Sebastiano Vassalli: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Sebastiano Vassalli==
*Abbiamo perso il [[futuro]]. Gli scenari della "[[fine del mondo]]" cambiano, ma la perdita del futuro è dentro di noi e noi ne siamo i portatori, anche se non condividiamo le ragioni di chi immagina un avvenire di catastrofi e magari non le conosciamo nemmeno. Viviamo in un mondo che fa sempre più fatica a guardare oltre il proprio presente: perfino in quelle attività umane, come la letteratura e le arti, di cui in passato si pensava che dovessero tendere al [[sublime]], cioè a qualcosa di eterno. (da ''Il futuro fa paura? Utopie e antiutopie della fantascienza''<ref>Citato in ''[http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2015-07-31/sulla-domenica-inedito-sebastiano-vassalli-091101.shtml?uuid=AClICla Sulla "Domenica" un inedito di Sebastiano Vassalli]'', ''il Sole 24 Ore.com'', 31 luglio 2015.</ref>)
*Il mestiere dello [[scrittore]] consiste nel raccontare storie. Così era ai tempi di [[Omero]] e così è ancora oggi. È un mestiere antico come il mondo, che risponde ad una necessità degli esseri umani, ad un loro bisogno fondamentale: quello di raccontarsi. Finché ci saranno nel mondo due persone, ci sarà chi racconta una storia e ci sarà chi ascolta una storia. Quante cose si fanno, o si sono fatte, che non si sarebbero mai fatte se non ci fosse stata la possibilità di raccontarle! Senza la memoria del passato che è all'origine di ogni racconto, il nostro percorso di civiltà sarebbe ancora fermo da qualche parte nella notte dei tempi. Le grandi conquiste e le grandi imprese di ogni genere non avrebbero avuto lo stimolo per compiersi, e anche gli atti di eroismo sarebbero stati rari, e sarebbero stati scambiati per follia….. (da ''Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo'', Interlinea 2010).
*Ci sono dei periodi, nella nostra storia, in cui per guardare avanti bisogna voltarsi. Come ai tempi di Omero e come oggi. Achille, Ettore e Ulisse avevano qualcosa da dire a chi viveva mille anni dopo di loro e hanno qualcosa da dire ancora a noi, dopo che sono passati altri tremila anni. Qualcosa che né la televisione né il web né i vicini di casa saprebbero dirci (da ''terre selvagge'', Rizzoli 2014).
*[[Guerra]] di popolo è una guerra non di soldati, ma di uomini. Che combattono per se stessi, anzitutto: per motivi chiari, evidenti, per ideali in cui credono; e non perché ne hanno ricevuto l'ordine o perché son pagati per questo. (Citato in prefazione: [[Renata Viganò]], ''L'Agnese va a morire'', Einaudi 1974)
*Il mestiere dello [[scrittore]] consiste nel raccontare storie. Così era ai tempi di [[Omero]] e così è ancora oggi. È un mestiere antico come il mondo, che risponde ad una necessità degli esseri umani, ad un loro bisogno fondamentale: quello di raccontarsi. Finché ci saranno nel mondo due persone, ci sarà chi racconta una storia e ci sarà chi ascolta una storia. Quante cose si fanno, o si sono fatte, che non si sarebbero mai fatte se non ci fosse stata la possibilità di raccontarle! Senza la memoria del passato che è all'origine di ogni racconto, il nostro percorso di civiltà sarebbe ancora fermo da qualche parte nella notte dei tempi. Le grandi conquiste e le grandi imprese di ogni genere non avrebbero avuto lo stimolo per compiersi, e anche gli atti di eroismo sarebbero stati rari, e sarebbero stati scambiati per follia….. (da ''Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo'', Interlinea 2010).
*La [[poesia]] è vita che rimane impigliata in una trama di parole. (da ''Amore lontano'', Einaudi)
*La [[Resistenza italiana|Resistenza]] non è soltanto un episodio militare della [[storia]] recente d'[[Italia]], anche se ormai questa interpretazione restrittiva farebbe comodo a molti. La Resistenza non è soltanto un episodio politico, un momento di transizione tra la caduta della monarchia e del fascismo e l'avvento di uno Stato democratico e repubblicano. E neppure la si può considerare alla stregua di un «bel gesto», di un fatto di redenzione culturale e civile necessario per far uscire l'Italia dalla barbarie e rimetterla in linea con i paesi progrediti. La Resistenza fu tutte queste cose e altre ancora. Ma fu anzitutto, come già s'è detto, ''guerra di popolo''. (citato [[Renata Viganò]], prefazione a ''L'Agnese va a morire'', Einaudi 1974)
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==''L'oro del mondo''==
===[[Incipit]]===
Il telegramma da Milano diceva: «Comunicasi at familiari avvenuto decesso Alvaro S. Sentite condoglianze», eccetera. Ci sono andato col treno e c'era sciopero dei mezzi pubblici: tram, metropolitana, tassí<!--sic-->. Una baraonda, un caos. Strade rigurgitanti di automobili intrappolate nel traffico, che strombettavano, di motorini come sopra, che scoppiettavano, di automobilisti appiedati che anche cosí<!--sic--> sgomitavano per sorpassarsi, di vigili congestionati che cercavano di mettere un po' d'ordine e di sbrogliare l'orribile matassa.<br />
{{NDR|Sebastiano Vassalli, ''L'oro del mondo'', Einaudi, 1987}}
 
===Citazioni===
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==''La chimera''==
===[[Incipit]]===
Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1590, giorno di sant'Antonio abate, mani ignote deposero sul torno cioè sulla grande ruota in legno che si trovava all'ingresso della Casa di Carità di San Michele fuori le mura, a Novara, un neonato di sesso femminile, scuro d'occhi, di pelle e di capelli: per i gusti dell'epoca, quasi un mostro.<br />
{{NDR|Sebastiano Vassalli, ''La chimera'', Einaudi tascabili, 1992}}
 
===Citazioni===
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==''Cuore di pietra''==
===Prologo – ''Gli Dei''===
In principio di questa storia c'è la città. La città è una città piuttosto piccola che grande, piuttosto brutta che bella, piuttosto sfortunata che fortunata e però e nonostante tutto questo che s'è appena detto, piuttosto felice che infelice. Era – ed è – collocata in una grande pianura, su una sorta di dosso formato, qualche milione di anni fa, dal moto delle maree o dai sedimenti dei fiumi di un mondo ancora inconsapevole delle nostre vicende, ancora beato dei suoi dinosauri e delle sue felci grandi come alberi; e si affaccia su un orizzonte di montagne cariche di neve come sulle quinte di un immenso palcoscenico, in un paesaggio che gli [[Dèi|Dei]] hanno voluto sistemare in questo modo, perché fosse il loro teatro. Lassù sopra le nostre teste, infatti, negli spazi senza tempo che noi chiamiamo universo, di tanto in tanto gli Dei – quelli di Omero – vengono ad assistere allo spettacolo delle nostre passioni e delle nostre lotte; e un'eco delle loro risate è forse percepibile nello scroscio delle acque che in primavera straripano tutt'attorno alla città, allagando i terreni coltivati, e nel rumore del vento che, d' autunno, fa turbinare le foglie sui viali, spingendo le nuvole verso le montagne lontane. Gli Dei – già il vecchio Omero ne era consapevole – non hanno alcuna pietà delle sciagure degli uomini e hanno un senso dell' umorismo piuttosto bizzarro, perché conoscono l'esito delle nostre vicende prima ancora che siano incominciate; sanno il giorno e l'ora in cui moriremo, e in quali circostanze; e ridono fino alle lacrime vedendoci lottare per cose che non ci apparterranno, e che saranno comunque diverse da come le abbiamo immaginate. Ciò che soprattutto li diverte, però, sono i nostri progetti e i nostri sforzi per dare un senso al futuro; e la storia che si racconta in queste pagine, di una casa e degli uomini e delle donne che ci abitarono, e del sogno di un mondo più libero e più giusto che si sognò nella città di fronte alle montagne e nella grande pianura, li avrebbe forse fatti morire dal ridere, se gli Dei potessero morire. Era dai tempi di Omero, e della guerra di Troia, che i nostri vicini del piano di sopra non spalancavano così larghe le loro bocche e non facevano risuonare così forte le loro voci, da un capo al!'altro dell'universo. Chi leggerà questa storia, se tenderà l'orecchio, potrà sentire quasi in ogni pagina un'eco affievolita di quel lontano clamore; e, ancora dopo avere chiuso il libro, di tanto in tanto gli sembrerà di riascoltare le risate degli Dei, lassù oltre l'azzurro del cielo dove loro vivono...<br />
{{NDR|Sebastiano Vassalli, ''Cuore di pietra'', Einaudi, 1996}}
 
===Citazioni===
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===Epilogo – ''Gli Dei''===
Ogni tanto gli Dei tornano ad affacciarsi sul golfo della pianura delimitato dalle montagne lontane, e applaudono e gridano stando sospesi lassù sopra le nostre teste, mentre assistono alle rappresentazioni di un autore che sa mescolare come nessun altro la tragedia e la farsa, e che si esprime con le vicende degli uomini pur restandone assolutamente estraneo: il tempo! Se gli uomini non esistessero sulla terra, lo spettacolo del tempo si ridurrebbe a ben poca cosa; ed è per questo motivo che gli Dei li hanno fatti esistere. Gli Dei di Omero – è risaputo – sono degli eterni bambini, e tutto li diverte: anche l'aggregarsi e il dissolversi delle nuvole, anche il cadere delle foglie in autunno e lo sciogliersi delle nevi in primavera hanno il potere di fargli schiudere le labbra, e di far scintillare i loro denti immortali; ma perché l'universo intero rimbombi delle loro risate bisogna mettere in scena ciò che il tempo sa fare con gli uomini, dappertutto e in quella pianura circondata dalle montagne che è, appunto, il loro teatro. Bisogna mostrargli la nostra protagonista com' è adesso, vuota e buia e con i suoi saloni ingombri di calcinacci, di siringhe, di sterchi, di coperte insanguinate, di frammenti di vetro... Oppure, bisogna fargli vedere l'immensa pianura percorsa in ogni direzione da milioni di quei contenitori di metallo che noi chiamiamo automobili, e le piazze e le strade della città di fronte alle montagne, dove passarono cantando e schiamazzando i cortei delle bandiere rosse e quelli delle camicie nere, divenute percorsi obbligati per i nuovi mostri meccanici. Tutto sembra reale, adesso come allora e come sempre, ma è uno spettacolo del tempo: un'illusione, che di qui a poco svanirà per lasciare il posto a un'altra illusione. È perciò che le risate degli Dei rimbombano e rotolano da una parte all'altra del cielo con i temporali d'aprile, e che le loro grida d'incitamento spazzano la pianura con i venti d'ottobre. I personaggi di questa storia che è finita, e gli altri delle infinite storie che ancora devono incominciare, le loro futili imprese, le loro tragicomiche morti non sono altro che alcune invenzioni tra le tante di quell'eterno, meraviglioso, inarrivabile artista che è il tempo. È lui che ci parla con la nostra voce, che ci guida, che manipola i nostri desideri e i nostri sogni e alla fine cancella le nostre vite per sostituirle con altre vite, di altri uomini che noi non conosceremo mai. È lui che ci fa credere di essere il centro e la ragione di tutto, mentre ci ispira comportamenti e pensieri così stupidi che gli Dei ne ridono ancora quando ritornano lassù nel loro eterno presente, abbandonandoci agli sbalzi d'umore e ai capricci del nostro autore e padrone. Un suo battito di ciglia, e l'uomo che ha scritto questa storia non esisterà più; un altro battito di ciglia, e al posto della grande casa sui bastioni ci sarà un edificio di cristallo in cui si rifletteranno le nuvole e le montagne lontane; un terzo battito di ciglia, e i contenitori chiamati automobili saranno a loro volta scomparsi... Perché no? Soltanto gli Dei sono immortali, mentre tutto ciò che esiste nel tempo è destinato a perire. ''Homo humus, fama fumus, finis cinis''.<br />
{{NDR|Sebastiano Vassalli, ''Cuore di pietra'', Einaudi, 1996}}
 
==''Un infinito numero''==
*Con la [[lettura]] ci si abitua a guardare il mondo con cento occhi, anziché con due soli, e a sentire nella propria testa cento pensieri diversi, anziché uno solo. Si diventa consapevoli di se stessi e degli altri. Gli uomini senza la lettura non conoscono che una piccolissima parte delle cose che potrebbero conoscere. La lettura può dare cento, mille vite diverse ed una sapienza ed un dominio sulle cose del mondo che appartengono solo agli dei. ('''Timodemo di Nauplia''')
*La [[Fama]] di cui [[Virgilio]], nell'[[Eneide]], celebrò lo smisurato potere è anche la più inaffidabile ed iniqua delle dee, più della stessa fortuna; gli uomini che godono dei suoi favori sono come gli insetti, che volano di notte intorno ad una lanterna, inebriandosi della sua luce. Si sentono splendidi, e in quel momento effettivamente lo sono, ma il loro trionfo dura pochissimo e non lascia tracce. Che memoria può avere la notte dei suoi insetti? E che memoria può avere il tempo degli uomini che lo fanno esistere senza la [[scrittura]]? ('''Timodemo di Nauplia''')
*A volte mi soffermo a spiare un fiore mentre sboccia, o a seguire i movimenti di un ragno che sta tessendo la sua rete. Penso a quella sostanza impalpabile che chiamiamo tempo, e che esiste solamente per noi. Noi uomini misuriamo il tempo col sole e con i cicli della luna, con i chiodi piantati nel tempio di Northia, con i calcoli dei sacerdoti che stabiliscono la lunghezza esatta di un secolo; ma qual è il tempo dei fiori, e qual è il tempo dei ragni? Esiste un tempo anche per loro, o non dovremmo dire piuttosto che ogni fiore di una determinata specie è sempre lo stesso fiore, e che ogni ragno è sempre lo stesso ragno? Che il fiore e il ragno non muoiono mai, e che gli uomini muoiono soltanto perché vivono nel tempo?<br />
 
{{NDR|Sebastiano Vassalli, ''Un infinito numero'', Einaudi, aprile 2001}}
==Note==
<references />
 
==Bibliografia==
{{NDR|*Sebastiano Vassalli, ''L'oroCuore deldi mondopietra'', Einaudi, 1987}}1996.
*Sebastiano Vassalli, ''Il Cigno'', Einaudi, Torino, 1993.
*Sebastiano Vassalli, ''Il futuro fa paura? Utopie e antiutopie della fantascienza'', su ''Domenica'', Il Sole 24 Ore, 2 agosto 2015.
*Sebastiano Vassalli, ''L'oro del mondo'', Einaudi, Torino, 1987. ISBN 88-06-14956-3
*Sebastiano Vassalli, ''La chimera'', Einaudi, Torino, 1992. ISBN 8806129376
{{NDR|*Sebastiano Vassalli, ''LaUn chimerainfinito numero'', Einaudi tascabili, 1992}}aprile 2001.
*Sebastiano Vassalli con Giovanni Tesio, ''Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo'', Interlinea, 2010. ISBN 978-88-8212-735-0