C. S. Lewis: differenze tra le versioni

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*Sin dai primissimi anni fui conscio del netto contrasto che correva tra il temperamento sereno ed ilare di mia madre e gli alti e bassi della vita emotiva di mio padre: e ciò generò in me, prima ancora che fossi in grado di riconoscerli, una certa diffidenza o un rifiuto delle emozioni come qualcosa di spiacevole, di imbarazzante, e addirittura di pericoloso. (pp. 9-10)
*Avevo imparato a rappresentare il movimento—i miei personaggi davano realmente l'idea di essere in corsa od in lotta—e la prospettiva è discreta. Ma in nessuno dei disegni, miei o di mio fratello, si nota una sola linea tracciata in obbedienza a un'idea, per quanto acerba della bellezza. [...] Questa assenza di bellezza, adesso che ci penso, è caratteristica della nostra infanzia. Nessuno dei quadri appesi alle pareti della casa paterna attrasse mai la nostra attenzione: e, del resto, nessuno la meritava. Non vedemmo mai un bell'edificio, e neppure ci passò per la mente che un edificio potesse essere bello. Le mie prime esperienze estetiche, ammesso che fossero tali, non ebbero nulla a che fare col bello; erano già incurabilmente romantiche, non formali. (p. 11)
*Il terrore di certi sogni è anteriore a qualsiasi altro ricordo. Si tratta di un fenomeno molto comune a quell'età, eppure ancora oggi trovo strano che una infanzia ricca di tenerezza e di sollecitudine spesso ospiti in sé una finestra aperta su qualcosa che somiglia molto da vicino all'Inferno. I miei incubi erano di due tipi: quelli degli [[Fantasma|spettri]] e quelli degli insetti. I secondi erano di gran lunga i peggiori; ancora oggi, preferirei imbattermi in uno spettro anziché in una tarantola. (p. 12)
*A spingermi a scrivere fu l'estrema goffaggine manuale che mi ha sempre afflitto, e che attribuisco a un difetto fisico che io e mio fratello abbiamo ereditato da nostro padre; il nostro pollice ha una sola falange. [...] Ma, indipendentemente dalla causa, la natura mi ha inflitto dalla nascita la più assoluta inettitudine manuale. (p. 15)
*Per chi è ancora disposto a leggermi, mi limiterò a evidenziare quello che tutte e tre le esperienze hanno in comune, e cioè un desiderio inappagato che è esso stesso più desiderabile di qualsiasi appagamento. Io lo chiamo [[gioia]], che è qui un termine tecnico e va nettamente distinto dalla [[felicità]] così come dal [[piacere]]. La gioia (nel senso che io le attribuisco) ha in realtà in comune con essi una caratteristica, e una sola; il fatto che chiunque l'abbia provata vorrà provarla nuovamente. A parte questo, e solo in base alla sua natura, potremmo anche considerarla una infelicità o un dolore di genere particolare. Ma di un genere che desideriamo. Dubito che chiunque l'abbia sperimentata la scambierebbe mai, ammesso che fosse in suo potere, con tutti i piaceri del mondo. Ma, mentre il piacere lo è spesso, la gioia non è mai in nostro potere. (pp. 18-19)
*I bambini non soffrono (credo) meno degli adulti, ma in maniera diversa. Per noi ragazzi il vero lutto era cominciato prima che nostra madre {{NDR|malata di cancro}} morisse. La perdemmo nello stesso momento in cui veniva sottratta alla nostra vita per essere consegnata alle infermiere e al delirio e alla morfina e la nostra esistenza si trasformava in qualcosa di oscuro e minaccioso, e la casa si riempiva di strani odori e di rumori notturni e di sinistri discorsi pronunciati a bassa voce. [...] Si dice che un dolore comune leghi più strettamente le persone; io dubito che questo avvenga quando le persone in questione sono di età molto diversa. La mia esperienza mi dice che il dolore e il terrore dei grandi esercitano sui bambini un effetto completamente paralizzante e alienante. (p. 19)
*Mi portarono nella stanza dove mia madre giaceva morta; come dicevano, «per vederla»; in realtà, come seppi subito, «per vederlo». Non c'era nulla di quello che un adulto chiamerebbe devastazione, tranne la totale devastazione che è la morte stessa. Il mio dolore fu soffocato dal terrore. Ancora oggi non capisco cosa intendano col dire che i [[Cadavere|cadaveri]] sono belli. In confronto al più amabile dei morti, il più brutto uomo vivente è un angelo di bellezza. (p. 20)
*Con la morte di mia madre ogni certezza di felicità, tranquillità e sicurezza scomparvero dalla mia vita. Avrei conosciuto molti divertimenti, molti piaceri, molte trafitture di Gioia; ma l'antica sicurezza era svanita per sempre. Ora mi sentivo come un'isola sperduta nell'oceano; il grande continente era sprofondato come [[Atlantide]]. (p. 21)
*Alla mia venuta in questo mondo mi avevano (tacitamente) avvertito di non fidarmi mai di un papista e (apertamente) al mio arrivo alla facoltà di inglese di non fidarmi mai di un filologo. [[J. R. R. Tolkien|Tolkien]] era l'uno e l'altro. (p. 158)
*Nell'[[introspezione]] si cerca di guardare «dentro se stessi» e di vedere che cosa succede. Ma quasi tutto quello che accadeva un istante prima viene bloccato nel momento stesso in cui ci voltiamo a osservarlo. Sfortunatamente, questo non vuol dire che l'introspezione non trovi nulla. Al contrario, trova esattamente quello che la sospensione di tutte le nostre normali attività si lascia dietro; e ciò che si lascia dietro sono principalmente immagini mentali e sensazioni fisiche. Il grande errore consiste nello scambiare questo semplice sedimento o traccia o sottoprodotto per le attività stesse. (p. 159)