Michael Crichton: differenze tra le versioni

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*«Questo è vivo,» disse Leavitt. «Vive, respira, cammina e parla. Solo che noi non possiamo vederlo, perché tutto questo accade troppo lentamente. La vita di una [[pietra|roccia]] dura rte miliardi di anni, la nostra solo sessanta o settanta. Non possiamo vedere quello che succede a questa roccia per la stessa ragione per cui non possiamo riconoscere il motivo di un disco suonato alla velocità di un giro ogni secolo. E la roccia, per parte sua, non s'accorge neppure della nostra esistenza, perché noi siamo vivi solo per un brevissimo istante della sua vita. Per lei siamo come lampi nel buio.» (Terzo giorno - ''Wildfire'', cap. 20 - ''Routine'', p. 234)
 
*Aveva [[Sogni dai libri|sognato]] una casa, e poi una città: una città intorno alla casa, immensa, complessa, piena di collegamenti. Nella casa viveva un uomo, con la sua famiglia; l'uomo era attivo, lavorava e andava avanti e indietro entro i confini della città, girando, agendo, reagendo.<br/>E poi, nel sogno, la città era scomparsa di colpo, lasciando solo la casa. Ma com'erano cambiate, allora, le cose! Una casa isolata, solitaria, senza niente di ciò che le serviva: acqua, fognature, elettricità, strade. E una famiglia, tagliata fuori dai supermarket, dalle scuole, dai grandi magazzini. E il marito, il cui lavoro si svolgeva in città, a stretto contatto con gli altri, improvvisamente abbandonato a se stesso come un naufrago su un'isola deserta. (Terzo giorno - ''Wildfire'', cap. 20 - ''Routine'', p. 239)
 
*Come molte persone intelligenti, Stone aveva un atteggiamento piuttosto sospettoso verso il proprio cervello, in cui vedeva una macchina abile e precisa, ma capricciosa. Non si stupiva mai quando la macchina non funzionava pur temendo e odiando quei momenti. Nelle sue ore più nere, Stone dubitava dell'utilità di ogni riflessione e di ogni [[intelligenza]]. [...] Era più distruttiva che creativa, più confusionaria che chiarificatrice, più scoraggiante che soddisfaente, più dispettosa che caritatevole. (Terzo giorno - ''Wildfire'', cap. 20 - ''Routine'', pp. 241-42)
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*C'erano dei momenti in cui vedeva nell'uomo, col suo [[cervello]] gigantesco, l'equivalente degli antichi dinosauri. Anche i ragazzi delle scuole medie sapevano che i dinosauri erano cresciuti troppo, erano diventati troppo grossi e pesanti per mantenere la propria vitalità. A nessuno capitava mai di chiedersi se il cervello umano, la struttura più complessa della parte dell'universo conosciuta, con tutto quello che pretendeva dal corpo in termini di sangue e nutrimento, non fosse qualcosa di analogo. Forse il cervello umano era diventato, per l'uomo, una specie di dinosauro, e forse, alla fine, si sarebbe estinto come loro.<br>Il solo cervello consumava già un quarto dell'intera dotazione di sangue dell'organismo. Un quarto di tutto il sangue pompato dal cuore andava al cervello, un organo che rappresentava solo una piccola percentuale della massa corporea. Se il cervello si fosse sviluppato ulteriormente, ingrandendosi e migliorando, avrebbe forse consumato di più: avrebbe forse consumato tanto da invadere il suo ospite, come un'infezione, e uccidere il corpo che lo trasportava.<br>O forse, nella sua infinita intelligenza, avrebbe trovato il modo di distruggere se stesso e gli altri cervelli. C'erano dei momenti in cui, come quando partecipava a una seduta del Dipartimento di Stato, o della Difesa, e posava lo sguardo sulla gente seduta intorno al tavolo, non vedeva altro che una dozzina di cervelli, grigi e tortuosi, disposti a semicerchio intorno a lui. Né carne né sangue ne mani, né occhi, né dita. Né bocche, né organi sessuali: tutti questi erano superflui.<br>Semplici cervelli. Seduti intorno al tavolo, nel tentativo di decidere come mettere nel sacco altri cervelli, ad altri tavoli di altre conferenze.<br>Idiota.<br>Stone scrollò il capo, pensando che stava diventando come Leavitt, con le sue assurde e inverosimili teorie.<br>Eppure le idee di Stone avevano una specie di logica consequenzialità. Se davvero l'uomo temeva e odiava il proprio cervello, avrebbe anche tentato di distruggerlo. Di distruggere il suo e quello dei suoi simili. (Terzo giorno - ''Wildfire'', cap. 20 - ''Routine'', pp. 242-43)
 
*«Proviamo dunque, per trasmettere il nostro segnale, a scartare la fisica e a ricorrere alla biologia. Proviamo a creare un sistema di comunicazioni che non diminuisce con la distanza ma che, anche a milioni di chilometri, conserva la stessa potenza che aveva all'origine.<br>«In breve, cerchiamo un organismo che possa portare il nostro messaggio. L'organismo si riprodurrà da solo, costerà poco e potrà essere ottenuto in un numero pressoché infinito di esemplari. Per qualche dollaro se ne potrebbero produrre miliardi, da inviare nello spazio in tutte le direzioni. Organismi robusti, ovviamente, capaci di svilupparsi, riprodursi, dividersi, nonostante i rigori dello spazio. In due o tre anni la galassia ne ospiterebbe un numero infinito: in viaggio in tutte le direzioni, in attesa di venire a contatto con una forma di vita.<br>«E quando questo si verificasse? Ogni singolo organismo avrebbe il potenziale per svilupparsi in un organo completo, o in un completo organismo. Essi comincerebbero, al primo contatto con la vita, a crescere fino a trasformarsi in un completo meccanismo in grado di comunicare. Sarebbe come sparpagliare nello spazio un miliardo di cellule cerebrali, ciascuna delle quali capace di trasformarsi, nelle giuste circostanze, in un cervello completo. Allora il cervello appena cresciuto si rivolgerebbe alla cultura nuova, informandola della presenza dell'altra e spiegando in qual modo si potrebbe venire a contatto.» (Quarto giorno - ''Diffusione'', cap. 22 - ''L'analisi'', pp. 263-64) {{NDR|la teoria di Samuels dell'Organismo Messaggero}}
*Aveva [[Sogni dai libri|sognato]] una casa, e poi una città: una città intorno alla casa, immensa, complessa, piena di collegamenti. Nella casa viveva un uomo, con la sua famiglia; l'uomo era attivo, lavorava e andava avanti e indietro entro i confini della città, girando, agendo, reagendo.<br/>E poi, nel sogno, la città era scomparsa di colpo, lasciando solo la casa. Ma com'erano cambiate, allora, le cose! Una casa isolata, solitaria, senza niente di ciò che le serviva: acqua, fognature, elettricità, strade. E una famiglia, tagliata fuori dai supermarket, dalle scuole, dai grandi magazzini. E il marito, il cui lavoro si svolgeva in città, a stretto contatto con gli altri, improvvisamente abbandonato a se stesso come un naufrago su un'isola deserta. (p. 239)
 
==''Il mondo perduto''==