Niccolò Machiavelli: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
+2
fix
Riga 73:
*{{NDR|[[Regole dai libri|Regola]]}} Nella zuffa non adoperare mai una battaglia ad un'altra cosa che a quella per che tu l'avevi deputata, se tu non vuoi fare disordine. (Fabrizio: [[s:Dell'arte della guerra/Libro settimo|libro settimo]], p. 379)
*{{NDR|[[Regole dai libri|Regola]]}} Agli accidenti subiti con difficoltà si rimedia, a' pensati con facilità. (Fabrizio: [[s:Dell'arte della guerra/Libro settimo|libro settimo]], p. 379)
*{{NDR|[[Regole dai libri|Regola]]}} Gli uomini, il ferro, i danari e il pane sono il nervo della guerra; ma di questi quattro sono più necessarj i primi due, perchèperché gli uomini e il ferro truovano i danari e il pane, ma il pane e i danari non truovano gli uomini e il ferro. (Fabrizio: [[s:Dell'arte della guerra/Libro settimo|libro settimo]], p. 379)
*{{NDR|[[Regole dai libri|Regola]]}} Il disarmato ricco è premio del soldato povero. (Fabrizio: [[s:Dell'arte della guerra/Libro settimo|libro settimo]], pp. 379-380)
*{{NDR|[[Regole dai libri|Regola]]}} Avvezza i tuoi soldati a spregiare il vivere delicato e il vestire lussurioso. (Fabrizio: [[s:Dell'arte della guerra/Libro settimo|libro settimo]], p. 380)
Riga 111:
ITALIANA, TOSCANA, O FIORENTINA}}
 
SemprechèSempreché io ho potuto onorare la [[patria]] mia, eziandio con mio carico e pericolo, l'ho fatto volentieri, perché l'uomo non ha maggiore obbligo nella vita sua, che con quella, dependendo prima da essa l'essere, e dipoi tutto quello che di buono la fortuna, e la natura ci hanno conceduto; e tanto viene a esser maggiore in coloro che hanno sortito patria più nobile. E veramente colui il quale con l'animo e con le opere si fa nimico della sua patria, meritamente si può chiamare parricida, ancora che da quella fosse suto offeso.
 
===Citazioni===
*[...] mi fermerò sopra di [[Dante Alighieri|Dante]], il quale in ogni parte mostrò d'essere per ingegno, per dottrina, e per giudizio uomo eccellente, eccettochèeccettoché dove egli ebbe a ragionar della patria sua, la quale fuori di ogni umanità e filosofico istituto perseguitò con ogni specie d'ingiuria, e non potendo altro fare che infamarla, accusò quella di ogni vizio, dannò gli uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi, e delle leggi di lei, e questo fece non solo in una parte della sua Cantica, ma in tutta, e diversamente, e in diversi modi; tanto l'offese l'ingiuria dell'esilio, tanta vendetta ne desiderava, e però ne fece tanta quanta egli potè; e se per sorte de' mali ch'egli le predisse, le ne fosse accaduto alcuno, Firenze arebbe più da dolersi d'aver nutrito quell'uomo, che d'alcuna altra sua rovina. (p. 119)
*Dante mio, io voglio che tu t'emendi e che tu consideri meglio il parlar Fiorentino, e la tua opera, e vedrai, che se alcuno s'arà da vergognare, sarà piuttosto Firenze, che tu; perché se considererai bene a quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi versi non hai fuggito il goffo, come quello: ''Poi ci partimmo, e n'andavamo introque''<ref>{{cfr}} ''[[Divina Commedia]]'', ''Inferno'', XX canto, v. 130.</ref>; non hai fuggito il porco, com'è quello: ''Che merda fa di quel che si trangugia''<ref>{{cfr}} ''[[Divina Commedia]]'', ''Inferno'', XXVIII canto, v. 27.</ref>; non hai fuggito l'osceno, come è: ''Le mani alzò con ambedue le fiche''<ref>{{cfr}} ''[[Divina Commedia]]'', ''Inferno'', XXV canto, v. 2.</ref>; e non avendo fuggito questo che disonora tutta l'opera tua, tu non puoi aver fuggito infiniti vocaboli patrj, che non s'usano altrove, che in quella, perché l'arte non può mai in tutto repugnare alla natura. (pp. 125-126)
*[...] ma quella [[linguaggio|lingua]] si chiama d'una patria, la quale converte i vocaboli ch'ella ha accattati da altri, nell'uso suo, ed è sì potente, che i vocaboli accattati non la disordinano ma la disordina loro, perchèperché quello ch'ella reca da altri, lo tira a se in modo, che par suo, [...]. (p. 126)
 
==''I capitoli''==
Riga 183:
*[...] e senza quella occasione la virtù dell'animo loro si saria spenta, e senza quella virtù l'occasione sarebbe venuta invano. ([[s:Il Principe/Capitolo VI|cap. VI]])
*[...] la natura de' popoli è varia, ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermargli in quella [[persuasione]]. ([[s:Il Principe/Capitolo VI|cap. VI]])
*A sì alti esempi io voglio aggiugnere uno esempio minore; ma bene arà qualche proporzione con quelli, e voglio mi basti per tutti li altri simili: e questo è Ierone Siracusano {{NDR|[[Gerone II]]}}. Costui di privato diventò Principe di Siracusa; nè ancor egli cognobbe altro dalla fortuna che l'occasione: perchèperché essendo i Siracusani oppressi l'elessono per loro capitano, donde meritò d'essere fatto loro Principe; e fu di tanta virtù ancora in privata fortuna, che chi ne scrive dice, che niente gli mancava a regnare eccetto il Regno. Costui spense la milizia vecchia, ordinò della nuova; lasciò le amicizie antiche, prese delle nuove; e come ebbe amicizie e soldati che fussino suoi, possé in su tale fondamonto edificare ogni edifizio: tanto che lui durò assai fatica in acquistare e poca in mantenere. ([[s:Il Principe/Capitolo VI|cap. VI]])
[[Immagine:Cesareborgia.jpg|thumb|Su Cesare Borgia: «Raccolte adunque tutte queste azioni del Duca, non saprei riprenderlo, anzi mi pare, come io ho fatto, di proporlo ad imitare a tutti coloro, che per fortuna e con l'armi d'altri sono saliti all'imperio. Perché egli avendo l'animo grande, e la sua intenzione alta, non si poteva governare altrimente; e solo si oppose alli suoi disegni la brevità della vita di Alessandro, e la sua infirmità.»]]
*Dall'altra parte [[Cesare Borgia]], chiamato dal vulgo Duca Valentino, acquistò lo Stato con la fortuna del Padre, e con quella lo perdette, non ostante che per lui si usasse ogni opera, e facessinsi tutte quelle cose che per un prudente e virtuoso uomo si dovevano fare, per mettere le radici sue in quelli Stati, che l'armi e fortuna di altri gli aveva concessi. ([[s:Il Principe/Capitolo VII|cap. VII]])
Riga 193:
*Ma la poca [[prudenza]] degli uomini comincia una cosa, che per sapere allora di buono non manifesta il [[veleno]] che v'è sotto, [...]. ([[s:Il Principe/Capitolo XIII|cap. XIII]])
*Nasce da questo una disputa: ''s'egli è meglio essere amato che [[timore|temuto]], o temuto che amato''. Rispondesi, che si vorrebbe essere l'uno e l'altro; ma perché egli è difficile, che e' stiano insieme, è molto più sicuro l'esser temuto che amato, quando s'abbi a mancare dell'un de' duoi. ([[s:Il Principe/Capitolo XVII|cap. XVII]])
*Deve nondimeno il Principe farsi temere in modo, che, se non acquista l'amore, e' fugga l'odio, perché può molto bene stare insieme esser temuto, e non odiato; il che farà, semprechèsempreché s'astenga dalla roba de' suoi cittadini, e de' suoi sudditi, e dalle donne loro. ([[s:Il Principe/Capitolo XVII|cap. XVII]])
*[...] gli uomini dimenticano piuttosto la morte del padre, che la perdita del patrimonio. ([[s:Il Principe/Capitolo XVII|cap. XVII]])
*Quanto sia laudabile in un Principe mantenere la [[fiducia|fede]], e vivere con integrità, e non con astuzia, ciascuno lo intende. Nondimeno si vede per esperienzia, ne' nostri tempi, quelli Principi aver fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con astuzia aggirare i cervelli degli uomini, ed alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in su la lealtà. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
*Pertanto ad un Principe è necessario saper ben usare la bestia e l'uomo. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
*Essendo adunque un Principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quella pigliare la [[volpe]] e il [[leone|lione]]; perchèperché il lione non si defende da' lacci, la volpe non si defende da' [[lupo|lupi]]. Bisogna adunque essere volpe a cognoscere i lacci, e lione a sbigottire i lupi. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
*Non può pertanto un Signore prudente, nè debbe osservare la fede, quando tale osservanzia gli torni contro, e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
*Né mai a un Principe mancheranno cagioni legittime di colorare l'inosservanza. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
Riga 244:
===Citazioni===
*''Perché la vita è brieve | e molte son le pene | che vivendo e stentando ognun sostiene; || dietro alle nostre voglie, | andiam passando e consumando gli anni, | ché chi il piacer si toglie | per viver con angosce e con affanni, | non conosce gli inganni | del mondo; o da quai mali | e da che strani casi | oppressi quasi sian tutti i mortali.'' ([[s:La mandragola/Canzone da dirsi innanzi alla commedia, cantata da ninfe e pastori insieme|Canzone {{small|da dirsi innanzi alla commedia, cantata da ninfe e pastori insieme}}]])
*E' non è mai alcuna cosa sì desperata, che non vi sia qualche via da poterne [[speranza|sperare]]; e benchèbenché la fussi debole e vana, e la voglia e il desiderio, che l'uomo ha di condurre la cosa, non la fa parere così. (Callimaco: [[s:La mandragola/Atto primo/Scena prima|atto I, scena I]])
*[...] quando una cosa fa per uno, si ha a credere, quando tu gliene communichi, che ti serva con fede. (Callimaco: [[s:La mandragola/Atto primo/Scena prima|atto I, scena I]])
*[...] le [[donna|donne]] si sogliono con le buone parole condurre dove altri vuole. (Siro: [[s:La mandragola/Atto secondo/Scena quinta|atto II, scena V]])