Pietro Mennea: differenze tra le versioni

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{{Intestazione2|''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/06/03/pietro-mennea-cosi-si-vince.html Pietro Mennea: "Così si vince. Per battere il tempo devi soffrire"]''|Intervista di [[Emanuela Audisio]], ''la Repubblica'', 3 giugno 2012, pp. 25-27}}
*Quello della Silicon Valley, quello che ha detto che bisogna essere affamati e folli {{NDR|[[Steve Jobs]]}}, mi fa ridere. Noi non avevamo niente e volevamo tutto. Eravamo cinque figli, quattro maschi e una femmina. Mio padre Salvatore era sarto, mia madre Vincenzina lo aiutava, a me toccavano i lavori più umili: fareifare i piatti, pulire la cucina, lavareilavare i vetri. Avevo tre anni quando mamma mi mandò a comprare un bottiglione di varechina che mi si aprì nel tragitto, porto ancora i segni sulle mani.
*Quando ho iniziato a correre i calzoncini me li cuciva lui {{NDR|il padre sarto}}. Oggi non mi entrano più, nemmeno al braccio, ma li tengo ancora. Le prime scarpe da gara le ho prese più grandi, dovevo ancora crescere, sarebbero durate.
*La mia crescita sportiva è stata lenta e costante, ma da ragazzo del sud nel '72 sono dovuto emigrare. Al centro federale di Formia: 350 giorni di allenamento all'anno. Stavo lì pure a Natale e Pasqua. Da solo. Vent'anni ad acqua minerale, e nemmeno gassata, il professor [[Carlo Vittori|Vittori]] non voleva. Il complimento più bello me lo hanno fatto i vecchi custodi, la famiglia Ottaviani, che ha dichiarato: ce n'era solo uno che in tuta entrava al campo di mattina e usciva di sera.