Sabina Ciuffini

showgirl e imprenditrice italiana

Sabina Ciuffini (1950 – vivente), ex showgirl e imprenditrice italiana.

Sabina Ciuffini nel 1973

«Copiai dall'agenda di Biagi il telefono di Gianni Agnelli. La Rai mi allungò la gonna »

Intervista di Pier Luigi Vercesi, Corriere della Sera, 6 gennaio 2020.

  • [Quando conobbe Mike Bongiorno?] Entrò nella mia vita gli ultimi giorni prima della maturità. Gli serviva una valletta per una trasmissione di un paio di mesi. La tv faceva schifo a tutti, si stava in piazza. Mi proposero un provino e io subodorai la possibilità di una paghetta. Eravamo cinque, scelsero la sorella di Ornella Muti, Claudia Rivelli, stupenda, la più sviluppata di tutte noi. Rifiutò perché aveva contratti pubblicitari e l'avrebbero pagata troppo poco. Ritornai in gioco io: 10 mila lire al mese per tre ore di lavoro la settimana. Mia sorella e le amiche mi compativano, ero la stupidina che si truccava.
  • [Lei si presentò nella tv democristiana con la minigonna. Com'è stato possibile?] «Hot-pence, hot-pence», chiedeva Mike: «Come le ragazze americane». Me le dovette cucire mia nonna, di velluto nero: in Italia non esistevano. Ebbero un successo strepitoso, pacchi di lettere di ragazzine che scrivevano: "Finalmente papà mi permette di portare la minigonna. Se la mette la Sabina che è una brava ragazza..."
  • [Sulla trasmissione tv Rischiatutto] Era un gioco, doveva durare pochi mesi e continuò per cinque anni. [...] Dopo i primi svarioni cambiarono l'autore e, alla terza puntata, con la signora Longari, facemmo il botto. Ventottto, trenta milioni di persone ci guardavano tutte le settimane.
  • Io frequentavo il liceo classico Giulio Cesare a Roma, dove studiavano Walter Veltroni, Serena Dandini... un ottimo liceo, professori straordinari. Mia sorella Virginia, di due anni più grande, fu la prima ragazza con la Vespa. Femministra, politicizzata, niente trucco, Lotta Continua. Io minigonna, stivali, cappottone e ciglia finte. Libera di essere come volevo senza pagare pegno: le battaglie le avevano fatte loro. Non che fossi un'oca. Quando ci fu l'alluvione di Firenze, noi del Giulio Cesare, capitanati da quelli dell'ultimo anno, ci dirigemmo alla stazione, salimmo sul primo treno senza biglietto e partimmo per la città devastata dall'acqua.
  • [In riferimento alle interviste realizzate per il settimanale Sorrisi e canzoni] Un giorno, alla Locanda Solferino, mi avvicinai a Enzo Biagi e gli chiesi se mi aiutava a contattare Agnelli, Andreotti e qualcun altro. "Regola del mestiere è non dare mai i numeri di telefono" e tirò fuori l'agenda. Se la rigirò in mano, poi disse: "Vado in bagno". La rubrica era lì, sotto il naso, l'aprii e copiai i numeri che mi servivano.
  • [Su suo nonno, il giornalista e scrittore Guglielmo Giannini, fondatore del movimento politico Fronte dell'Uomo Qualunque] Nonno non era un politico, era un uomo speciale. Parlava all'uomo qualunque, la parola qualunquismo l'hanno inventata altri. Eppure anche in famiglia se ne vergognavano tutti: metà erano missini, gli altri di ultrasinistra. Io sono nata in Argentina, nella pampa, proprio per quel motivo: Augusto e Ivonne, papà e mamma, si sposarono quando nonno Guglielmo era all'apice del successo. Il loro matrimonio fu osteggiato, ma si amavano, si sposarono e fuggirono via. Neanche il tempo di fare la traversata con il transatlantico e nonno era in disgrazia. In Argentina, dove li attendevano ponti d'oro, tutte le porte si richiusero. Vita grama. Papà, architetto, finì a fare il camionista e si trasferirono a San Juan, dove siamo nate Virginia e io.

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