Jean Varenne: differenze tra le versioni
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===Citazioni===
*Il prestigio di [[Abhinavagupta|Abhinava-Gupta]] (X secolo), il principale teologo di questa scuola, permise sicuramente allo [[shakti|shaktismo]] di acquisire i suoi primi titoli di nobiltà presso i brahmini, poiché Abhinava-Gupta integrò una parte della sua ideologia in una costruzione filosofica ambiziosa, mentre la venerazione della dea (''Dévî, Shakti'') abitualmente non forniva altro che poemi mitologici. (p. 40)
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*Oltre al sangue, [[Kālī|Kâlî]] beve anche del vino (''surâ'', che in realtà è il nome dell'alcol in generale). Ella ha in mano una coppa che, miracolosamente, rimane sempre piena e combatte i suoi avversari in stato di ebbrezza. (p. 84)
*Pertanto, ovunque si sono insediate queste due religioni dominanti<ref>Islamismo e cristianesimo.</ref>, la [[prostituzione]] sacra (ma non la profana!) scomparve con tutto quello che si convenne di chiamare paganesimo. Tuttavia, in [[India]] né il cristianesimo né l'islam riuscirono ad avere la meglio in maniera decisiva, e gli indù rimasero fedeli, per la maggior parte, alla religione dei loro padri. (p. 146)
*[[Kundalini]] è insieme un serpente, un'energia intima e una dea: l'esoterismo del linguaggio crepuscolare risiede in questa simultaneità di significati in una stessa parola. (p. 174)
*Troviamo così in tutti i settori del [[induismo|pensiero indiano]] questa esitazione tra un [[monismo]] intransigente e una certa forma di dualismo. La maggior parte dei ''[[Darśana|darshana]]'', e soprattutto Io ''[[yoga]]'' e il ''[[Vedanta]]'', trovano d'altro canto il mezzo per conciliare queste due tendenze e subordinare la seconda alla prima, situando l'unità "al di là" della dualità che essa trascende. (p. 204)
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*Nel complesso, dunque, il tantrismo afferma insieme la dualità universale e la preponderanza dell'aspetto femminile su quello maschile. Lo fa con costanza e sa trarne tutte le conseguenze non solo sul piano del ragionamento logico, ma su quello dei riti, dei miti e dei simboli. Nondimeno, non bisogna perdere di vista che non è questione di crogiolarsi nella dualità in sé e per sé, soprattutto in quella dualità "divorziata" che è il destino degli esseri nel mondo. (p. 211)
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