Marco Buticchi

scrittore italiano

Marco Buticchi (1957 – vivente), scrittore italiano.

Marco Buticchi

Incipit di alcune opere modifica

Serie di Oswald Breil e Sara Terracini modifica

Le pietre della luna modifica

Roma. Maggio 1996.
La primavera piena stendeva sulla città il meglio della sua tavolozza cromatica. Gialli dorati, cremisi stemperati, verdi brillanti. Nelle strade il clima era caldissimo. Tra la folla non particolarmente frettolosa si vedeva più di una persona tergersi il sudore e rivolgere uno sguardo al cielo, più perplessa che implorante. Quando finirà questo tormento? sembravano chiedere. Figurarsi, sembravano aggiungere, l'estate è ancora di là da venire. Ma lo spirito filosofico del carattere romano prevaleva immancabilmente. Il caldo sarebbe passato e finito, sarebbe arrivato l'inverno, e le lamentele sarebbero state di alto tenore. Anche quel caldo, in fondo, era mandato da Dio, il Dio temporaneamente in carica, uno dei tanti che avevano presieduto il cielo e le sorti di Roma nei suoi ben più che duemila anni di storia.
Comunque, maledizione, faceva un gran caldo.
Non, però, dietro le grandi finestre azzurrate di un terzo piano, nel quartiere dell'EUR. Un ufficio come tanti altri, apparentemente: il distaccamento di un ministero, un ente governativo, il centro studi di una banca, la sede di una multinazionale. Chi sollevava lo sguardo al cielo non aveva certamente né tempo né soprattutto motivo di soffermarsi su quelle finestre. Un po' diverse dall'usuale, certo, ma se i romani dovessero meravigliarsi delle cose inusuali che ha loro riservato la storia, dovrebbero cominciare a farlo nei primissimi istanti della vita e continuare fino agli ultimissimi.

Menorah modifica

Iraq meridionale. Bassora. 1991

Il generale al-Ghudaf, comandante la 7 brigata meccanizzata dell'esercito iracheno, scuoteva la testa con espressione rassegnata. Sembrava quasi che i Marines agissero con circospezione, nonostante la loro straripante superiorità. Come se indugiassero prima di avanzare, e volessero accertarsi di aver ridotto all'impotenza il nemico con il lancio di razzi guidati e gli attacchi aerei. Mentre all'inizio, in quel torrido mattino d'agosto, tutto era sembrato così facile. In poche ore avevano preso Kuwait City e le sue enormi ricchezze.
Al-Ghudaf chiuse il suo tesoro in un sacco militare. Razziati cinque milioni di sterline in Buoni del Tesoro britannici e una quantità ancora imprecisata di azioni al portatore della Kuwait Petroleum Corporation, mentre, nei sotterranei della Bank of Emirates, l'acciaio della cassetta di sicurezza scottava ancora per lo scasso con la lancia termica.
Dopo un attimo di esitazione ripose nel sacco anche il libro antico. Sapeva che le azioni al portatore e i loan britannici assommavano a dieci milioni di dollari. Non gli era invece per nulla chiaro quale uso avrebbe potuto fare di quel libriccino rilegato in pelle e scritto a mano. Ma tra la copertina e la prima pagina aveva visto il certificato di autenticità della famosa casa d'aste Christie's. E il fatto di averlo trovato chiuso in una cassetta di sicurezza doveva pur significare qualcosa.
Tutto attorno regnava il caos: centinaia di automezzi civili, requisiti dall'esercito in fuga, rombavano tra le nuvole di polvere bruna muovendosi disordinatamente, urtandosi, facendo ululare sirene e clacson.
Il generale era quasi al centro della carovana, seduto sul sedile posteriore di una Dodge 1986 dotata di doppio impianto di condizionamento. Il viaggio verso Baghdad era lungo, e avevano il nemico alle costole.
L'alba esplose senza preavviso. La colonna irachena fuggiasca sembrava avviata a ritrovare un certo ordine, quando il primo grappolo di bombe paracadutate decapitò la testa del serpente variopinto. La paura, il fuoco e la morte recitarono il loro macabro copione.

Profezia modifica

Ekaterinburg. Russia. 16 luglio 1918
Il giovane sergente delle Guardie Rosse Igor Drostin si svegliò di soprassalto al rumore di una vettura entrata nel cortile. Si avviò verso la grande sala e osservò la pendola a parete: mancavano dodici minuti a mezzanotte. Poco dopo sarebbe cominciato il suo turno di guardia.
Dalla stanza attigua, usata come dormitorio, Igor sentiva distintamente arrivare i rumori dei suoi soldati che si stavano vestendo. E dall'esterno, attraverso le finestre socchiuse, gli arrivava a tratti anche la voce del comandante. Era un'estate molto calda, ma a casa Ipat'ev, per motivi di sicurezza, negli appartamenti riservati alla famiglia imperiale era severamente proibito aprirle completamente.
I nuovi venuti dovevano essere personaggi importanti, almeno a giudicare dal tono deferente e al tempo stesso marziale con cui si rivolgeva loro il comandante. Igor Drostin sbirciò nell'oscurità del cortile, e la sua supposizione fu confermata dalle bandierine rosse: la vettura appena arrivata aveva portato lì un potente del Soviet degli Urali.
Quando entrò nella dimora, il comandante Jurovskij aveva un'espressione cupa, la stessa a cui era atteggiato il suo viso dal tardo pomeriggio, quando avva chiesto a Igor e a Medvedev di ritirare tutte le rivoltelle d'ordinanza Nagant in dotazione alle guardie.
«Sergente Drostin», ordinò, «svegliate la famiglia di Nikolaj Romanov e radunatela in una stanza».

La nave d'oro modifica

Roma, gennaio 2022
«Quando, per la prima volta, incontrai lo sguardo di Lucio Domizio Enobarbo, questi era poco più che un bambino. Già allora, nei suoi occhi, c'era la luce che esprimeva potere e coraggio. Quello stesso potere e quello stesso coraggio necessari a chi voglia governare l'impero più grande di ogni tempo.»

Sara Terracini distese le gambe sotto il tavolino. Aveva le mani sudate. Allungò le dita sulla tastiera del computer e rimase a pensare. Si accarezzò i capelli e abbassò le palpebre un istante, quasi volesse trovare la concentrazione. Poi le sollevò. Osservò i caratteri greci che riempivano lo schermo dinanzi ai suoi occhi, scuri come la notte.
Ancora una volta si era imbattuta in una storia emersa dal passato, eppure viva, avvincente, affascinante. Ancora una volta avrebbe dovuto far luce su vicende lontane e misteriose.
Roma, quella Roma così diversa dalla città descritta nei documenti che aveva appena terminato di esaminare, proseguiva la sua vita, ordinaria e disordinata, al di là delle finestre del laboratorio di ricerca.

L'anello dei re modifica

New York, marzo 2002
La metropoli aveva reagito all'attentato come sempre faceva nelle situazioni più critiche, quasi si trattasse di un essere vivente dotato di una ferrea forza di volontà.
Anche in quell'occasione, mentre la sorvolava a bassa quota, New York gli apparve come un'immensa creatura che ogni giorno a fatica si sveglia, frenetica esplode di vita e poi si riaddormenta, mentre qua e là sul suo corpo compaiono, simili a dolorose piaghe, macchie intrise di paura.
In realtà, la città altro non era che uno sconfinato agglomerato di palazzi e umanità alle prese con problemi sempre più incalzanti del sovraffollamento e del terrorismo.
Osservandola dall'alto, sembrava suddivisa in tanti compartimenti stagni: se a un crocevia si stava consumando un dramma, solo pochi isolati più avanti regnava la calma più assoluta e la vita scorreva normalmente, tra le vetrine illuminate e gli sguardi frettolosi dei passanti.

Il vento dei demoni modifica

Età dei Metalli, II millennio a.C.
L'uomo varcò l'ingresso della caverna senza voltarsi. Temeva di non avere abbastanza tempo: prima che i suoi occhi si chiudessero per sempre doveva fare in modo che gli assassini non potessero rivelare a nessuno il percorso che conduceva alla Pietra.
Come re e sommo sacerdote della tribù dei migos, aveva il compito di lasciare un indizio per il suo successore: solo lui avrebbe potuto conoscere l'esatta ubicazione del Tempio Segreto e i passi per arrivarci.
Gli inseguitori erano ormai vicini. Athor, così si chiamava il fuggitivo, sapeva che tutto era perduto. Ma non aveva paura della morte. Si inoltrò risoluto all'interno della galleria che si snodava nel ventre della montagna. Il dio Hosh, signore degli spiriti, e il trascorrere di mille e mille lune, avevano fatto crescere in quel luogo una gelida vegetazione fatta di stalattiti candide come la neve che, fuori, scendeva vorticando da giorni.

Il respiro del deserto modifica

New York, febbraio 1935

Il senatore Harry Truman entrò nella hall del più alto grattacielo del mondo. L'attraversò a passo veloce e, preso al volo uno degli ascensori, chiese al valletto di portarlo al ventiduesimo piano.
Il mese precedente i cittadini del Missouri avevano eletto Truman come loro rappresentande democratico in senato. La lettera dello studio legale gli era stata recapitata pochi giorni dopo l'elezione. Nell'aprirla Truman aveva pensato a uno dei tanti biglietti di felicitazioni che gli erano pervenuti in quel periodo. Si era invece stupito nell'apprendere che il prestigioso studio Wasermann, Tiner, Clouds & Associates di New York lo invitava a presentarsi presso i propri uffici «per importanti notizie riguardanti la Sua persona».
Aveva quindi concordato con una solerte segretaria un appuntamento per quel giorno di febbraio, quando si sarebbe trovato a New York per altre faccende e avrebbe comunque fatto un salto nella Quinta Strada per comprare un regalo a sua moglie Bess.

La voce del destino modifica

Bercy, Parigi. Febbraio 2011

La donna avanzava con passo lento e stanco, appoggiandosi al malandato carrello della spesa. Nel suo modo di incedere vi era, però, un che di fiero e orgoglioso. I capelli grigi e ingarbugliati avevano l'aspetto di una fitta e inestricabile lanugine. Era alta e ancora snella, anche se il cappotto, rimediato chissà dove, non rendeva giustizia a un fisico che gli anni e le ristrettezze non avevano piegato. E di anni doveva averne molti.
Nella fredda aria di febbraio della periferia parigina, il fiato della clochard formava nuvole di condensa che si dissolvevano nell'arco di pochi secondi. La Senna scorreva scura e gonfia: le recenti piogge avevano alzato il livello delle acque che lambivano gli argini più bassi del fiume.
Anche a quell'ora della notte la vita scorreva frenetica sul Boulevard Périphérique.
Sotto una volta del Pont National, lungo il Quai de Bercy, il tempo sembrava essersi fermato molti secoli prima.

La stella di pietra modifica

Roma, ambasciata israeliana, marzo 1985

L'uomo prese posto dinanzi al tavolo trascinando rumorosamente la sedia sul pavimento. Indossava un maglione a collo alto nero, aveva la barba incolta e lo sguardo eccitato. La stanza, senza finestre, era arredata in maniera essenziale: un tavolo con quattro sedie, un falso specchio e un paio d'applique che emettevano una luce fioca.
La saletta veniva utilizzata dagli uomini del Mossad per gli interrogatori: Roma era ormai divenuta il crocevia del terrorismo internazionale e il governo di Tel Aviv aveva disposto che fossero i suoi elementi migliori a seguire le vicende italiane e le azioni eversive che insanguinavano il Paese.
L'uomo posò i gomiti sul piano e si schiarì la voce. Dall'altro capo del tavolo, l'agente del Mossad fece scivolare una busta alla quale l'informatore non dedicò più che una rapida occhiata: i suoi modi non riuscivano a dissimulare quanto fosse teso.
Il contatto era costato mesi di lavoro, abboccamenti, trattative, ripensamenti. Sin dall'inizio era stato difficile individuare un anello debole dell'evanescente rete dei terroristi. Ma, finalmente, un membro del direttivo della colonna romana era stato agganciato. Ora bisognava indurlo a cedere.

Il segno dell'aquila modifica

Città di Tarquinia anno 225 dalla fondazione di Roma (528 a.C.)

Il sole estivo infiammava la campagna e i riflessi dorati del grano maturo si perdevano nella macchia color smeraldo della vegetazione. La brezza spirava dal mare e stemperava l'aria afosa mescolando l'aroma del salmastro all'odore della terra riarsa. Il ragazzo era acquattato tra le spighe che il vento faceva ondeggiare. Non si curave del caldo e restava immobile. Neppure il braccio che impugnava l'arco, muscoloso per la giovane età, tradiva il minimo tremito.
La lepre alzò la testa e si guardò attorno prudente. Annusò l'aria e tornò a rosicchiare una delle piante verdi cresciute nonostante quell'arsura. Il giovane tese la corda. La punta della freccia mirava dritta al collo dell'animale. Stava per scoccare il dardo, quando un battito d'ali lo fece trasalire.
L'aquila piombò dal nulla ed emise un grido assordante mentre, agitando le ali, menava fendendi con gli artigli affilati come lame. La lotta con la lepre durò pochi istanti.

La luce dell'Impero modifica

Tijuana, Messico, luglio 2017

«Questi sono gli effetti personali di suo marito, signora», disse il responsabile dell'obitorio consegnandole la busta sigillata. «Le chiederei di verificare il contenuto e firmare la ricevuta».
La donna teneva gli occhi bassi, il volto trasfigurato dalla sofferenza. Prese la busta e la infilò in una busta. Firmò in silenzio, disorientata. Per un istante pensò a quante volte quel medico messicano si fosse trovato a riconsegnare ciò che restava di una vita: così tante da non provare quasi più emozione. «Accade a tutti, prima o poi, di morire», sembrava dire la sua espressione professionalmente accorata.
Lei, invece, pareva covare un dolore dirompente, pronto a esplodere non appena fosse tornata la realtà. Era come se il suo corpo fosse gravato dal peso di un male che guadagnava sempre più spazio e invadeva quel limbo irrazionale che, in presenza di un lutto, prende possesso chi sopravvive.

Il segreto del faraone nero modifica

Giudea, ottavo secolo a.C.

Il primo raggio di sole vinse le ultime resistenze dell'oscurità. I toni rosati e incerti dell'aurora lasciarono il passo all'incedere prepotente della luce, talmente abbagliante da cancellare alla vista i profili delle montagne all'orizzonte.
Il faraone si riparò gli occhi dal riverbero con la mano, quindi volse lo sguardo verso il mare che, in lontananza, si stava infiammando dei riflessi del giorno che nasceva.
Il sole, in rapida ascesa alle loro spalle, allungava le ombre sul suolo brullo e sassoso del deserto. Gli animi dei soldati fremevano, in silenzio.
Il contingente si era schierato nella pianura quando ancora era buio. Tra poco i fanti si sarebbero messi in marcia, affiancati dai carri da combattimento. Dietro di loro avrebbe viaggiato il potente apparato logistico dell'esercito egiziano, addetto ai viveri e ai bisogni di trentamila militari impegnati in battaglia.
Le finiture d'oro del carro del faraone scintillavano. Shebitqo - toro possente, signore di Tebe amato da Amon - passò in rassegna i suoi. Lo sguardo severo del sovrano riusciva a infondere coraggio ai soldati.

Stirpe di navigatori modifica

Saint-Denis, île de Bourbon (Réunion), 7 luglio 1730)

La brezza dell'oceano vorticò sulla piazza gremita e s'insinuò nel caldo torrido che gravava sulle anime assiepate in attesa degli accadimenti. Il sole tropicale era ancora alto, ma nessuno mostrava cenni d'insofferenza: lo spettacolo promesso valeva bene quel sacrificio. Sulla platea regnava un silenzio irreale, permeato di tangibile tensione. Gli occhi di tutti i presenti erano rivolti al patibolo.
Dalla folla si levò un brusio e tutti si girarono in direzione dell'unica via d'accesso. Il carretto che trasportava il condannato giunse sulla piazza con qualche minuto di ritardo.
Un uomo, un vero e proprio gigante, sputò tra le sbarre e imprecò: «Che tu sia maledetto. Adesso sembri davvero una poiana in gabbia».
Olivier Levasseur, soprannominato proprio «la Poiana», guardò quell'uomo dal suo unico occhio. L'altro, coperto da una benda nera, gli era stato strappato da una sciabolata durante uno scontro. Il pirata sorrise, si pulì il volto con la manica della camicia lisa e rispose con un sibilo al gigante: «Se non ci fossero queste sbarre non avresti mai osato tanto. Vigliacco!»

L'ombra di Iside modifica

Antica città di Berenice, Egitto. Marzo 2021

La voce di Sara Terracini echeggiò nella penombra. Il tono fermo non tradiva esitazione. La sua traduzione, parola dopo parola, accompagnava il fascio di luce puntato sui caratteri antichi.
«'Sarò la tua ombra, mia regina'», disse Sara. Fece una pausa e guardò verso il suo ospite, quasi cercasse conferma alle sue parole.
Najid Rushdi, ministro delle Antichità della Repubblica Egiziana, annuì invitandola a proseguire nella decifrazione dei pannelli d'argilla.
«'Nelle tue vene scorre il sangue di Alessandro il Grande, la tua discendenza è divina. Io veglierò su di te pronto, come fedele soldato, a sacrificare la mia stessa vita. Così ho giurato a tuo padre il faraone quando sei venuta al mondo. E così ho cercato di fare lungo l'intero corso della mia umile vita al tuo fianco'», lesse ancora Sara.

Il mare dei fuochi modifica

Bologna, 27 giugno 1980

Continuava a tuonare in lontananza. Il borbottio del temporale non era cessato per tutto il pomeriggio, neppure quando erano scese alcune gocce di pioggia che si erano subito dissolte sull'asfalto delle piste. Le nuvole, dense e cariche, si inseguivano mosse da un vento mutevole. Poi, calato, il cielo era rimasto scuro e immobile, pronto ad accogliere le ombre della sera.
La giornata era stata fredda. Non sembrava nemmeno iniziata l'estate. Eppure, il mese di giugno si avviava alla fine.
L'uomo alzò gli occhi stanchi sul display delle partenze e rimase a guardare i tasselli che ruotavano accompagnati da un rapido ticchettio. Aggiornavano i passeggeri sullo stato del volo. Anche gli altri viaggiatori apparivano affaticati: le due ore di ritardo erano state interminabili. All'improvviso, tutti i presenti nella sala presero ad animarsi: le assistenti di terra erano comparse al banco dell'accettazione. Una di loro si chinò verso il microfono e premette il pulsante per la comunicazione:
«Volo Itavia IH870 per Palermo. Imbarco immediato uscita nove».

Il serpente e il faraone modifica

Egitto, città di Tebe, maggio 1374 a.C.

Il fiume scorreva pigro, in quel tratto.
L'acqua del Nilo indugiava limacciosa prima di addentrarsi tra le canne della vegetazione vicino alla riva.
Iochèbed si guardava attorno impaurita. Quando fu certa che nessuno potesse vederla, si tolse la gerla dalle spalle e ne estrasse un fagotto che adagiò sull'arenile. Verificò che la pece con cui aveva cosparso la cesta reggesse alle infiltrazioni dell'acqua e che i panni in cui era avvolto il prezioso contenuto riuscisseo a stemperare l'odore acre del bitume. Iochèdeb si asciugò le lacrime, rassegnata: quello era il solo modo perché il suo piccolo potesse scampare alla persecuzione del faraone contro i primogeniti ebrei. Abbandonata la cesta, la donna si allontanò in silenzio.
Rimasto solo, il bambino, tre mesi appena, scoppiò in un pianto disperato. Ma nessuno, in quell'angolo deserto del Grande Fiume, avrebbe potuto sentirlo.

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