Luigi Settembrini: differenze tra le versioni

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'''Luigi Settembrini''' (1813 – 1876), scrittore italiano.
 
*[...] credo che quel greco Flagizio, lasciando il mare dove per acque stagnanti è un'aria grave e malsana, sia salito sul monte dove ora inalzasi Catanzaro: e vedendo per uno spazio interminato una bellissima varietà di sottoposte colline, dipinte di varii colori dai verdi seminati, dalle vigne, dagli ulivi, e tra queste colline a piedi della città una fertile valle irrigata da molti ruscelli, e che corre per cinque miglia insino al mare; ed il mare che larghissimo si spande dal Capo Colonne presso Cotrone sino alla punta di Stilo; invaghito da tanta stupenda bellezza, abbia chiamato quel monte oros katanderon, che vale sul florido, quasi volesse dire il monte che soprasta le colline e la valle fiorente . Cangiandosi poi l'n in a (mutazione comunissima del dialetto dorico e nei dialetti di tutte le lingue) hassi la parola katandaron, la quale pronunciata colla d, come si pronunzia dai greci moderni, corrisponde limpidamente alla parola Catanzaro. […] Bellissimo adunque è il nome della città di [[Catanzaro]]: ed ella sarà veramente florida se alla bellezza del sito congiungerà un'altra più desiderabile e lodevole bellezza, quella cioè delle buone arti e dei modesti costumi [...]. (da ''Ricordanze della mia vita'')
*{{NDR|A [[Napoli]] dopo la salita al trono di [[Ferdinando II delle Due Sicilie]]}} Dopo il 1830 nacque una nidiata di giornali, che sebbene parlassero solo di cose letterarie, e dicessero quello che potevano dire, pure ei si facevano intendere, erano pieni di vita e di brio, e toccava quella corda che in tutti risponde. Era moda parlare d'[[Italia]] in ogni scritturella, si intende già l'Italia dei letterati: e sebbene molti avessero la sacra parola pure al sommo della bocca, nondimeno molti alri l'avevano in cuore. (citato in [[Elena Croce]], ''La patria napoletana'', Mondadori, 1974)
*Io le voglio un gran bene a quella città di [[Catanzaro]], e piacevolmente mi ricordo sempre di tante persone che vi ho conosciute piene di cuore e di cortesia, ingegnose, amabili, ospitali [...]. (da ''Ricordanze della mia vita'')
*Io non so se Roma pagana gettò più uomini alle belve, che Roma cristiana al rogo. (da ''Lezioni di letteratura italiana'')
*Il [[mondo]] stima poco quello che paga poco. (da ''Le ricordanze'')
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*Io aveva vent'anni, ed era della guardia nazionale, e una mattina feci la sentinella innanzi alla camera dove erano a consiglio i capi della repubblica, e quando uscirono presentai le armi a [[Domenico Cirillo]] che uscì primo, e mi guardò, e mi sorrise, ed io ancora ricordo quel sorriso: presentai le armi a [[Mario Pagano]] e [[Vincenzo Russo]] che andavano ragionando, presentai le armi a tutti gli altri. Si avvicinava il cardinale [[Fabrizio Ruffo|Ruffo]]. Chi può descrivere i furori della plebe, e il terrore che faceva il grido di "viva il re"? (p. 4)
*L'amore che io avevo ai libri mi era stato istillato nell'animo dal caro e benedetto padre mio, il quale era poeta, e aveva fatto versi improvvisi, e ne scriveva che mi piacevano tanto, ed era bel parlatore, e mi ragionava sempre di uomini grandi e della bellezza del sapere, e mi diceva sempre che nei libri si trova tesori inestimabili. "Quando tu leggerai e intenderai bene [[Virgilio]], [[Lucrezio]], [[Livio]], [[Cicerone]], e poi quando saprai il greco e leggerai [[Omero]], [[Sofocle]], [[Tucidide]], tu ti sentirai più che uomo, ci troverai bellezze divine, sapienza profonda; e se tu lavori, e Iddio ti benedice, tu potrai essere grande anche tu." (p. 6)
*Intanto venne l’agosto, vennero le nuove delle tre giornate di luglio a [[Parigi]]. Che salti, che allegrie, che propositi facevamo noi altri giovani! S’aspettava anche noi il giorno di pigliare le armi, e scoparla una volta per sempre questa razza borbonica nemica di ogni bene e di ogni libertà. reRe [[Francesco I delle Due Sicilie|Francesco]] fu atterrito dalla novella. Corse voce che il giovane [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando]], che allora attendeva a riformare l'esercito, dicesse al padre: "Andiamo noi coi nostri soldati a rimettere l’ordine a Parigi". E Francesco rispose: "Che soldati! Ti puzza ancora la bocca di latte, e non sai che bestie sono i francesi". Se è vero, non so; né io ero lì in corte per udire cosiffatto discorso. Si diceva, e io lo ridico. Se è un’invenzione, dentro c’è la verità del carattere del padre e del figliuolo. Sul cominciare di novembre re Francesco morì dopo cinque anni regnati coi preti, con le spie e col carnefice. (p. 14)
*Oggi non si vuol sapere di sette, e va benissimo: ma una volta esse ci sono state, e per esservi dovevano avere la loro ragione. Non bisogna scandalezzarsene e biasimarle così a la cieca, ma considerare che in certi tempi e in certi popoli elle sono una necessità, e moltissimi uomini di virtù e di senno credettero bene di appartenervi. Nei paesi liberi ci sono le parti, le quali sono pubbliche, e adoperano mezzi se non sempre onesti almeno d’un’apparenza legale. Nei paesi servi ci sono le sette, che sono segrete, e che per ira e corruzione non badano troppo alla qualità dei mezzi. Le sette sono una necessità della servitù, e cessano quando l’idea che le ha formate non è più né segreta né di pochi, ma pubblica e generale, e deve diffondersi e volare per tutto. Se volete la farfalla, dovete avere prima il verme. Allora non potevamo in altro modo intenderci, accordarci, tentare libertà, e spargere il seme di quelle idee che han prodotto il frutto che ora apparisce. Non abbiate dunque a male se io vi parlo d'una setta. (p. 30)
 
*In tutte le cose del mondo un poco d'impostura ci vuole, ed è come il sale che da sapore se è poco, e rende amaro se è molto. L'è una cosa difficile, ma il più difficile e più bello.(p. 30)
*L’unità d’Italia fu sempre antico e continuo desiderio di tutti gli Italiani intelligenti e generosi. [[Dante]] voleva l'unità del mondo con a capo l'[[Italia]], la monarchia universale con due capi l'imperatore e il papa: questa era una poesia ma ha il suo valore storico, perché indica che l’unità religiosa del medio evo era già rotta e divisa in due. (p. 31)
*Se l'[[Italia]] fosse repubblica non potrebbe essere che una federazione di repubbliche, delle quali più che la metà sarebbero del papa. (p. 31)
*Io non conobbi mai Giuseppe Mazzini, ma io l'onoro come uomo che al suo tempo fece gran bene alla causa della libertà. Egli ebbe un concetto monco, la libertà e l'indipendenza, e non si curò dell’unità che per noi italiani è idea madre di tutte le altre: rappresentò un'idea vaga di libertà e però egli ebbe seguaci tutti coloro che non avevano un concetto determinato della libertà, e specialmente i giovani. (p. 31)
*Io non perdevo briciola di tempo, ed anche camminando per le vie leggevo [[Omero]], e ne andavo ripetendo i versi: e poi a un tratto correvo col pensiero a lei, e mi scordavo d'Omero. Oh, chi mi ridona quegli anni, quegli studi, quei giorni d'amore e di speranza? Una sola volta in vita si studia bene, come una volta sola veramente si ama. (p. 33)
*Io le voglio un gran bene a quella città di [[Catanzaro]], e piacevolmente mi ricordo sempre di tante persone che vi ho conosciute piene di cuore e di cortesia, ingegnose, amabili, ospitali [...]. (da ''Ricordanze della miap. vita''34)
*{{NDR|da [[Catanzaro]]}} Il mare è distante da la città sei miglia, ma ti pare di averlo sotto la mano, e ne odi il fragore: vi si discende per una strada che va lungo un torrente, e quando sei su la riva trovi un villaggio che chiamano la Marina, dove i signori hanno loro casini e la primavera vanno a villeggiare. (p. 34)
*Quando da un luogo della città detto la Villa io guardai quella fioritissima veduta, volli trovare la fede di battesimo di Catanzaro, e dissi: "Se la vostra cronaca narra che un potente bizantino a nome Flagizio venne nell’ottavo secolo e fondò o ampliò la città, egli le dovette dare questo nome di Catantheros, Catantharos, (��������) che vuoi dire sul fiorito, e glielo diede pel sito bellissimo ed amenissimo su cui forse ebbe una sua villa, e poi surse la città". "Oh, che Flagizio e che greco voi ci contate. Una volta c’erano due fratelli briganti, Cataro e Zaro, i quali dopo molti anni che scorsero la campagna, infine si pentirono, e vennero qui che era luogo forte, e nessuno poteva toccarli: qui abitarono con la loro compagnia e le loro famiglie, qui fabbricarono una chiesa e ci furono seppelliti; e così si formò la città che porta il nome di tutti e due." Ci ebbi una quistione lunga che non è decisa ancora: anzi ogni buon catanzarese tiene per i due briganti, e non so come non gli hanno messi tra i santi protettori della città. (p. 35)
*C’era stato il terremoto grande del 1832, e tutti ne parlavano con terrore, e mi mostravano le rovine in vari luoghi, e narravano fatti dolorosissimi. "Ah," mi diceva uno, "se non ci fossero i terremoti ed i briganti, la [[Calabria]] sarebbe il primo paese del mondo". (p. 35)
*L’arte che tutti i [[Calabria|calabresi]] sanno benissimo, dal più ricco all'ultimo mendico, è quella di maneggiare il fucile. (p. 35)
*Quando le strade comunali, provinciali, e ferrovie metteranno i [[Calabria|Calabresi]] in facili comunicazioni tra loro e con le altre genti d’Italia, allora si scioglierà quell’antica lotta chiusa in ogni paesello tra il proprietario sempre usuraio lì, e il proletario sempre debitore, si ammansirà quell’odio per oltraggi antichi che è la vera cagione del [[brigantaggio]]. (p. 36)
*Quando quelle genti avranno lavoro, istruzione e giustizia, quelle loro nature sì gagliarde nei delitti saranno gagliarde nel lavoro, nelle industrie, nelle arti, nella guerra santa e nazionale. In nessuna contrada ho veduto più ingegno che in [[Calabria]], lì schizza proprio dalle pietre, ma raramente è congiunto a bontà, spesso è maligna astuzia. (p. 36)
*In quel sozzo lombricaio borbonico, il solo re [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando]] fu costumato.
*Nessun prete voleva riceverlo in chiesa. Il [[Antonio Ranieri|Ranieri]] parlò a parecchi parrochi, e tutti no: gli fu indicato quello di San Vitale come uomo di manica larga e ghiotto di pesci. Ei tosto corse a la Pietra del pesce, comperò triglie e calamai, e ne mandò un bel regalo al parroco, il quale si lasciò persuadere, e fece allogare il cadavere nel muro esteriore accanto la porta della chiesa. Così per pochi pesci [[Giacomo Leopardi]] ebbe sepoltura. Queste cose me le diceva il Ranieri, ed è bene che il mondo le sappia queste cose. (p. 40)
==Bibliografia==
*Luigi Settembrini, ''Ricordanze della mia vita'', BUR, 1964 da http://www.liberliber.it/biblioteca/s/settembrini/ricordanze_della_mia_vita_volume_primo/pdf/ricord_p.pdf