Daisetsu Teitarō Suzuki: differenze tra le versioni

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*Egli {{NDR|il [[Buddha]]}} sapeva che ciò che aveva realizzato nello stato di illuminazione della sua mente non avrebbe potuto essere trasmesso ad altri e che, ove fosse stato trasmesso ad altri, questi non lo avrebbero compreso. [...] Egli può aver avute sue idee proprie circa i problemi filosofici che a quel tempo occupavano la mente degli [[Induismo|Indù]], ma, come ne era il caso per altri capi religiosi, il suo interesse principale non verteva sulla speculazione in quanto tale, bensì sui risultati pratici di essa. Egli era troppo impegnato a strappar via il dardo avvelenato confittosi nella carne per darsi ad una ricerca sull'origine, sulla materia e sulla costituzione di esso – a tanto, diceva, una vita è troppo breve. (pp. 51-52)
*Non si può realmente separare l'[[azione]] dall'agente, la forza dalla massa, la vita dalle sue manifestazioni. [...] Se trasferiamo queste separazioni dal pensiero alla realtà faremo sorgere una quantità di difficoltà d'ordine non solo intellettuale ma anche morale e spirituale, per via delle quali in seguito avremo da soffrire angosce d'ogni genere. È ciò che il Buddha riconobbe, chiamando ignoranza (''avidyā'') l'atteggiamento corrispondente. Di ciò, la dottrina mahāyānica della ''[[Śūnyatā|çūnyatā]]'' (del «vuoto») fu la naturale conclusione. (p. 59)
*Il [[Nirvana|nirvāṇa]] non è lo svanire in uno stato di assoluta non-esistenza – cosa impossibile finché dobbiamo fare i conti con i fatti reali della vita – preso nel suo significato ultimo, il nirvāṇa è invece una affermazione, una affermazione di là da qualsiasi specie di antitesi. Questa comprensione metafisica del problema fondamentale del buddhismo forma la caratteristica della [[Buddhismo Mahāyāna|filosofia mahāyānica]]. (p. 60)
*Se l'ignoranza penetrò nella nostra vita «col muoversi di un solo pensiero», è il destarsi di un altro pensiero che deve arrestare l'ignoranza e produrre l'illuminazione. E qui non si tratta di un pensiero tale da essere oggetto della coscienza logica o del ragionamento empirico, perché nell'illuminazione il pensatore, il [[pensare]] e l'oggetto del pensiero si fondono in un unico [[Samādhi|atto]], che è la visione della vera essenza dell'Io. Non essendo possibile nessuna ulteriore spiegazione del [[Dharma]], non resta che appellarsi alla «via negativa». (pp. 68-69)
*Col discorrere, lo scopo non lo si raggiunge, eppure noi tendiamo incessantemente a questo irraggiungibile. Ciò vuol forse dire che si è condannati a vivere e a morire con questo continuo tormento? Se così è, questa è la situazione più misera in cui ci si possa trovare sulla terra. I buddhisti si sono applicati seriamente a risolvere il problema trovando alla fine che possediamo in noi stessi quel che occorre. È una facoltà di intuizione posseduta dallo [[spirito]], atta ad afferrare la verità che ci mostrerà tutti i segreti della vita costituenti il contenuto dell'illuminazione buddhica. Non si tratta, qui, di un processo intellettuale normale bensì di un potere che in un istante e in modo diretto coglie qualcosa di assolutamente fondamentale. Come ho detto, il nome dato dai buddhisti a tale facoltà è ''prajñā'', e ciò che il buddhismo Zen in relazione alla dottrina dell'illuminazione si propone, è destare ''prajñā'' mediante la pratica della [[meditazione]]. (p. 73)