Leonardo Sciascia: differenze tra le versioni

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*[...] guardo troppo spesso la televisione, perché possa dirmi completamente immune della lebbra dell'imbecillità... Troppo spesso: e finirò, se già non ci sono finito, col contagiarmene... Perché, me ne confesso, la contemplazione dell'imbecillità è il mio vizio, il mio peccato... Proprio: la contemplazione... [[Giulio Cesare Vanini]], che è stato bruciato come eretico, riconosceva la grandezza di Dio contemplando una zolla; altri contemplando il firmamento. Io la riconosco dall'imbecille. Non c'è niente di più profondo, di più abissale, di più vertiginoso, di più inattingibile... Solo che non bisogna contemplare troppo... (pp. 20-21)
*Il pranzo della seconda sera fu davvero migliore, anche se relativamente. Il cuoco e i suoi aiutanti erano arrivati nel tardo pomeriggio: e soltanto avevano potuto correggere, rimediare. Ma il miglioramento bastò a sollevarci in un certo buonumore, come constatò don Gaetano: e passò così a deprecare quegli stupidi che mostrano di non curarsi di quello che mangiano o sono tanto naturalmente rozzi o ineducati da non curarsene davvero. Parlò della cucina francese: la sola, e meritatamente, che annoverasse un eroe come [[François Vatel|Vatel]], da paragonare a [[Marco Porcio Catone Uticense|Catone l'uticense]]; ché se questo si era ucciso per la libertà che se ne andava, quello per il pesce che non arrivava. E l'atto, davanti a Dio, aveva lo stesso valore, mosso com'era dalla stessa passione: il rispetto di sé. (p. 23)
*E mi venne voglia di dipingere. Ma subito me ne distolsi nel timore di squilibrare, di guastare; e cioè di non rendere. Vale a dire che era una voglia del tutto banale e, in un certo senso, accademica; da luogo comune, insomma. Di chi, non sapendo dipingere, o sapendo dipingere senza essere davvero pittore, di fronte a uno spettacolo della natura, a un paesaggio, a una certa disposizione di cose nello spazio e nella luce, dice «sarebbe da dipingere» che è, appunto, il più banale e accademico elogio della natura nel tempo stesso che si svaluta e degrada la pittura; la quale, almeno per me, si volge a tutto quel che non sarebbe da dipingere. (p. 25)
*Ma sempre c'era, in tutto quello che don Gaetano diceva o faceva, come una vibrazione o sfumatura d'irrisione: che, evidentemente, nessuno di quel gregge che intorno gli si raccoglieva era in grado di avvertire. E io l'avvertivo e me ne incantavo: perché mi parevano, quella distillata irrisione, quel sottile disprezzo, esercitati in una specie di consorteria, di solidarietà, che si era stabilita tra lui e me; e che la sua immagine fosse, più vecchia e saggia e consumata, la mia cui aspiravo. (p. 30)
*«I papi» disse don Gaetano «sono sempre in buona salute. Si può dire, anzi, che non solo muoiono in buona salute, ma di buona salute. Parlo, si capisce, di salute mentale [...] Altri mali, altri acciacchi, non contano». (p. 40)
*{{Riferito alla [[Chiesa cattolica]]}} Una forza senza forza, un potere senza potere, una realtà senza realtà. Quelle che in ogni altra cosa mondana non sarebbero che apparenze, a nascondere o a mistificare, nella Chiesa e in coloro che la rappresentano sono le interpretazioni o manifestazioni visibili dell'invisibile. E cioè tutto... (p. 40)
*E del resto credo che il [[laicismo]], quello che per cui vi dite laici, non sia che il rovescio di un eccesso di rispetto per la Chiesa, per noi preti. Applicate alla Chiesa, a noi, una specie di aspirazione perfezionistica: ma standone comodamente fuori. Noi non possiamo rispondervi che invitandovi a venir dentro e a provare, con noi, ad essere imperfetti... (p. 44)
*È una cosa talmente semplice, il [[fare l'amore|fare all'amore]]... Che è poi l'amore: non ce n'è altro, tra un uomo e una donna... È come aver [[sete]] e bere. Non c'è niente di più semplice che aver sete e bere; essere soddisfatti nel bere e nell'aver bevuto; non avere più sete. Semplicissimo. (p. 45)