Sergej Aleksandrovič Esenin: differenze tra le versioni

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*Esenin era sempre circondato da satelliti. La cosa più triste di tutte fu vedere, di fianco a Esenin, un gruppo casuale di uomini che non avevano nulla a che fare con la letteratura, ma a cui semplicemente piaceva (e piace ancora) bere la vodka di qualcun altro, crogiolarsi nella fama di qualcun altro, e nascondersi dietro l'autorità di qualcun altro. Non fu attraverso questo sciame nero, tuttavia, che morì, lui li trasse a sé. Sapeva quel che valevano; ma nel suo stato trovò più facile stare con persone che disprezzava. ([[Il'ja Grigor'evič Ėrenburg]])
*{{NDR|Sei giorni prima della morte}} Feci per accomiatarmi. Non volevo salire. [...] Cercava di convincermi con una sorta d'ansia, quasi di paura. [...] Una volta a casa sua, la conversazione stentò: non facevamo che passare da un argomento all'altro, oppure restare a lungo in silenzio... Feci qualche tentativo di andarmene, ma ogni volta Sergej saltava su trattenendomi, e intanto la sua inquietudine non faceva che aumentare. - Non te ne andare. Se sei stanco, mettiti pure a dormire. [...] Voleva aver compagnia fino al mattino. Aveva paura. Il suo terrore della [[solitudine]] era tanto forte che quando, verso le sei del mattino, me ne andai, svegliò sua sorella e la convinse a stargli vicina. - Siediti qui sul divano. Ti leggo qualche poesia.<ref>Citato in Elvira Watala, Wiktor Woroszylski, ''Vita di Sergej Esenin'', traduzione dal polacco di Vera Petrella, Vallecchi Editore, Firenze, 1980.</ref> (Evgenij Sokol)
*Gridava anche lui, ebbro di Dio, non di vino. Con le lacrime agli occhi, sferrava pugni non sul tavolo ma sul proprio petto, e sputava non sull'altrui, ma sulla propria faccia. ([[Marc Chagall]])
*La forza di Esenin stava nel tono emotivo della sua lirica. Un'emozione poetica ingenua, ancestrale, e perciò straordinariamente vitale. ([[Jurij Tynianov]])
*Ma c'è in Esenin, evocatore di ritmi, luci, colori, odori, un'altra realtà; l'infanzia del suo linguaggio con immagini strappate ad ogni spirale logica e segni, quasi discografia distorta, che sfuggono alle architetture sintattiche abituali... "Io non sono un mercante di parole", scrive in una sua lirica, quasi a voler stringere i propri giudici su un terreno di humus sacrale, in un prodigio di itinerari ignoti alla cifra grafica. ([[Salvatore Quasimodo]])