Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad: differenze tra le versioni

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==Citazioni==
*Egli <ref>Il Sé, o ''ātman''.</ref> non trovava felicità; così ancora oggi, chi è solo non trova felicità. Egli desiderava ardentemente un altro. Egli divenne grande come un [[uomo]] e una [[donna]] stretti in un forte abbraccio. Egli separò questo sé in due; da qui sorsero lo sposo e la sposa. Perciò, come ha detto Yājñavalkya: «Ognuno di noi è come la metà di un pisello spaccato.» Per questo motivo questo vuoto è riempito dalla donna. Egli si congiunse con lei e di qui nacquero gli esseri umani. (''I, 4, 3''; 2001)
*In verità, all'inizio il mondo non era differenziato. Si differenziò con il [[nome]] e la [[forma]], di modo che ogni cosa ha un nome e una forma. Anche oggi, le cose si differenziano semplicemente grazie al nome e alla forma, così che noi diciamo: questa cosa ha il tal nome, la tale forma. (''I, 4, 7''; 2008)
*Chiunque [[adorazione|adori]] una divinità diversa dall'Immensità, pensando 'Essa è uno, io sono un altro', non sa. È come un capo di bestiame per gli dèi. (''I, 4, 10''; citato in [[Alain Daniélou]], ''Miti e dèi dell'India'', traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008)
*Questo [[ātman|Sé]] è inafferrabile perché non può essere ghermito, indistruttibile perché non può essere distrutto, inattaccabile perché a nulla attaccato. (''III, 9, 26''; citato in Alain Daniélou, ''Miti e dèi dell'India'', traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008)
*Questo ''[[ātman]]'' è in verità [[Brahman]], che consiste di coscienza, mente, vita, occhio, terra e acqua, aria, atmosfera, luce e non luce, di desiderio e mancanza di desiderio, di collera e libertà dalla collera, di rettitudine e non rettitudine, che consiste di tutto ciò. Perciò è detto: consiste di questo, consiste di quello. A seconda delle proprie opere, a seconda del proprio comportamento, così si diventa. Colui che fa del [[bene]] diviene buono, colui che fa del [[male]] diviene malvagio. (da ''IV, 4, 5''; 2001)
*Possano i saggi, i conoscitori di Brahman, realizzando Lui praticare la saggezza. Possano essi non meditare su molte parole, poiché nel [[linguaggio]] vi è solo debolezza. (''IV, 4, 21''; 2001)
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==Bibliografia==
*[[Raimon Panikkar]], ''I Veda. Mantramañjarī'', a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001.
*[[Alain Daniélou]], ''Miti e dèi dell'India'', traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008.
 
==Voci correlate==