Zenone di Cizio: differenze tra le versioni

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*Gli uomini dabbene sono tutti [[amicizia|amici]] fra loro.<ref name="p18">Citato in 1932, p. 18.</ref>
*I lineamenti dell'[[Anima e corpo|anima]] superano in bellezza quelli del corpo.<ref name="p18"/>
*Il [[piacere]] è indifferente, vale a dire {{sic|nè}} bene {{sic|nè}} male.<ref name="p121">Citato in 1932, p. 121.</ref>
*Il [[sapiente]] non proferirà una [[parola]] senza averla intinta nel senno.<ref name="p108">Citato in 1932, p. 108.</ref>
*Il sommo bene è vivere in coerenza con la natura.<ref>Citato in 2002, p. 87.</ref>
:Lo [[senso della vita|scopo della vita]] è di vivere in accordo con la [[natura]].<ref>Citato in Giuliana Baulino, ''Accanto a loro con sguardo amico: Aforismi, epigrammi, poesie, proverbi sui malati e il loro mondo'', Effatà Editrice, Cantalupa, 2000, [http://books.google.it/books?id=scyAdaoZ9w0C&pg=PA55#v=onepage&q&f=false p. 55]. ISBN 88-86617-51-8</ref>
*I [[maestri]], che passano il loro tempo sempre tra i ragazzi, hanno tanta poca intelligenza quanto loro stessi.<ref>Citato in 1962, VII, 18, p. 299.</ref>
*I piaceri del [[mangiare]] e del bere si acquistano facilmente con la fatica; ma gli uomini preferiscono averli dall'arte del [[cuoco]].<ref>Citato in 1932, p. 73.</ref>
*Il [[piacere]] è indifferente, vale a dire {{sic|nè}} bene {{sic|nè}} male.<ref name="p121">Citato in 1932, p. 121.</ref>
*Il [[sapiente]] non proferirà una [[parola]] senza averla intinta nel senno.<ref name="p108">Citato in 1932, p. 108.</ref>
*{{NDR|Vedendo che Teofrasto suscitava ammirazione per il gran numero di discepoli che aveva}} Il suo coro sarà più grande, ma il mio è meglio intonato.<ref name=ant125/>
*L'[[arte]] è un sistema di percezioni concordanti ed esercitate tutte insieme per un fine di utilità pratica.<ref>Citato in 1932, p. 111.</ref>
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*Non dobbiamo memorizzare voci e vocaboli, ma dobbiamo esercitare l'[[intelletto]] per disporlo all'uso, non come se dovessimo ricevere qualcosa bell'e cotto e imbandito.<ref>Citato in 2002, p. 133.</ref>
*Non è da uomo forte il lasciarsi vincere dalle preghiere e distogliere dalla giusta [[severità]].<ref>Citato in 1932, p. 70.</ref>
*Per la maggior parte i [[filosofi]] sono saggi nelle cose di grande importanza, ignoranti nelle cose piccole e fortuite.<ref>Citato in 1962, VII, 21, p. 300.</ref>
*Se l'inetto [[dibattito|disputa]] col valentuomo, non è chiaro che avrà la peggio? Dunque l'inetto non ha diritto a parità di parola di fronte al valentuomo.<ref name="p19" />
*Tutte le [[colpa|colpe]] sono eguali.<ref name="p121" />
*{{NDR|Alla domanda: «Che cosa è un [[amicizia|amico]]?»}} Un altro me stesso.<ref name=Laerzio>Citato in [[Diogene Laerzio]]1962, ''Vite dei filosofi''VII, a cura di Marcello Gigante, Mondadori, Milano, 2009, VII 23, p. 251301.</ref>
*Un male non può essere glorioso; ma esiste una [[morte]] gloriosa; dunque la morte non è un male.<ref name="p121" />
*{{NDR|[[ultime parole]]}} Vengo: perché mi chiami?<ref>Citato in 1962, VII, 28, p. 304. Scrive Diogene Laerzio: «La sua morte avvenne così: nell'uscire di scuola inciampò e si ruppe un dito, battette la mano sulla terra e citò il verso della ''Niobe'': "Vengo: perché mi chiami?"». Il riferimento sarebbe alla ''Niobe'' di Timoteo (e non di Eschilo).</ref>
*Vivi, o uomo, non solo per mangiare e bere, ma anche per fruire di una vita che sia ben vissuta.<ref name="ant137"/>
 
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*AA.VV., ''I frammenti degli stoici antichi'', 2 voll., a cura di Nicola Festa, Laterza, Bari, 1932-1935, [https://archive.org/details/IFrammentiDegliStoiciAntichiVol1 vol. I], 1932.
*AA.VV., ''Stoici antichi'', a cura di Roberto Radice, Bompiani, Milano, 2002. ISBN 88-452-9056-5.
*Diogene Laerzio, ''Vite dei filosofi'', a cura di Marcello Gigante, Laterza, Bari, 1962.
 
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