Simonetta Ulivieri

Simonetta Ulivieri (? – vivente), pedagogista italiana.

Le bambine nella storia dell'educazione

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  • È indubbio, però, che il diritto all'istruzione, al di là delle sue concrete e limitate manifestazioni, sia stato percepito, a livello politico (dai liberali, dai massoni, dalle organizzazioni dei lavoratori, dal partito socialista, dalle Leghe per la pace e la libertà, dai primi gruppi emancipazionisti), non solo come un diritto da estendere a tutti, ma come premessa per acquisire una soggettività autonoma a livello sociale, una premessa irrinunciabile per il riscatto da ogni forma di subalternità. (p. 228)
  • L'istruzione [a Napoli alla fine dell'800] era considerata come ornamento, non come bisogno di ogni persona, molto meno come bisogno di conoscere i suoi doveri ed aiuto ad adempierli. (p. 228)
  • Ma quando finisce l'infanzia nell'Ottocento? quando non si è più considerate delle bambine? Nei galatei spesso non si allude all'età la bambina diviene una «giovinetta» quasi per magia, si costata che è cresciuta, è divenuta una «donnina». (p. 252)
  • Prendendo, però, come punto di riferimento la legislazione minorile dell'Italia liberale, possiamo verificare che l'infanzia finisce presto, o meglio, che la società italiana tutela un periodo limitato dell'età infantile. (p. 252)
  • Per i galatei [nell'Ottocento], lavoro o non lavoro, infanzia finisce con la pubertà, quando inizia l'adolescenza e quando la crescita psicofisica impone di comportarsi in modo diverso dai piccini. (p. 253)
  • Per le bambine soprattutto il traguardo per entrare nel ruolo di adulte è più vicino e i pericoli e i trabocchetti nelle relazioni sociali sembrano aumentare. (p. 253)
  • Solo nel 1900 Matilde Serao, autrice di un galateo destinato alle donne in cui vi è una appendice per le care fanciulle, «Piccolo codice per le signorine» –, è molto assertiva nel precisare quando finisce l'infanzia: «Da dodici anni in poi si finisce di essere bimbe», a tredici si è «giovanette», a sedici «signorine» e a diciotto anni si è «presentate in società». (p. 253)
  • L'educazione igienica non viene mai trascurata nei galatei, che condividono le preoccupazioni per l'igiene e la difesa della salute pubblica che si sviluppa in Italia soprattutto a partire dagli anni Settanta dell'Ottocento e che diviene oggetto di studio per la scuola elementare italiana con i programmi del 1899.
  • Nei galatei per i bambini e le bambine, soprattutto del popolo, l'igiene personale è un compito che spetta a loro, in questo caso viene loro riconosciuta una grande autonomia e responsabilità. Sembra esplicito l'intento di formare attraverso i bambini dei cittadini nuovi, finalità non trascurata neppure dalla politica scolastica del secondo Ottocento. I bambini e le bambine devono preoccuparsi della pulizia della persona e degli abiti, indossati con grazia e sempre «convenienti», cioè adeguati alla propria condizione sociale. Nei galatei il corpo è lo specchio dell'anima, «la nettezza e l'ordine esteriore indicano mondezza e purezza dell'anima» si legge ne Il piccolo galateo del 1897. «Il corpo è l'abitazione dell'anima; questo voi già sapete da un pezzo. Ma perché l'anima possa esercitare il suo potere è necessario che il corpo sia sano. Per conservarlo sano bisogna averne cura. Si ha dunque il dovere di avere cura del corpo» si ricorda alle bambine della terza elementare ancora nel 1907. I bambini devono lavarsi con l'acqua fresca, «facendo anche uso del sapone», le mani, il viso, le orecchie, il collo, i denti e pettinarsi tutte le mattine; i piedi devono essere lavati con frequenza soprattutto d'estate, si ricorda ne Il piccolo galateo del 1897, tralasciando di parlare del bagno e delle altre parti del corpo, come avverrà solo a partire dagli inizi del Novecento. (p. 267)
  • Nei galatei sono considerate bambine cattive le bambine impazienti e sgarbate, le egoiste, le bugiarde, le pigre, le ghiotte, sono condannati cioè tutti i comportamenti opposti alle virtù classiche per le bambine dei galatei: la pazienza, la docilità, la diligenza, la moderazione e la bontà. Botte e punizioni di vario tipo non sembrano mancare nei ricordi autobiografici. I figli – ricorda Regina Terruzzi – si crescevano con la bacchetta: «La mia vicina di banco, maggiore di tanti marmocchi, mi raccontava delle battute materne per sgorbi sui quaderni, per macchie sui fogli dei compiti e spesso mi mostrava le ecchimosi sulle braccia e sulle gambe». E anche quando non si ricorreva alle botte «la bacchetta faceva bella mostra di sé in cucina, appesa sopra il camino e bastava indicarla per farci rigar dritto: era una specie di testimonianza a garanzia della quiete domestica». (p. 283)
  • Il digiuno veniva ampiamente usato come mezzo educativo, anzi correttivo, per piccole mancanze, bugie, disobbedienze, mancanza di rispetto. (p. 283)
  • Il destino della donna, la sua «missione», è quello di essere «buona figlia, buona sposa, buona madre, buona sorella». In qualche caso ritengono solo eccentriche le proposte che le donne «avessero a vestire alla foggia degli uomini», e del tutto assurdo che una donna possa aspirare ad esercitare i diritti politici, a partecipare «al compito della nazionale rappresentanza».
  • Nel 1909, si ribadisce che la bambina, se compie i suoi doveri, ha dei diritti: il diritto di essere amata, protetta, educata dai suoi genitori, il diritto di essere istruita, il diritto di essere difesa e protetta dallo Stato. (pp. 291)
  • Per quanto riguarda i diritti politici, la bambina viene informata su come i cittadini di uno Stato sono ammessi a partecipare all'amministrazione e al governo del proprio paese ma per concludere: «tutto ciò si riferisce all'uomo e non alla donna». (p. 291)
  • La donna non ha diritti politici ma deve conoscerli perché, si scrive, in qualche misura li può esercitare lo stesso: «perché un giorno, come sorella, come sposa, e come madre, deve spingere il fratello, il marito e i figli a compiere degnamente i loro doveri di cittadini». (p. 291)

Bibliografia

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  • Simonetta Ulivieri, Le bambine nella storia dell'educazione, Laterza, Bari, 1999.