Gianpaolo Ormezzano: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Gianpaolo Ormezzano==
*Chi lo conosceva bene lo diceva nel privato chiuso, difficile, introverso, di poche parole e di idee appena essenziali. Coi tifosi era quasi solare, per loro la sua voce, al Filadelfia, quando [[Valentino Mazzola|Valentino]] guidava anche le partite di allenamento, era bellissima: anche se era strana, un po' chioccia. È possibile che nasca un altro come lui. È possibile: però Boniperti e anche chi scrive dicono che come Mazzola non hanno visto più nessuno.<ref name=mazzol>Da ''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,29/articleid,0934_01_1989_0102_0092_12754919/ È lui, Valentino l'ideale uomo-squadra]'', ''La Stampa'', 3 maggio 1989, p. 29.</ref>
*È sufficiente passare mezz'ora nella mia città per capire che tifare [[Juventus Football Club|Juve]] è una specie di delitto contro l'aria, il sole, le nuvole, le fontanelle col torello che sputa acqua, le case, le cose, la gente, la storia.<ref>Citato in Giorgio Dell'Arti, ''[http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=ORMEZZANO+Gian+Paolo Catalogo dei viventi]'', ''Corriere.it''.</ref>
*Ho avuto due fortune nella vita: non essere nato donna af­ghana a Kabul e tifoso della Juventus a Tori­no.<ref>Da un articolo per il mensile francese ''So foot''; citato in ''[http://www.tuttojuve.com/altre-notizie/gp-ormezzano-ho-avuto-due-fortune-nella-vita-non-essere-nato-donna-afaghana-a-kabul-e-tifoso-juve-a-toriano-se-il-derby-si-disputa-secondo-le-regole-p-158191 G.P. Ormezzano: "Ho avuto due fortune nella vita: non essere nato donna af­ghana a Kabul e tifoso Juve a Tori­no. Se il derby si disputa secondo le regole, possiamo vincerlo"]'', ''Tuttojuve.com'', 29 settembre 2013.</ref>
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*{{NDR|Su [[Pietro Mennea]]}} Lo sport italiano gli deve molto, lui ha cercato sovente di dar se stesso allo sport in vari modi, quasi per "equilibrare". Ma aveva un carattere difficile, un eloquio spesso aggrovigliato, e poi sempre era come posseduto da quel revanscismo che lui stesso definiva etnico e che gli pregiudicava tanti rapporti. E invano chi lo conosceva bene diceva di una sua forte solarità, soltanto difficile da liberare dalle nubi contingenti, di una sua interna allegria che comunque, quando riusciva ad espandersi in giro, voleva dire ad esempio l'amicizia fortissima con uno che, come lui, quando sorrideva e faceva sorridere sembrava intristirsi, Massimo Troisi.<ref name=mennea>Da ''[http://www.lastampa.it/2013/03/21/sport/atletica/addio-mennea-re-della-velocita-azzurra-un-campione-proletario-tra-i-borghesi-jeGYcqSvCkdegCOQgjUhGI/pagina.html Addio Mennea, re della velocità azzurra. Un campione proletario del riscatto]'', ''Lastampa.it'', 21 marzo 2013.</ref>
*[[Pietro Mennea]] è morto giovane, sessantun anni scarsi, ma era nato vecchio, tormentato da sempre dai problemi della sua terra (era di Barletta, Puglie, si definiva negro d'Italia), ed ha avuto una vita pienissima, quasi affannata, sicuramente logorante, non solo di sportivo anzi di campione dello sport, ma anche di uomo politico, deputato europeo, di personaggio del mondo del lavoro, quattro lauree – scienze politiche, giurisprudenza, lettere e scienze motorie –, uno studio di avvocato, di eterno polemista, e di forte testimonial dell'antidoping dopo essere uscito pulito da ogni sospetto di disinvoltura chimica. In età avanzatella si era pure sposato. Nell'atletica si è costruito campione con una volontà disperata, quasi straziante, nel senso che, assolutamente non dotato dalla natura di quello che si dice fisico strepitoso, si allenava ferocemente, correva acremente e vinceva a muso sempre duro.<ref name=mennea/>
*Quando Barassi, durante l'orazione funebre, lesse la formazione, ci fu come sempre, anche in lui, un modo diverso di dire «Mazzola». Proprio come fanno adesso, in certi stadi, certi speakers tifosi. [[Valentino Mazzola]] era il Grande Torino. Nessuna offesa a nessuno se si dice che gli altri, tutti gli altri, compreso Maroso dalla classe immensa, erano calciatori che avevano la fortuna di giocare con lui. D'altronde, i primi a parlare così erano loro, i giocatori granata. Era Mazzola che guardavano quando, poche volte, perdevano, era da lui che andavano quando un gol, anche segnato da un altro, faceva vincere la partita. Valentino Mazzola non era quel che si dice un bellissimo atleta. Non alto, un po' tozzo. Il viso sì era bello, intenso. Il biondo non era troppo biondo, dava sul rosso.<ref name=mazzol/>
*[[Valentino Mazzola|Valentino]] saltava di testa come nessuno, toglieva il pallone anche ai giganti. Il tackle era sempre suo [...]. I suoi tiri non erano speciali, ma esatti, forti il giusto. Il suo correre unico. Più che un correre, un onorare appuntamenti col pallone, noti solo a lui e alla sfera: gli altri non ci arrivavano. La quantità di palloni che Mazzola toccava, portava avanti, passava, lavorava in una partita era enorme. Uno solo lo ha avvicinato: [[Alfredo Di Stefano|Di Stefano]]. Ma all'argentino i compagni passavano la palla come per un ordine: Mazzola no, andava a cercarsela, non gradiva quei tocchetti di appoggio che pure molti assi chiedono. La forza di Valentino Mazzola era comunque fatta di tante normalità esaltate. Lui non eseguiva numeri pirotecnici, funambolici: correva, come correvano tanti, ma più costantemente di tutti; contrastava, come da copione, ma il suo tackle era sempre «gridato», da attore che vuole farsi sentire da tutto il teatro; di testa, già detto, era un combattente; e trascinava trascinava trascinava. Ognuno, vedendolo giocare, pensava di poter fare quello che faceva lui: come non accadde vedendo giocare [[Omar Sivori|Sivori]], e adesso [[Diego Armando Maradona|Maradona]]. Il problema era farlo sempre, e sempre al massimo, e insufflando gioco nei compagni.<ref name=mazzol/>
*[[Vittorio Pozzo]] era riuscito a gestire la nazionale, che pure il regime voleva usare come strumento di propaganda, tenendola abbastanza lontano dalle pressioni e dalle tresche dei gerarchi. [...] Pozzo non fu antifascista, né mai pretese di esserlo, ma non fu nemmeno banditore troppo strumentalizzato da parte del potere. [...] Forse quello fu l'unico modo per evitare che la sua squadra diventasse la Nazionale di [[Benito Mussolini|Mussolini]]. (da ''Il calcio: una storia mondiale'', Longanesi, 1989)