José Saramago: differenze tra le versioni

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{{NDR|José Saramago, ''Saggio sulla lucidità'' (''Ensajo sobre a Lucidez''), traduzione di Rita Desti, Einaudi, 2007. ISBN 8806170430}}
 
==''L'anno della morte di Ricardo Reis''==
===Citazioni===
*Agli dèi solo chiedo che mi concedano di non chieder loro nulla […]
*Ci sono momenti così, crediamo nell’importanza di ciò che abbiamo detto o scritto fino a quel punto, soltanto perché non è stato possibile far tacere i suoni o cancellare i tratti, ma ci entra nel corpo la tentazione del silenzio, il fascino dell’immobilità, stare come stanno gli dèi, zitti e tranquilli, solo ad assistere.
*La gente non se lo sogna neanche che chi finisce una cosa non è mai quello che l’ha cominciata, anche se entrambi hanno un nome uguale, che è solo questo a mantenersi costante, nient’altro.
*Certe domande si fanno soltanto per rendere più esplicita l’assenza di risposta […]
*Sono così i labirinti, hanno vie, traverse e vicoli ciechi, e c’è chi dice che il modo più sicuro di uscirne è di continuare a camminare e girare sempre dallo stesso lato, ma questo, come siamo obbligati a sapere, è contrario alla natura umana.
*Un uomo non può camminare a caso, non sono solo i ciechi ad aver bisogno del bastone che tasti un palmo avanti o del cane che fiuti i pericoli, anche un uomo con i propri due occhi intatti ha bisogno di una luce che lo preceda, quello in cui crede o a cui aspira, anche i dubbi servono, in mancanza di meglio.
*Un uomo non è meno smarrito solo perché va diritto. (p. 81)
*Anche dentro il corpo la tenebra è profonda, e tuttavia il sangue arriva al cuore, il cervello è cieco e può vedere, è sordo e sente, non ha mani e afferra, l’uomo è chiaro, è il labirinto di se stesso.
*E' quasi sempre così, un uomo si tormenta, si preoccupa, teme il peggio, crede che li mondo gli chiederà un rendiconto completo, e il mondo è già avanti, a pensare ad altri fatti.
*Non di rado ciò che sta scritto è sfasato rispetto a ciò che, in quanto vissuto, dovrebbe avergli dato origine. Non si domandi pertanto al poeta ciò che ha pensato o sentito, è proprio per non doverlo dire che scrive versi.
*Tutti noi soffriamo di una malattia, di una malattia di base, per così dire, che è inseparabile da ciò che siamo e che, in un certo modo, fa ciò che siamo, se anzi non è più esatto dire che ciascuno di noi è la propria malattia, per causa sua siamo così poco, così come per causa sua riusciamo a essere tanto […]
*Solo una vaga pena inconseguente indugia un poco alla porta del mio animo e dopo avermi un attimo fissato passa, sorridendo di nulla […]
*In fondo la vita non è molto di più dello starsene sdraiati, convalescenti d’una infermità antica, incurabile e recidivante, con intervalli che chiamiamo salute, un nome glielo dovevamo dare, vista la differenza che c’è fra i due stati.
 
==[[Incipit]] di alcune opere==