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*La [[colonialismo|colonizzazione]] dell'Irlanda, con tutti i suoi orrori, è il modello della successiva colonizzazione del Nord America. (cap. I, 6, p. 21)
*Non si tratta neppure del ritorno della schiavitù propria dell'antichità classica. Certo, già a Roma la [[schiavitù]]-merce aveva conosciuto un'ampia diffusione. E, tuttavia, lo schiavo poteva ragionevolmente sperare che, se non lui stesso, i figli o i nipoti avrebbero potuto conquistare la libertà e perfino una posizione sociale eminente. Ora, invece, la sua sorte si configura sempre più come una gabbia dalla quale è impossibile evadere. Nella prima metà del Settecento, numerose colonie inglesi in America varano norme che rendono sempre più difficile l'emancipazione degli schiavi. (cap. I, 8, p. 34)
*[In [[John Locke|Locke]]] la categoria del contratto può servire a spiegare solo la figura del ''servant'', mentre lo schiavo è tale in conseguenza del diritto di guerra (più esattamente della guerra giusta di cui sono protagonisti gli europei impegnati nelle conquiste coloniali), ovvero di una <<«manifesta dichiarazione>>» divina. (cap. II, 3, p. 45)
*Possiamo allora giungere alla conclusione che, anche a voler fare astrazione dalle colonie nel loro complesso (compresa l'Irlanda), nella stessa [[Inghilterra]] il godimento pieno di una sfera privata di libertà garantita dalla legge – la «libertà moderna» o «negativa» di cui parlano rispettivamente [[Benjamin Constant|Constant]] e [[Isaiah Berlin|Berlin]] – è il privilegio di una ristretta minoranza. La massa è sottoposta a una regolamentazione e a una coazione che vanno ben al di là del luogo di lavoro (o del luogo di punizione che sono sì le carceri, ma anche le case di lavoro e l'esercito). [...] Ora, più ancora che il disciplinamento di operai e vagabondi, come in [[John Locke|Locke]] e Mandeville, il problema è l'ottundimento della coscienza e della sofferenza dell'affamato in generale. Ferma resta tuttavia la tendenza a governare l'esistenza delle classi popolari anche nei suoi aspetti più minuti. Il riferimento all'oppio aggiunge semmai un tocco di cinismo. (cap. III, 8, pp. 86-87)
*Ma basta un piccolo mutamento di prospettiva per vedere i codici in una luce diversa: paradossalmente essi miravano a disciplinare i bianchi. Non era al negro ma principalmente al bianco che la legge diceva cosa egli doveva fare; i codici erano per gli occhi e le orecchie dei proprietari di schiavi (talvolta la legge esigeva che i codici fossero pubblicati sui giornali e letti dagli ecclesiastici alle loro congregazioni). Era al bianco che si richiedeva di punire i suoi schiavi fuggiaschi, di prevenire l'assembramento di schiavi, di far rispettare il coprifuoco, di sedere nelle corti speciali e di partecipare al pattugliamento. (cap. IV, 2, pp. 100-101)
*La tentazione [[eugenetica]] attraversa in profondità la tradizione [[liberalismo|liberale]]. Non a caso, la disciplina che prende questo nome conosce il suo battesimo in Gran Bretagna e gode poi di una straordinaria fortuna negli Stati Uniti. (cap. IV, 6, p. 116)
*E cioè, la «democrazia per il popolo dei signori» può anche andare oltre e configurarsi come socialismo per il «popolo dei signori», mentre a definire il radicalismo è per l'appunto la polemica contro la pretesa di un determinato gruppo etnico o sociale ad atteggiarsi a «popolo dei signori». (interpretando Arendt, 1986: cap. V, 16, p. 179)
*Sono per l'appunto la drastica restrizione del politico e la conseguente esclusione dal suo ambito proprio della dimensione più profonda della totalità sociale a suscitare le critiche di Marx. Dal punto di vista della società e della teoria politica borghese – egli osserva già negli scritti giovanili – i rapporti sociali «hanno soltanto un significato privato, nessun significato politico». Nella sua forma più sviluppata, lo Stato borghese si limita «a chiudere gli occhi e a dichiarare che certe opposizioni reali non hanno ''carattere politico'', che esse non gli danno noia». Una volta considerati privi di rilevanza politica, i rapporti borghesi sociali e di potere nella fabbrica e nella società possono svilupparsi senza impacci o impedimenti esterni. (cap. VI, 6, pp. 194-5)
*Si verifica però un fenomeno paradossale. Mentre da un lato coltiva nostalgie pre-moderne, dall'altro il [[liberalismo]] contrasta il movimento impegnato nella rivendicazione dei diritti politici e di quelli economici e sociali, accusandolo di sostanziale incapacità a comprendere e ad accettare la modernità. (cap. VI, 9, p. 204)
*Una vena [[Darwinismo sociale|socialdarwinistica]] attraversa il pensiero liberale fin dai suoi inizi. Sono eloquenti gli argomenti con cui, nell'Inghilterra della seconda metà del Settecento, [[Joseph Townsend]] polemizza contro ogni tentativo di introdurre una legislazione a favore dei poveri: essa finirebbe soltanto col distruggere l'equilibrio della natura, cancellando la «pressione pacifica, silenziosa, incessante della fame» e favorendo la crescita di una sovrappopolazione oziosa e ridondante. [...] Fin dagli inizi, la tendenza a naturalizzare il conflitto sociale e a presentare la ricchezza e il potere delle classi dominanti come espressione di un'immutabile legge naturale (in questo senso Burke parla di «aristocrazia naturale», consacrata dalla «Natura») comporta un elemento socialdarwinistico ''ante litteram''. (cap. VI, 11, p. 212)
*Benché il vasto paese fosse abitato da numerose tribù d'indigeni, si può affermare a ragione che al momento della scoperta esso non era che un deserto. Gli indiani lo occupavano, ma non lo possedevano, poiché solo con l'agricoltura l'uomo si appropria del suolo e i primi abitatori dell'America del Nord vivevano dei prodotti della caccia.<br>Già per Locke, a fondare il diritto di proprietà può essere solo il lavoro, di cui risulta incapace un popolo dedito esclusivamente alla caccia. (cap. VII, 5, p. 228)
*Resta fermo che il termine «liberale» nasce da un'auto-designazione orgogliosa, che ha al tempo stesso una connotazione politica, sociale e perfino etnica. Siamo in presenza di un movimento e di un partito che intendono chiamare a raccolta le persone fornite di un'«educazione liberale» e autenticamente libere, ovvero il popolo che ha il privilegio di essere libero, la «razza eletta» – per dirla con Burke –, la «nazione nelle cui vene circola il sangue della libertà». Tutto ciò non è stupefacente. Come è stato chiarito da eminenti studiosi delle lingue indoeuropee, «liberi» è una «nozione collettiva», è un segno di distinzione che compete ai «ben nati» e solo a loro. Proprio per questo, al di fuori della comunità dei liberi e dei ben nati, la servitù o la schiavitù non solo non è esclusa ma è perfino presupposta. Agli occhi di Cicerone, alla testa dei ''liberi populi'' è Roma, che pure procede alla schiavizzazione in massa dei popoli sconfitti e considerati indegni della libertà. In modo analogo, nell'Inghilterra liberale del XVIII secolo, una canzone divenuta assai popolare (''Rule Britannia'') così inneggia all'impero che ha da poco strappato alla Spagna l'''asiento'', il monopolio della tratta dei neri: «Questo fu il suo privilegio divino, / che gli angeli cantarono in coro: / Oh Britannia, comanda alle onde, / Mai gli inglesi saranno schiavi». (cap. VIII, 1, p. 242)
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*Ai suoi inizi, il liberalismo esprime l'autocoscienza di una classe di proprietari di schiavi o di servi, che si va formando mentre il sistema capitalistico comincia a emergere e ad affermarsi grazie anche a quelle pratiche spietate di espropriazione e oppressione messe in atto nella metropoli e soprattutto nelle colonie e da Marx descritte quale «accumulazione capitalistica originaria». Contro il dispotismo monarchico e il potere centrale questa classe rivendica l'autogoverno e il godimento tranquillo della sua proprietà (compresa quella in schiavi e servi), il tutto all'insegna del governo della legge, del ''rule of law''. Possiamo allora dire che quella liberale è la tradizione di pensiero che con più rigore ha circoscritto un ristretto spazio sacro nell'ambito del quale vigono le regole della limitazione del potere; è una tradizione di pensiero caratterizzata, più che dalla celebrazione della libertà o dell'individuo, dalla celebrazione di quella comunità degli individui liberi che definisce lo spazio sacro.<br>Non a caso, i paesi classici della tradizione liberale sono quelli in cui, attraverso il puritanesimo, più profondamente ha agito l'Antico Testamento. Ciò vale già per la rivoluzione olandese o, perlomeno, per i boeri di origine olandese, che si identificano col «popolo eletto». E vale a maggior ragione per l'Inghilterra: a partire soprattutto dalla Riforma, gli inglesi si considerano la nuova Israele, «il popolo investito dall'Onnipotente d'una missione al tempo stesso particolare e universale». Questa ideologia e questa coscienza missionaria si diffondono, ulteriormente enfatizzate, al di là dell'Atlantico. Basti pensare a Jefferson, il quale propone che lo stemma degli Stati Uniti rappresenti i figli di Israele guidati da un fascio di luce. E di nuovo si fa sentire in tutta la sua radicalità la distinzione tra spazio sacro e spazio profano. (cap. IX, 4, p. 305)
*Giungiamo così a un risultato paradossale, almeno rispetto all'ideologia dominante. L'Occidente è al tempo stesso la cultura che con maggior rigore ed efficacia teorizza e pratica la limitazione del potere, e che con più successo e su scala più larga si è impegnata nello sviluppo della ''chattel slavery'', l'istituto che implica il totale dispiegamento del potere del padrone sugli schiavi ridotti a merce e «natura». E tale paradosso si manifesta in modo particolarmente clamoroso proprio nei paesi di più consolidata tradizione liberale. (cap. IX, 4, p. 306)
*Per tanto tempo la grande cultura europea aveva guardato con curiosità e interesse alla [[Cina]]: dov'erano le guerre di religione che insanguinavano l'Europa? Esse erano impedite da una religione che rifuggiva dal mistero e dal dogma, risolvendosi nell'etica54etica. Per i ''philosophes'' era più facile riconoscersi nei mandarini che non nel clero cattolico o nei pastori protestanti. L'importanza del ruolo svolto da un ceto di intellettuali laici nel grande paese asiatico era confermata dal fatto che là le più alte cariche dell'amministrazione erano spesso assegnate mediante concorso pubblico piuttosto che essere appannaggio, come avveniva in Francia, di un'aristocrazia nobiliare, alleata e intrecciata col clero. In ogni caso, in Cina il principio laico e moderno del merito aveva la meglio sul principio oscurantista del privilegio fondato sulla nascita e sul sangue. (cap. IX, 5, pp. 308-9)
*Giunto al trionfo planetario, l'Occidente liberale ritiene di identificarsi in modo permanente con la causa della civiltà e della libertà. A partire da questa assoluta e immodificabile preminenza vediamo un'élite esclusiva, la ristretta comunità dei liberi, formulare in modo esplicito la pretesa, fino a quel momento ignota e inaudita, di esercitare una dittatura planetaria sul resto dell'umanità. (cap. IX, 6, p. 310)
*Ad accomunare le due situazioni è in ogni caso la violenza dell'ideologia razzista. [[Theodore Roosevelt]] può tranquillamente essere accostato a Hitler. Al di là delle singole personalità conviene non perdere di vista il quadro generale: «Gli sforzi per preservare la "purezza della razza" nel Sud degli Stati Uniti anticipavano alcuni aspetti della persecuzione scatenata dal regime nazista contro gli ebrei negli anni trenta del Novecento».<br>Se poi si tiene presente la regola per cui nel Sud degli Stati Uniti bastava una sola goccia di sangue impuro per essere esclusi dalla comunità bianca, una conclusione si impone: «La definizione nazista di un ebreo non fu mai così rigida come la norma definita "the one drop rule", prevalente nella classificazione dei neri nelle leggi sulla purezza della razza nel Sud degli Stati Uniti». (cap. X, 5, p. 334)