Carlo Goldoni: differenze tra le versioni

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*[...] e finalmente arrivammo a [[Udine]], che è la capitale del Friuli veneziano. [...] Quasi tutte le terre sono feudali, e dipendono dai rispettivi loro sovrani, ed ha inoltre il castello d'Udine una sala di parlamento nella quale gli Stati si adunano; singolar privilegio, che non esiste in verun'altra provincia dell'Italia. [...] La città è bellissima: le chiese sono ricchissimamente decorate, e le pitture di Giovanni d'Udine, scolare di Raffaello, ne fanno il principale ornamento. Vi è un luogo per il passeggio nel mezzo della città, sobborghi piacevoli, e contorni deliziosi. Il palazzo immenso ed i magnifici giardini di Passarean dei conti Manini, nobili veneziani, formano un soggiorno da monarca. ([[s:Memorie di Carlo Goldoni/Parte prima/XV|parte prima, capitolo XV]])
*Ero già avvocato, già ero stato presentato alla curia, e non si trattava che di aver clienti: mi portavo ogni giorno al palazzo ad udire le arringhe dei maestri dell'arte; e guardavo per ogni dove se il mio aspetto risvegliava effetti simpatici in qualche litigante, che avesse avuta volontà di produrmi almeno in una causa di appello. Un avvocato novizio non può figurare e farsi onore nei tribunali di prima istanza, ma solo nelle Corti superiori può far spiccare la scienza, la facondia, la voce, la grazia, quattro mezzi in egual modo necessari perché in Venezia un avvocato sia posto nel primo grado. ([[s:Memorie di Carlo Goldoni/Parte prima/XXIV|parte prima, capitolo XXIV]])
*Quante persone non vi sono di modi soavi e di pulitissimo tratto, che mutano poi tono, carattere ed anche aspetto, poste a un tavolino da giuoco? Un uomo generoso divien talvolta furibondo, anche per una perdita leggiera. La cagione non è, egli dice, la perdita del danaro, ma bensì l'amor proprio. ([[s:Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXV|parte terza, capitolo XXV]])
*Non bisogna che le padrone di casa siano le prime ad incominciar la partita, lasciando accomodar gli altri nella maniera che loro piace: ciò è avvenuto più d'una volta sotto i miei occhi, ed io medesimo poi sono stato testimone delle lagnanze di quelli che si son creduti mal collocati. La [[tombola]] è un giuoco comodissimo per evitare tutti questi inconvenienti, potendosi adunare all'istessa tavola moltissima gente. La signora che fa gli onori della partita, vi assiste parimente, restando ognuno contento; ma è questo, a parer mio, il giuoco più insipido e noioso che siasi mai immaginato. Approvo che in tutti i giuochi possa molto la sorte, ma quando ho in mano un mazzo di carte, fo almeno qualche cosa; ma alla tombola non fo nulla. Se vinco agli altri giuochi, posso almeno aver la compiacenza di avervi contribuito colle mie proprie combinazioni; e se perdo, nutro pure la speranza di avere evitati molti colpi sinistri, ai quali un altro sarebbe forse soggiaciuto; dimodochè il mio amor proprio rimane in qualche maniera soddisfatto: ma in codesto maledetto giuoco di palline io sono sempre e poi sempre la vittima. ([[s:Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXV|parte terza, capitolo XXV]])
*Sento intorno a me vociare terni, quaderne, cinquine, mentre io non ho altro che estratti, e qualche ambo; divento giuocatore senza saperlo; me la prendo con quelli che vincono, perchè la loro vincita deve per necessità accrescere la mia perdita, onde il mio amor proprio ne resta offeso, non meno che l'interesse della mia borsa. A tutto ciò aggiungesi la noia; insomma, non può esservi regalo più sgradito per me, che quello di farmi l'onore d'offrirmi una cartella. ([[s:Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXV|parte terza, capitolo XXV]])
 
==[[Incipit]] di alcune opere==