Cesare Cases: differenze tra le versioni

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*Già restando all’interno della decadenza era riuscito a Moravia, ne ''Gli indifferenti'', di rappresentare il disfacimento morale come prodotto di una situazione di fermo, di un ingorgo storico, e con ciò egli aveva genialmente anticipato molto “essere-nel-mondo” del posteriore esistenzialismo. Qui la decadenza italiana, scrutando se stessa, si elevava al livello europeo. (Cesare Cases, ''Opinioni su ''Metello'' e il neorealismo'', “Società”, Roma, XI (1955), n. 6; poi in ''Patrie lettere'', Einaudi 1987)
*Il limite fondamentale di uno scrittore così dotato come Brancati sta nel fatto che egli tende a esemplificare la sua interessante problematica, che investe profondamente proprio la diseducazione italiana, su casi dati per natura, e quindi ne vanifica la necessità, riducendola alla casuale fisiologia del Bell’Antonio o di Paolo il Caldo. Questi limiti sono anche limiti artistici: Brancati non riesce a concludere un romanzo perché la natura non conclude mai, se non con la morte, e gli impotenti restano impotenti, e i caldi, caldi. (Cesare Cases, ''Opinioni su ''Metello'' e il neorealismo'', “Società”, Roma, XI (1955), n. 6; poi in ''Patrie lettere'', Einaudi 1987)
*''Se questo è un uomo'' era dichiaratamente il libro di un giovane scienziato dai valori sicuri, che credeva negli affetti privati, nella forza della ragione, nella razionalità ultima della storia nonostante il fascismo, e che si trovava all’improvviso in un mondo dominato da una perfetta logica che serviva a distruggere sistematicamente l’uomo. Era dall’urto di questa razionalità infernale con quella che Levi si portava prepotentemente dietro, con la sua profonda convinzione che siamo nati “per seguir virtute e canoscenza”, che scaturiva il fascino del libro, la sua capacità di presentarci dei personaggi che recitavano il canto di Ulisse ad Auschwitz senza per questo essere meno credibili, né il Lager meno realistico. (Cesare Cases, ''Difesa di “un” cretino'', “Quaderni piacentini”, Piacenza, VI (1967), n. 30; poi in ''Patrie lettere'', Einaudi 1987)
*{{NDR|Su [[Federico De Roberto]]}} L’intelligenza e la passione che consumano i personaggi tanto da scarnificarli (l’unico che ci si può rappresentare concretamente è l’enorme e violento Don Blasco dei ''Viceré'') sono i due poli tra cui si muove anche lo stile. L’intellettualismo, del resto, fa sì che autore e personaggi abbiano sempre una certa comprensione per le idee altrui che li fa scendere senza accorgersi la china del trasformismo, il quale finisce per diventare un connotato indispensabile della politica e ne espelle definitivamente la morale, che nella sua impotenza ribadisce il verdetto sul mondo. (Cesare Cases, ''Federico De Roberto'', “L’Espresso”, Roma, 25 ottobre 1981; poi in ''Patrie lettere'', Einaudi 1987)
 
==Note==