Sarah Fahr
pallavolista italiana (2001-)
Sarah Luisa Fahr (2001 – vivente), pallavolista italiana.
Citazioni di Sarah Fahr
modificaCitazioni in ordine temporale.
- A 4 anni facevo ginnastica artistica. Quando sono diventata troppo alta però l'insegnante non mi faceva più gareggiare, io mi sono arrabbiata e, seguendo un'amica che già faceva pallavolo, ho iniziato così, per caso.[1]
- Quando ti fai male, ricevi messaggi del tipo "tranquilla, vedrai che tornerai più forte di prima": è proprio vero, perché gli infortuni ti insegnano a tenere la testa alta anche nei momenti più difficili e ti obbligano a percorrere una strada in salita ma che, una volta rientrata, sarà utile per il prosieguo della carriera.[2]
- Al giorno d'oggi il rapporto con il pubblico è fondamentale. Le persone ti vedono come atleta però vogliono sapere di più su di te e sulla persona che sei. Cerco di interagire sempre molto sui social e nella vita reale, mi fermo a fare autografi, saluti o anche due chiacchiere con le persone che incontriamo per strada e che ci fermano.[3]
- L'unione e il senso di collaborazione sono due aspetti fondamentali in ogni sport di squadra. Nella pallavolo la squadra è composta da 14 ragazze e diciamo che non è sempre facile andare d'accordo. In qualche modo si riesce sempre, perché abbiamo un obiettivo comune e lavoriamo per questo obiettivo. Quando stiamo in campo diamo tutte il 100% senza pensare alle dinamiche che si possono creare al di fuori del campo, però non nascondo il fatto che quando tutte e 14 vanno d'accordo anche al di fuori questo rappresenta un punto di forza per la squadra perché se c'è un senso di unione anche fuori dal campo è importante.[3]
- A 13 anni ho scelto che sarei stata italiana, sul piano sportivo. In realtà mi sento tutte e due, il tedesco è la prima lingua che ho imparato. Diciamo che la mentalità è tedesca, il modo di vivere italiano al 100%.[4]
- La prima volta lo stop [per infortunio] non mi era pesato, anche se fu lunga. Ma dopo la riabilitazione, alla quinta partita con il club di Conegliano mi sono rotta di nuovo lo stesso legamento crociato. E lì mi è crollato il mondo addosso, vedevo tutto nero. Chi mi dice che tornerò come prima, mi chiedevo? [...] Stavo andando a Roma per la seconda operazione. In treno un signore si accorge che sto leggendo un libro e inizia a parlarmi. Era un libraio di Conegliano, coincidenza. Mentre gli raccontavo la mia storia, vedevo che non faceva le facce degli altri, che mostravano tutti compassione. Lui non era dispiaciuto. Ho capito perché quando mi ha raccontato la sua storia. Era nato semiparalizzato e ci aveva messo 18 anni di fisioterapia per camminare. Ho pensato: io dopo un mese tornerò a fare una vita normale, e mi lamento? Stai zitta e mettiti lì con la testa.[4]
- Giocare per una squadra come Conegliano comporta sicuramente grandi responsabilità. Essere qui mi ha fatto crescere. A Conegliano si vuole vincere e quindi noi giocatrici dobbiamo fare di tutto per ottenere risultati.[5]
- A volte si sente gli atleti dire di esser rientrati dagli infortuni anche migliori rispetto a prima. Può sembrare una banalità, ma nel mio caso vi assicuro che è stato vero. L'infortunio ha la capacità di metterti di fronte enormi difficoltà, ma ti permette anche di crescere sotto molti aspetti. Ti dà innanzitutto un sacco di tempo per pensare a cosa vorresti fare, cosa ti rende davvero felice; pensieri che magari, durante una stagione sportiva vissuta tutta di corsa, non avresti avuto il tempo di elaborare. Poi ti permette di lavorare nel dettaglio su particolari che magari prima avevi trascurato; banalmente il bagher e il palleggio, i fondamentali del gioco della pallavolo.[6]
- [«Ma come fa Conegliano a vincere sempre in Italia, anno dopo anno, pur cambiando le giocatrici in squadra e confrontandosi contro avversarie sempre più temibili?»] Credo che gran parte del merito sia della società, che ogni stagione sceglie le proprie atlete guardando alle caratteristiche che ci rendono complementari; ma anche alle giocatrici come persone, con caratteristiche umane che ci rendano più facile lavorare in gruppo. Il lato umano a volte è davvero sottovalutato, eppure è molto importante quando ci si ritrova a dover passare tanto tempo insieme e inseguire obiettivi di lungo termine.[6]
Dall'intervista di Manuela Croci a Sette, Corriere della Sera; ripubblicato in corriere.it, 25 maggio 2024.
- Il primo amore? La ginnastica artistica. Avevo solo 5 anni. Per me era tutto. Guardavo il docu-reality con Carlotta Ferlito, mi immaginavo a volteggiare come lei. Stavo bene. A un certo punto il mio fisico ha iniziato a prevalere, ero decisamente più alta delle altre ragazze con cui facevo ginnastica [...] e ho capito che quella non era la mia strada [...]
- Sembrava tutto perfetto, ma dopo l'Olimpiade di Tokyo – mentre ero all'Europeo – mi sono fatta male al legamento crociato del ginocchio destro. [...] L'ho presa da subito piuttosto bene, ogni atleta deve mettere in conto di farsi male prima o poi. [...] L'ho presa come un'opportunità per capire chi ero fuori dalla pallavolo. [«Cosa ha capito?»] Che non è sempre tutto o bianco o nero. Che si può godersi un po' la vita pur essendo sportivi di alto livello: ci sono amici, affetti e un mondo da scoprire. E ho capito che ci sono anch'io, che voglio crescere e pensare al mio futuro.
- [Sull'Imoco Volley] Più che una squadra siamo una famiglia: le giocatrici vengono scelte non solo per le loro doti tecniche, si guarda molto all'aspetto umano: c'è la ragazza pazza scatenata, quella più tranquilla, quella che mette pace... si crea un legame e quando finisce una stagione è un disastro. [...] giorni di lacrime.
- C'è stato un momento, quando sono uscita da casa, in cui lo sport è stata una via di fuga: sentivo la necessità di lasciare Piombino, era un ambiente che mi stava stretto. Stare lontana e da sola è stato formativo: lo sport è stata la mia scuola di vita.
Citazioni non datate
modifica- I miei genitori sono tedeschi, si erano già trasferiti all'Isola d'Elba, io sono nata in Germania solo per avere la famiglia vicina per il parto. Ma pochi mesi dopo ero già a Piombino... Mio padre faceva lo skipper, una volta partendo dalla Germania superò la Francia, in Spagna caricò mio nonno e poi arrivò fino all'Elba. Io in barca ci sono nata, fino ai 12 anni uscivo anche da sola [...]. Ho scelto la pallavolo perché avevo fifa delle onde grosse.[7]
Note
modifica- ↑ Dall'intervista di Francesca Lenzi, «Ero troppo alta e scelsi la pallavolo quasi per rabbia», Il Tirreno, 31 agosto 2017.
- ↑ Dall'intervista di Alessandro Garotta, Sarah Fahr: "Gli infortuni ti insegnano a tenere sempre la testa alta", volleynews.it, 25 agosto 2022.
- ↑ a b Da Valentina Pasquali, Intervista alla pallavolista Sarah Fahr. "La positività che mi ha sempre contraddistinta!", kosmomagazine.it, 19 ottobre 2022.
- ↑ a b Da un'intervista a La Nazione, 22 gennaio 2023; citato in Volley: Sarah Fahr vuol riprendersi la nazionale, labrosport.it.
- ↑ Dall'intervista di Marco Boldini, Volley Supervision – A tu per tu con Sarah Fahr, romanews-lasupervisione24.com, 20 maggio 2023.
- ↑ a b Dall'intervista Dal buio allo Scudetto: il viaggio di Sarah Fahr, volleyballworld.com, 23 novembre 2023.
- ↑ Citato in Doriano Rabotti, Sarah Fahr, chi è la stella dell'Italvolley: le origini tedesche, il padre skipper e quell'incontro in treno che le cambiò la vita, sport.quotidiano.net, 11 agosto 2024.
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