista che era finito in galera grazie a un avvocato che si chiamava John P.T.K. Wonder. "Se fa l'avvocato lo ammazzo," sentenziò il vecchio Boodmann, però poi le due iniziali ce le lasciò, nel nome, e così venne fuori Danny Boodmann T.D. Lemon. Era un bel nome. Lo studiarono un po', ripetendolo a bassa voce, il vecchio Danny e gli altri, giù in sala macchine, con le macchine spente, a mollo nel porto di Boston. "Un bel nome," disse alla fine il vecchio Boodmann, "però gli manca qualcosa. Gli manca un gran finale." Era vero. Gli mancava un gran finale. "Aggiungiamo martedì," disse Sam Stull, che faceva il cameriere. "L'hai trovato martedì, chiamalo martedì." Danny ci pensò un po'. Poi sorrise. "È un'idea buona, Sam. L'ho trovato nel primo anno di questo nuovo, fottutissimo secolo, no? lo chiamerò Novecento." "Novecento?" "Novecento." "Ma è un numero!" "Era un numero: adesso è un nome." Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento. È perfetto. È bellissimo. Un gran nome, cristo, davvero un gran nome. Andrà lontano, con un nome così. Si chinarono sulla scatola di cartone. Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento li guardò e sorrise: loro rimasero di stucco: nessuno si aspettava che un bambino così piccolo potesse fare tutta quella merda. (pp. 20-21)
*Era fatto così, lui. Un po' come il vecchio Danny: non aveva il senso della gara, non gli fregava niente sapere chi vinceva, era il resto che lo stupiva. Tutto il resto.
*Aveva otto anni e si era già fatto avanti e indietro dall'Europa all'America una cinquantina di volte. L'Oceano era casa sua. E quanto alla terra, be', non ci aveva mai messo piede. L'aveva vista, dai porti, certo. Ma sceso, mai. Il fatto è che Danny aveva paura che glielo portassero via, con qualche storia di documenti e visti e cose del genere. Così Novecento rimaneva a bordo, sempre, e poi a un certo punto si ripartiva. A voler essere precisi, Novecento non esisteva nemmeno, per il mondo: non c'era città, parrocchia, ospedale, galera, squadra di baseball che avesse scritto da qualche parte il suo nome. Non aveva patria, non aveva data di nascita, non aveva famiglia. Aveva otto anni: ma ufficialmente non era mai nato. (p. 22)
*Sapeva ascoltare, e sapeva leggere. Non i [[libro|libri]], quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso.
*Quando si trovò il comandante di fianco, bollito dalla sorpresa, lui, letteralmente bollito, quando se lo trovò di fianco, tirò su col naso, la riccona dico, tirò su col naso e indicando il pianoforte gli chiese:<br>"Come si chiama?".<br>"Novecento."<br>"Non la canzone, il bambino."<br>"Novecento."<br>"Come la canzone?" (pp. 24-25)
*I desideri stavano strappandomi l'[[anima]]. Potevo viverli, ma non ci sono riuscito. Allora li ho incantati.
*Uno che su una nave suona la [[tromba]], non è che quando arriva la burrasca possa fare un granché. Può giusto evitare di suonare la tromba, tanto per non complicare le cose. (p. 26)
*Il [[padre]] che non sarò mai l'ho incontrato guardando un [[bambino]] morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo, bellissimo, volevo essere l'ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto.
*Quel che sapevo io era che tutte le volte, prima di iniziare a suonare, lì, in sala da ballo, Fritz Hermann, un bianco che non capiva niente di musica ma aveva una bella faccia per cui dirigeva la band, gli si avvicinava e gli diceva sottovoce:<br>"Per favore, Novecento, solo le note normali, Okay?". (p. 27)
*Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto.
*Ora, nessuno è costretto a crederlo, e io, a essere precisi, non ci crederei mai se me lo raccontassero, ma la verità dei fatti è che quel pianoforte incominciò a scivolare, sul legno della sala da ballo, e noi dietro a lui, con Novecento che suonava, e non staccava lo sguardo dai tasti, sembrava altrove, e il piano seguiva le onde e andava e tornava, e si girava su se stesso, puntava diritto verso la vetrata, e quando era arrivato a un pelo si fermava e scivolava dolcemente indietro, dico, sembrava che il mare lo cullasse, e cullasse noi, e io non ci capivo un accidente, e Novecento suonava, non smetteva un attimo, ed era chiaro, non suonava semplicemente, lui lo guidava, quel pianoforte, capito?, coi tasti, con le note, non so, lui lo guidava dove voleva, era assurdo ma era così. E mentre volteggiavamo tra i tavoli, sfiorando lampadari e poltrone, io capii che in quel momento, quel che stavamo facendo, quel che davvero stavamo facendo, era danzare con l'Oceano, noi e lui, ballerini pazzi, e perfetti, stretti in un torbido valzer, sul dorato parquet della notte. Oh yes. (pp. 29-30)
*Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla.
*Il mondo, magari, non l'aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l'anima.<br>In questo era un genio, niente da dire. Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i [[libro|libri]], quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia... Tutta scritta, addosso. Lui leggeva, e con cura infinita, catalogava, sistemava, ordinava... Ogni giorno aggiungeva un piccolo pezzo a quella immensa mappa che stava disegnandosi nella testa, immensa, la mappa del mondo, del mondo intero, da un capo all'altro, città enormi e angoli di bar, lunghi fiumi, pozzanghere, aerei, leoni, una mappa meravigliosa. (p. 33)
*La gente fa così, è cattiva con quelli che perdono.
*Insomma, qualcuno andò da Jelly Roll Morton e gli disse: su quella nave c'è uno che col pianoforte fa quel che vuole. E quando ha voglia suona il jazz, ma quando non ha voglia suona qualcosa che è come dieci jazz messi insieme. Jelly Roll Morton aveva un caratterino, lo sapevano tutti. Disse: "Come fa a suonare bene uno che non ha nemmeno le palle per scendere da una stupida nave?". E giù a ridere, come un matto, lui, l'inventore del jazz. (p. 36)
*Perdonami amico ma io non scenderò da questa nave, non scenderò... al massimo, posso scendere dalla mia [[vita]].
*Era fatto così, lui. Un po' come il vecchio Danny: non aveva il senso della gara, non gli fregava niente sapere chi vinceva,: era il resto che lo stupiva. Tutto il resto. (p. 38)
*Suonavamo perché l'Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il [[tempo]], e si dimenticasse dov'era e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti [[Dio]]. E suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede. Su cui Dio ballava, se solo era negro.
*"Lei è quello che ha inventato il jazz, vero?"<br>"Già. E tu sei quello che suona solo se ha l'Oceano sotto il culo, vero?"<br>"Già."<br>Si erano presentati. (p. 38)
*Già me la vedo la scena, arrivato lassù, quello che cerca il mio nome nella lista e non lo trova. "Come ha detto che si chiama?" "Novecento." "Nosjinskij, Notarbartolo, Novalis, Nozza..." "È che sono nato su una nave." "Prego?" "Son nato su una nave e ci sono anche morto, non so se risulta lì sopra..." "Naufragio?" "No. Esploso. Sei quintali e mezzo di dinamite. Bum." "Ah. Tutto bene adesso?" "Sì, sì, benissimo... cioè... c'è solo 'sta faccenda del braccio... si è perso un braccio... ma mi hanno assicurato..." "Manca un braccio?" "Sì. sa, nell'esplosione..." "Dovrebbero essercene un paio di là... qual è che le manca?" "Il sinistro." "Ahia." "Sarebbe?" "Ho paura che siano due destri, sa?" "Due bracci destri?" "Già. Nel caso, lei avrebbe problemi a..." "A cosa?" "Voglio dire, se prendesse un braccio destro..." "Un braccio destro al posto del sinistro?" "Sì." "Mah... no, in linea di massima... meglio un destro che niente..." "È quello che penso anch'io. Aspetti un attimo, glielo vado a prendere" "Se mai ripasso fra qualche giorno, le fosse arrivato un sinistro..." "Senta, ne ho uno bianco e uno negro..." "No, no, tinta unita... niente contro i negri eh, è solo questione di..."
*A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei [[quadro|quadri]]. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, ''fran'', giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, ''fran'', cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, ''fran''. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. ''Fran''. Cos'è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, ''fran''. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto fra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buona notte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto: ''fran''. Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave". <br>Ci rimasi secco. <br>''Fran''. (pp. 44-45)
*Certo... sai che musica però... con quelle mani, due, destre... se solo c'è un pianoforte...
*"Devo vedere una cosa, laggiù," mi disse.<br>"Quale cosa?" Non voleva dirla, e si può anche capirlo perché quando alla fine la disse, quel che disse fu:<br>"Il mare".<br>"II mare?<br>"Il mare."<br>Pensa te. A tutto potevi pensare, ma non a quello. Non volevo crederci, sapeva di presa per il culo bell'e buona. Non volevo crederci. Era la cazzata del secolo.<br>"Sono trentadue anni che lo vedi, il mare, Novecento."<br>"Da qui. Io lo voglio vedere da là. Non è la stessa cosa." (pp. 45-46)
*Ora tu pensa: un [[pianoforte]]. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88, tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu, ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita... Se quella tastiera è infinita, allora su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade. Ce n'è a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una, a scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo, quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n'è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla?
*[...] vedialla fine, d'improvviso, vedevi il [[mare]]. Non l'aveva mai visto prima, lui. Ne era rimasto fulminato. L'aveva salvato, a voler credere a quello che diceva. Diceva: "È come un urlo gigantesco che grida e grida, e quello che grida è: 'Bandabanda di cornuti, la vita è una cosa immensa, lo volete capire o no? Immensa'". (p. 47)
*"Posso rimanere anche anni, qua sopra, ma il mare non mi dirà mai nulla. Io adesso scendo, vivo sulla terra e della terra per anni, divento uno normale, poi un giorno parto, arrivo su una costa qualsiasi, alzo gli occhi e guardo il mare: è lì, io l'ascolterò gridare." (p. 47)
*Non era una di quelle persone di cui ti chiedi chissà se è felice quello. Lui era Novecento, e basta. Non ti veniva da pensare che c'entrasse qualcosa con la felicità, o col dolore. Sembrava al di là di tutto, sembrava intoccabile. Lui e la sua musica: il resto, non contava. (p. 50)
*E se io ci ripenso, mi sembra che era quella cosa lì, essere felici.
*Adesso so che quel giorno Novecento aveva deciso di sedersi davanti ai tasti bianchi e neri della sua vita e di iniziare a suonare una musica assurda e geniale, complicata ma bella, la più grande di tutte. E che su quella musica avrebbe ballato quel che rimaneva dei suoi anni. E che mai più sarebbe stato infelice. (p. 51)
*Andavo di [[fantasia]], e di ricordi, è quello che ti rimane da fare, alle volte, per salvarti, non c'è più nient'altro. Un trucco da poveri, ma funziona sempre. (p. 53)
*Ora tu pensa: un [[pianoforte]]. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. ''Tu'' sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88,. tu''Tu'' sei infinito. ''Questo'' a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu, ma/<br>Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi/<br>Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita... /<br>Se quella tastiera è infinita, allora su/<br>Su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. /<br>Cristo, ma le vedevi le strade? /<br>Anche solo le strade., Cece n'è a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una, a/<br>A scegliere una donna, una/<br>Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. /<br>Tutto quel mondo, quel/<br>Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e/<br>E quanto ce n'è. /<br>Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A viverla.../<br>Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n'erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.<br>Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro. (pp. 56-57)
*Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio. (p. 58)
*I desideri stavano strappandomi l'[[anima]]. Potevo viverli, ma non ci sono riuscito. <br>Allora li ho ''incantati''. (p. 58)
*Il [[padre]] che non sarò mai l'ho incontrato guardando un [[bambino]] morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo, bellissimo, volevo essere l'ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto. (p. 59)
*È un lavoro di cesello. Ho disarmato l'infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri. Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l'altro, incantati, immobili, fermati lì per sempre a segnare la rotta di questo viaggio strano che a nessuno ho raccontato se non a te/ (p. 60)
*Già me la vedo la scena, arrivato lassù, quello che cerca il mio nome nella lista e non lo trova. <br>"Come ha detto che si chiama?" <br>"Novecento." <br>"Nosjinskij, Notarbartolo, Novalis, Nozza..." <br>"È che sono nato su una nave." <br>"Prego?" <br>"Son nato su una nave e ci sono anche morto, non so se risulta lì sopra..." <br>"Naufragio?" <br>"No. Esploso. Sei quintali e mezzo di dinamite. Bum." <br>"Ah. Tutto bene adesso?" <br>"Sì, sì, benissimo... cioè... c'è solo 'sta faccenda del braccio... si è perso un braccio... ma mi hanno assicurato..." <br>"Manca un braccio?" <br>"Sì. sa, nell'esplosione..." <br>"Dovrebbero essercene un paio di là... qual è che le manca?" <br>"Il sinistro." <br>"Ahia." <br>"Sarebbe?" <br>"Ho paura che siano due destri, sa?" <br>"Due bracci destri?" <br>"Già. Nel caso, lei avrebbe problemi a..." <br>"A cosa?" <br>"Voglio dire, se prendesse un braccio destro..." <br>"Un braccio destro al posto del sinistro?" <br>"Sì." <br>"Mah... no, in linea di massima... meglio un destro che niente..." <br>"È quello che penso anch'io. Aspetti un attimo, glielo vado a prendere" <br>"Se mai ripasso fra qualche giorno, le fosse arrivato un sinistro..." <br>"Senta, ne ho uno bianco e uno negro..." <br>"No, no, tinta unita... niente contro i negri eh, è solo questione di..."<br>Sfiga. Tutt'un'eternità in Paradiso con due mani destre. (pp. 60-61)
 
===[[Explicit]]===
Certo... sai che musica però... con quelle mani, due, destre... se solo c'è un pianoforte...<br>(''Ridiventa serio'')<br>È dinamite quella che hai sotto il culo, fratello. Alzati da lì e vattene. È finita. Questa volta è finita davvero.<br>(''Esce'')<!--p. 62-->
 
==''Oceano mare''==