Umberto Galimberti: differenze tra le versioni

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{{intestazione|''Scienza e fede'', 22 settembre 2007}}
*La [[fede]] a sua volta non ha a che fare con la [[verità]] perché, lo dice [[Tommaso d'Aquino|Tommaso D'Aquino]] commentando [[Paolo di Tarso]], la fede, a differenza della [[scienza]] espressa dalla ragione umana, conduce in captivitatem omnem intellectum, cioè rende l'intelletto prigioniero di un contenuto che non è evidente, e che quindi gli è estraneo (alienus), sicché l'intelletto è inquieto (nondum est quietatus) di fronte alla scienza nei cui confronti si sente in infirmitate et timore et tremore multo.
*Mi occupo di questioni religiose perché le [[religione|religioni]], tutte le religioni, con i loro comandamenti e le loro regole di condotta hanno rappresentato il più grande processo educativo che l'umanità, nel suo complesso, ha conosciuto prima che la [[ragione]] si enunciasse come regolatrice di rapporti umani.
*Oggi la ragione ha trovato la sua più alta espressione nella [[scienza e religione|scienza]] che non confligge con la fede, solo se la fede rinuncia a proporsi come verità. La [[scienza]] infatti non ha rapporti con la verità, perché ciò che essa produce sono solo proposizioni "esatte", cioè "ottenute da (ex actu)" premesse che sono state anticipate in via ipotetica. Che poi l'ipotesi sia confermata dall'esperimento dice solo che noi conosciamo la validità operativa di quell'ipotesi, non la natura della cosa indagata con quell'ipotesi, perché, interrogata, la cosa non ha mostrato il suo volto, ma ha semplicemente risposto all'ipotesi anticipata.
*Quanto al rapporto fede-morale, penso che per stabilire una corretta convivenza tra gli uomini la ragione sia in grado di fondare una morale (vedi Kant) indipendentemente dalla [[fede]] la quale, come dimostrano il nostro tempo e i tempi trascorsi, concorre più all'ostilità e alla ferocia fra gli uomini che alla loro pacifica convivenza.
 
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{{Intestazione|''L'anima. Se la Chiesa impone la sua verità'', 26 settembre 2007 }}
*A questo proposito voglio ricordare che Tommaso d'Aquino, commentando Paolo di Tarso, dice che la [[scienza e religione|fede]], a differenza della [[scienza e religione|scienza]] espressa dalla ragione umana conduce in captivitatem omnem intellectum, cioè rende l'intelletto prigioniero di un contenuto che non è evidente, e che quindi gli è estraneo (alienus), sicché l'intelletto è inquieto (nondum est quietatus) di fronte alla scienza, nei cui confronti si sente «in infirmitate et timore et tremore multo». Dov'è finita questa prudenza tomista che non concede di identificare immediatamente la [[fede]] con la [[verità]]? E se i cattolici sono già in possesso della verità che senso ha per loro studiare e insegnare [[filosofia]] se la verità che la filosofia si propone di cercare già la possiedono? Cosa rispondono ad Heidegger là dove scrive che quando la filosofia è accompagnata da un aggettivo, come è il caso di una "filosofia cristiana" ci si trova di fronte a un circolo quadrato o, come vuole l'espressione di Heidegger a un "ferro ligneo"? E infine che tipo di dialogo è possibile con un cristiano, se questi è già convinto di possedere la verità?
*«Il colpo di genio del Cristianesimo», che esorcizza la morte garantendo a ogni uomo l'immortalità, è diventato persuasione comune che neppure la scienza è riuscita a scalfire, anzi in un certo senso ha concorso a radicare definitivamente questa convinzione.
*Io non sono un teologo, ma un filosofo della Storia che segue il metodo "genealogico" di Nietzsche, il quale, a differenza di Platone, non si chiede, ad esempio, «che cos'è l'anima», ma: «Come è venuto al mondo questo concetto, che storia ha avuto, che significati ha assunto, che effetti di realtà ha prodotto?», persuaso come sono che l'essenza di una cosa, il suo senso è nella sua storia.
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