Elleboro: differenze tra le versioni

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*Bisogna innanzi tutto esaminare se coloro che sono preoccupati da un'idea dominante, sieno tristi o allegri; perchè nel primo caso giova purgarli coll'elleboro nero, nel secondo conviene provocare il vomito coll'elleboro bianco, e se ricusano di prenderlo in bevanda si riunisce al pane, perchè più facilmente sieno gabbati. Imperocché ove questi rimedii produrranno un'evacuazione abbondante il morbo ne sarà in gran parte alleviato. E però anche se la prima volta l'elleboro avrà poco giovato, bisogna ripeterlo dopo qualche tempo. ([[Aulo Cornelio Celso]])
*La fama di Malampode è nota per le arti di divinazione. Da lui ha nome il melampodio, ch'è una specie di elleboro. Alcuni dicono che ne fu inventore un pastor di questo nome, il quale osservò che le capre pascendo quest'erba si purgavano, e che dando poi il latte di queste capre guarì le Pretide, le quali erano impanate. Per la qual cosa si convien dire insieme di tutte le sue specie. Le prime sono due, del bianco e del nero. Molti dicono che la lor differenza si conosce solamente dalle radici: altri che le foglie del nero sono simili a quelle del platano, ma minori e più nere, e fesse con più divisure; e le foglie del bianco simili a quelle della bietola, quando ella comincia; ma queste ancor più nere, e rossigne sul dosso accanalato. ([[Gaio Plinio Secondo]])
*Le purgagioni si facciano coll'elleboro: il bianco, il ventre superiore, il nero purga l'inferiore. Sennonchè l'elleboro bianco non solo provoca il vomito, ma gli è il potentissimo fra tutti i farmachi vacuativi: non per copia e varietà d'escrementi alla maniera de' cholerosi, nè per intenso e violento vomito, quale è quello che è eccitato dalla nausea di mare: non ha nè cotesta forza, nè cotesta mala qualità; ma invece restituisce i travagliati blandamente in salute, con placido purgamento, e comportevole intensità. Senza dubbio, che quando ogni altra medela sia inutile, in qualunque cronica malattia che abbia già messo profonde radici, cotesto elleboro è l'ancora sacra. È in lui una natura paragonabile a quella della fiamma, e com'essa serpeggia e si diffonde per le interiora. ([[Areteo di Cappadocia]])
 
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