Matteo Corradini

scrittore ed ebraista italiano (1975-)

Matteo Corradini (1975 – vivente), scrittore italiano.

Matteo Corradini

Incipit di alcune opere

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Alfabeto ebraico

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ALEF. Comincia la PRIMAVERA, ma non guardare le piante tutte insieme, guardane una soltanto. Stai guardando quella pianta? Ma non guardare i rami tutti insieme, guardane uno soltanto. Lo stai guardando? Ma non guardare le foglie tutte insieme, guardane una soltanto. La stai guardando? Ma non guardare tutte le gocce di rugiada che sono sulla foglia, guardane una soltanto. La stai guardando? È una sola, piccola GOCCIA DI RUGIADA. Se ti avvicini la vedi bene. È come una lente d'ingrandimento. Se la guardi da molto vicino vedi attraverso la goccia le altre gocce, e poi la foglia, e le altre foglie, e il ramo e gli altri rami, e l'albero e gli altri alberi. Attraverso una goccia di rugiada vedi tutto il mondo.

Annalilla

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Prima c'era già qualcosa. Prima del mio arrivo sulla strada di campagna, prima che le mie scarpe da ginnastica toccassero la terra e l'erba, c'era già qualcosa. C'erano i sassi. C'era la libellula che spavento, c'erano i fiori e c'era il lago che circondo al tramonto correndo. C'erano gli aironi passeggeri e il mio respiro corto, la ragnatela che mi disturba gli occhi e che getto lontana con due dita.

Eravamo il suono

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Alma ha tredici anni e un lecca-lecca in bocca. Anita ha tredici anni e due buchi in più sul lobo sinistro. Alma ha gli occhiali da vista con la montatura spessa, e un neo sulla guancia. Anita ha gli occhiali da sole gialli a specchio, e una cicatrice sul braccio. A colazione, Alma ha mangiato fette biscottate con marmellata di ciliegie. Anita i cereali, ma senza latte. Nello zaino di Alma c'è nascosto un romanzo per quando a scuola ci si annoia. Nello zaino di Anita c'è una tasca piena di petardi, ma l'accendino è rimasto a casa. Alma adora i maglioni larghi, i braccialetti coi fili di gomma, le canzoni che fanno piangere, e svegliarsi tardi la mattina. Anita i giubbotti neri, i tatuaggi finti che ti incolli sulle braccia con lo sputo, le canzoni per fare salti sul letto, e svegliarsi tardi la mattina. Alma è in banco con Anita. Anita è in banco con Alma. Alma suona la batteria. Anita il violoncello.

Fu Stella

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Nel buio del cielo fu Stella a parlare: | «Ben prima dell'alba quando svanirò | avrei qualche storia da farvi ascoltare | di quelle accadute e di quelle che so. | Ben prima del giorno, dell'alba ben prima | se non vi dispiace ve le dirò in rima.

Improvviso scherzo notturno

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Se Bartolomeo Cristofori non avesse inventato l'Arpicembalo col Piano e Forte, nessun viaggio avrebbe senso. Lo penso ogni volta che accendo il camion. Mi siedo sul sedile molleggiato a guardare la strada, controllo che gli specchi siano a posto e parto, vado, guido per ore e ore e alla radio cerco sempre di ascoltare pianoforti e ancora pianoforti mentre attraverso il mondo. A volte gli parlo, al camion. A volte lo considero tanto vicino da sentirlo quasi me stesso.
Le sue ruote portano qua e là la terra del pianeta. Quando lo lavo, trovo incastonati nelle righe dei copertoni i sassi che ho raccolto sul percorso. Li estraggo e li spolvero con le dita: non so da dove vengano ma per me sono preziosi. Ne tengo alcuni per ricordo in un vecchio barattolo della marmellata e ci scrivo sopra i nomi dei posti dove sono stato.
La polvere rimane sulle mie dita e tra le pagine dei libri che leggo: sono i miei passeggeri preferiti, li leggo mentre il benzinaio mi fa il pieno, oppure alla sera quando dormo accampato in qualche piazzola dal nome senza pronuncia. Sono libri dedicati ai pianisti, ai compositori e soprattutto ai loro pianoforti.
Non ho il tempo di andare ai concerti, anche se col mestiere che faccio potrei vedere i migliori di tutto il continente: chissà se farebbero entrare a teatro uno vestito così, come me. Con queste manone. La musica la ascolto nella mia cabina mentre guido al caldo. Infilo una cassetta e via, gioco ad andare piano perché la musica finisca prima della fine del viaggio.

Irma Kohn è stata qui

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Lei non c'è.
La sua camera è un disastro. Mobili fracassati, legni scheggiati, sul pavimento collanine e specchietti, brandelli di armadietti, la testiera del letto gettata tra le lenzuola, vetri esplosi in mille briciole luccicanti. Come una casa di bambola scaraventata a terra da una bambina scontrosa.
Due persone escono dalla penombra ormai prossima al buio. Arrivano ansimando dalle scale del palazzo e si fanno largo con circospezione, riprendono fiato mentre avanzano impazienti di stanza in stanza, lasciandosi precedere dalla canna di un fucile, passano guardinghe e chinano il capo davanti alle finestre. Dalla strada e dall'edificio di fronte provengono rumori laceranti, grida di donne, porte che sbattono, latrati di neonati, urli di pistola, stivali militari che corrono sui ciottoli. Ma lì, nell'apocalisse in cameretta, sembra che il silenzio profondo abbia preteso un momento tutto per sé.

La pioggia porterà le violette di maggio

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«Tanto tempo fa era un albero».
Il papà di Clara ha voglia di indovinelli mentre le consegna orgoglioso un pacco rosa, grande come una scatola da scarpe, con un fiocco di tulle leggero annodato sopra e un bigliettino con la scritta "Buon compleanno".
Le ripete: «Tanto tempo fa era un albero».
E Clara è raggiante ma rimane senza parole mentre cerca di bucare la scatola con lo sguardo per vedere attraverso il cartone cosa contiene e risolvere l'enigma.

La repubblica delle farfalle

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«Tanto per cominciare, ho una sorpresa.» Dalle carabattole che aveva portato tolse un picco­ lo sacchetto ruvido: nel sacchetto era appallottolato uno straccio scuro. Edison lo prese in mano e poi in braccio, neanche contenesse un neonato che dorme. Se lo appoggiò a una guancia, lo rimise sul tavolo e a quel punto lo aprì, come il mago che mostra il cappello prima vuoto e poi pieno. Fu l'ultima volta che accendemmo una lampadi­na tutti insieme. Lassù nella soffitta ci eravamo di­menticati del buio, del silenzio, della notte che in­combeva su di noi. Delle stelle che non si vedevano più, oltre la finestra. Avevamo scordato perfino l'odore delle coperte fradice, la sensazione del pi­docchio che ti saltella in testa. Eravamo solo noi. E c'era ancora Jiri col suo talento sfortunato, che non sapeva ancora dove sarebbe girata la sua ruota.

Se la notte ha cuore

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Era un'idea bellissima ma l'aveva dimenticata a casa. Diranno così quando racconteranno la notte di Codini Donna, sempre che qualcuno lo venga a sapere. Se vogliamo raffigurarcelo, lo vediamo curiosamente quieto, Codini Donna è al buio, scomodo sulla seggiola di paglia presente in ogni stanza della grande casa, e coi gomiti sul davanzale osserva quanto sta avvenendo tre piani più in basso, nel luogo che di pomeriggio ospita smisurate partite di pallone e tediose attività all'aria aperta, laggiù dove i ragazzi e le ragazze ballano ora intorno al fuoco.

Siamo partiti cantando

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Non ricordo quale canzone fosse, ma siamo partiti cantando. Ricordo bene il luogo, invece, perché mi portavo dentro la sensazione di conoscerlo da sempre: si chiama Westerbork, è un campo di prigionia e ha tutto quello che serve, le figure tristi dei prigionieri cacciati via da casa, la fila di baracche di legno umido, le assi scure forate da un'infinità di spifferi, le rotaie del treno che attraversano il campo tagliandolo in due. Il cartello con la scritta Westerbork suonava come un addio anche quando lo vedevi per la prima volta.

Solo una parola

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Roberto ha nove anni, Roberto ha nove amici, Roberto ha nove biglie nel cassetto del comodino, Roberto ha nove libri e li tiene in ordine dal più grande al più piccolo, Roberto ha nove vestiti tra estate e inverno, Roberto a scuola è il nono che chiamano all'appello. Roberto vive a Venezia da quando è nato, e di automobili nella sua lunga vita ne ha viste pochissime, forse nove in tutto, mentre non ricorda un giorno senza almeno una barca. Roberto ama giocare a qualsiasi gioco. Nelle giornate di sole, tira le linee coi gessetti e salta a campana con gli amici. Quando piove, gioca a carte con suo papà che perde sempre. Roberto ama leggere, ama quando la mamma lo perdona, quando ha un foglio nuovo per disegnare o quando in casa s'accendono nove candele sullo stesso candelabro, ma capita solo una volta all'anno.

Veglia su di me

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Il mondo gira perché qualcuno lo fa girare. Gira e gira e mai si ferma, ti senti il cuore che vorrebbe uscire dalle orecchie e fuggire là fuori, dove il freddo nemmeno lo sentiresti perché stai girando di gioia. Chissà quali orme lascia il cuore nella neve. Gira e gira, Dora urla di felicità. L'automobile rallenta fino a fermarsi, con un ultimo cigolio ha smesso di ruotare su se stessa ed è tornata al punto di partenza, dritta e pronta, il motore ancora acceso scoppietta e la neve riprende a posarsi sul parabrezza, placida e stanca nel grande parcheggio. L'insegna del supermercato è spenta da tanti anni, e dove un tempo si accalcavano le macchine oggi non c'è più nessuno. Il papà di Dora tira un sospiro di soddisfazione, ha le mani strette al volante e osserva la figlia seduta sul sedile accanto a sé. Dora ricambia lo sguardo e suo padre sa già cosa sta per chiedere: «Ancora?»

Bibliografia

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Altri progetti

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