Patricia Gibney

scrittrice irlandese

Patricia Gibney (1962 – vivente), scrittrice irlandese.

Incipit di alcune opere modifica

L'ospite inatteso modifica

31 gennaio 1976

La buca che scavarono non era profonda, meno di un metro. Il corpicino era racchiuso in un sacco di farina color bianco latte ed era legato stretto, con i lacci sporchi di un grembiule che una volta era stato bianco. Fecero rotolare il sacco sul terreno, anche se era leggero e avrebbero potuto alzarlo senza problemi. Non mostrarono alcun rispetto per il defunto. Uno di loro con un calcio lo spedì in mezzo alla buca e lo schiacciò ancora più giù nel terreno con la suola delle scarpe. Non fu recitata alcuna preghiera, niente parole ispirate, ma solo vangate di terra umida che velocemente coprivano il candore con l'oscurità, simile al calare di una notte non annunciata dal crepuscolo. Sotto l'albero di mele, che avrebbe fatto nascere dei boccioli bianchi in primavera e donato ricchi frutti in estate, giacevano due cumuli di terra, uno compatto e solido, l'altro fresco e friabile.
Tre faccine osservavano dalla finestra del terzo piano con occhi terrorizzati. Si inginocchiarono su uno dei loro letti, con quei cuscini ruvidi.
Mentre le persone sotto raccoglievano i loro utensili e se ne andavano, i tre continuarono a guardare verso il melo, che era ora illuminato da una falce di luna. Erano stati testimoni di qualcosa che le loro giovani menti non potevano comprendere. Tremavano, ma non per il freddo.
Il bambino di mezzo parlò senza girare la testa.
«Chi di noi sarà il prossimo?».

Le ragazze scomparse modifica

Kosovo 1999

Il ragazzo amava la pace che c'era laggiù. Il ruscello scorreva a metà strada tra casa sua e quella della nonna. Nonostante il rombo dell'acqua scrosciante, era una giornata tranquilla. Niente sparatorie, niente bombardamenti. Mentre affondava il secchio nella sorgente, si guardò intorno per controllare di essere solo. Gli parve di sentire un'auto in lontananza, si guardò alle spalle. La polvere si levava dietro la curva della strada. Stava arrivando qualcuno. Tirò su il secchio, rovesciando l'acqua. Lo stridio dei freni e le voci chiassose lo spinsero a correre.
Nei pressi della casa, lasciò cadere il secchio e si gettò a terra, acquattandosi a pancia di sotto, con la ghiaia che gli graffiava la pelle nuda. Aveva dimenticato la camicia appesa a un chiodo arruginito che sporgeva da un blocco di cemento, là dove stava lavorando insieme a Papa. Stavano cercando di riparare i danni causati da una bomba a casa della nonna. Il ragazzo sapeva che era tutto inutile, ma Papa aveva insistito. A tredici anni aveva ormai capito che non gli conveniva contraddirlo. A ogni modo era stato felice di trascorrere una giornata insieme a Papa, lontano da quelle chiacchierone di sua madre e sua sorella.
Avanzando sui gomiti e sulle ginocchia, strisciò lungo la strada polverosa fino ai cespugli sul ciglio della carreggiata. Si trovava a poche centinaia di metri da casa. Ma era come se fosse lontano chilometri e chilometri.
Tese l'orecchio. Udì delle risate, seguite da urla. Mama? Rhea? No! Implorò il sole nel cielo senza nuvole. L'unica risposta che ottenne fu il calore che gli ardeva la pelle.
Altre risate ruvide. Soldati?
Avanzò lentamente. Grida di uomini. Cosa poteva fare? Papa era troppo lontano per arrivare in loro soccorso? Aveva con sé la pistola?

Uccidere ancora modifica

«Stai buono. Per favore. Non piangere di nuovo».
«Ma... lei mi ha fatto male. Voglio tornare dall'altra mamma».
«Shh. Shh. Anch'io. Però se facciamo i bravi, vedrai che questa mamma non ci farà più del male. Devi essere tanto, tanto buono.»
Ancora pianti. «È troppo difficile. Ho fame. Hic... hic.»
«Non farti venire il singhiozzo adesso. No. La fa diventare matta».
Avvolgo le braccia intorno al corpo esile e minuto del mio gemello e fisso lo sguardo nell'oscurità. È troppo buio qui dentro. Quando questa mamma ha spento la luce in corridoio, anche la piccola crepa vicino alla serratura si è riempita di oscurità. Mi stendo sul sacco per l'aspirapolvere, cercando di dargli la forma di un cuscino, ma è troppo bitorzoluto, e il mio corpo troppo ossuto. Un formicolio mi intorpidisce il braccio nel punto in cui mio fratello ha appoggiato la testa.
Non riesco a muovermi. Forse per i grandi il mio gemello sarà leggerissimo, ma su di me è come un macigno.
Un ragno si cala dalla tela, giù fin sul mio naso. Non riesco a trattenermi e lancio un urlo. Il mio gemello mi scivola dalle braccia e sbatte rumorosamente la testa contro la parete. Urla anche lui adesso.
L'armadio del corridoio è soffocante, le nostre grida risuonano pertinenti e stridule. Nessuno dei due sa perché l'altro sta strillando. Nessuno dei due può far smettere l'altro di piangere. Nessuno dei due sa quando finirà l'orrore.
E poi... il rumore della serratura che si apre.

Nessun luogo è sicuro modifica

Martedì 9 febbraio 2016, ore 3:15

Continuò a correre senza fermarsi, anche se i piedi nudi si infradiciavano di brina. Era convinta di gridare eppure dalla gola non le usciva alcun suono. Andò a sbattere con il gomito contro una pietra; un dolore trascurabile se paragonato alla paura che provava.
Azzardando un'occhiata, si rese conto che il buio alle sue spalle era profondo quando l'oscurità che le si parava davanti. Senza accorgersene aveva deviato dal sentiero, e si era persa tra le pietre calcaree. Le rocce fredde le tagliavano i piedi, così cercò di issarsi sul gradino che doveva essere lì da qualche parte, ma andò a sbattere e cadde in avanti in un solco adiacente.
Il suo unico pensiero era mettersi in salvo. Si trascinò sulle ginocchia sanguinanti e si mise in ascolto. Silenzio. Nessun rumore di ramoscelli spezzati né di foglie sferzate. Era andato via? Aveva abbandonato la caccia? Ora che aveva smesso di correre, tremava con violenza nella notte gelida. Una luce sulla destra in fondo al pendio attirò la sua attenzione mentre scrutava l'orizzonte. Una fila di casette. Sapeva con esattezza dove si trovava. E in lontananza vide l'alone ambrato delle luci della strada. La salvezza.

I bambini silenziosi modifica

La puzza di fumo che usciva dai comignoli delle case popolari le intasava la gola. Affrettò il passo cercando di tenere il conto dei secondi e dei minuti che passavano. Ma si confuse e lasciò perdere quando un'altra fitta di dolore le attanagliò l'addome. Cadde in ginocchio, tenendosi la pancia con le mani.
Le luci dei lampioni la guidavano lungo il vicolo deserto che correva dietro la gradinata. Aveva i jeans fradici, non sapeva se di sangue o di acqua. Sperava che non fosse sangue. Un'altra fitta la squarciò in due, si morse il labbro per soffocare il grido che minacciava di sgorgarle dalla gola e perdersi nella foschia.
Le gocce di pioggia le picchiettavano la pelle come pallini di una pistola ad aria compressa. La sensazione la sorprese perché, prima che iniziasse lo scroscio, non percepiva altro che i dolori lancinanti alla parte inferiore del corpo. Diluviava, e non aveva la felpa. In un attimo, la maglietta sottile si inzuppò completamente e così pure i jeans e le scarpe.
Svoltando a sinistra, si diresse verso il campo da calcio, ma le luci erano accese e una folla si muoveva lungo il lato del circolo. Doveva esserci una festa, pensò. Fece per tornare da dove era venuta, e in quel momento un'altra fitta acuta di dolore la piegò in due.
«Non ancora. Ti prego!», urlò al cielo carico di pioggia.
Lo scroscio passò oltre. Nell'arco di cinque minuti, aveva raggiunto il tunnel che serpeggiava sotto il canale. No, non poteva andare in quella città. L'avrebbero notata, e lei non voleva farsi vedere in quello stato. La gente spettegolava già abbastanza. Si arrampicò sul pendio scivoloso verso il corso d'acqua. Quando raggiunse il sentiero di ghiaia, iniziò a correre lungo il ciglio del canale, circondata da giunchi, lattine e sporcizia. Le sembrò di sentire qualcuno alle sue spalle, ma non aveva le forze per guardarsi indietro. Non c'era nessuno lì, si disse, erano solo i ratti.
E poi sentì un'altra fitta di dolore. E tutto cambiò di colpo.

Bibliografia modifica

  • Patricia Gibney, L'ospite inatteso, traduzione di Sandro Ristori, Newton Compton Editore, 2018. ISBN 978-88-227-2014-6
  • Patricia Gibney, Le ragazze scomparse, traduzione di Laura Miccoli, Newton Compton Editore, 2020. ISBN 978-88-227-3999-5
  • Patricia Gibney, Uccidere ancora, traduzione di Laura Miccoli, Newton Compton Editore, 2020. ISBN 978-88-227-3919-3
  • Patricia Gibney, Nessun luogo è sicuro, traduzione di Sebastiano Barcaroli, Newton Compton Editore, 2021. ISBN 978-88-227-5323-6
  • Patricia Gibney, I bambini silenziosi, traduzione di Laura Miccoli, Newton Compton Editore, 2022. ISBN 978-88-227-6060-9

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