Domenico Ciampoli

scrittore e bibliotecario italiano
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Domenico Ciampoli (1852 – 1929), scrittore, bibliotecario e slavista italiano.

Domenico Ciampoli

Citazioni di Domenico Ciampoli modifica

  • Vigiak (Sorte, Foruna, Destino), che ricorda la tradizione pagana, è una delle principali feste armene, che comincia il giovedì dell'Ascensione e dura fino alla domenica di Pentecoste. Alla vigilia dell'Ascensione le ragazze del villaggio si riuniscono e scelgono fra loro una brigatella per organizzare la festa. Le prescelte prendono un'anfora di terra cotta, l'empiono d'acqua attinta a sette fonti o pozzi, ne ornano la bocca con fiori colti in sette campi diversi, poi vi gettano dentro un oggetto caro (bracciali, anelli, grani di monili o di corone, orecchini, fermagli, ecc.), facendo voti di gioia pei parenti e per l'amato, a occhi chiusi e con profondo raccoglimento. La notte dal mercoledì al giovedì, esse nascondono l'anfora in un cantuccio segreto di giardino, all'aperto, per esporla all'influsso delle stelle, e la sorvegliano, perché non sia rapita dai giovanotti, che la cercano per portarla via. Se i giovani vi riescono, le fanciulle, per riaver l'anfora, devono offrir loro gran quantità di ova e d'olio d'uliva; se no, esse li burlano finemente con canti arguti. – La domenica seguente al dì dell'Ascensione, le fanciulle portan l'anfora, ballando e cantando, al luogo dove deve celebrarsi la festa; vi ficcan dentro un'asta tutta coperta di stoffa colorata, poi la vestono sfarzosamente, l'adornano di gioielli, come una sposina, in guisa che paia la verginetta simbolica ch'è la Sorte o la Fortuna; poi, la sorvegliano ancora perché i giovinotti non la rapiscano. – La domenica di Pentecoste, le ragazze si raccolgono per l'ultima volta; circondano l'anfora, e, dopo averla baciata, la mettono fra le braccia d'una di loro; poi, un'altra fanciulla, vestita da sposa, a rappresentar appunto la sposa della festa della "Vigiak", trae dal'anfora un oggetto, mentre una vecchia canta un ritornello, di felicità o di mal augurio o di burla; e così via via per ciascun oggetto gettato nell'anfora; onde le fanciulle si rallegrano o si attristano secondo il presagio lieto o triste. Nelle varie contrade dell'Armenia, la festa della Vigiak presenta qualche cambiamento; ma in tutte è deliziosamente gentile e pensosa, degna d'un popolo delle tradizioni derivate dall'India, la più poetica delle antiche nazioni.[1]
  • San Karapet, San Giovanni Battista, è considerato in Armenia il più potente fra i santi. La sua sede è Mush, dove sono le sue cripte, nella chiesa che porta il suo nome, e che è la meta dei più importanti pellegrinaggi dell'Armenia stessa. È proibito alle donne di entrare nel recinto ove trovasi la tomba del santo, poiché furono donne, Erodiade e Salome, che fecero decapitare San Giovanni Battista. Le fanciulle danno un ago agli amici che vanno a baciare la tomba del martire, perché esse possano, mercé di quell'ago santificato, far portenti di ricami. Le ragazze non possono andare a baciar la tomba, che facendo voti di perpetua castità. Quelle votate così sono ammesse a cantare nel coro. [2]

Incipit di Fiabe abruzzesi modifica

La Rupe della Zita modifica

Camminavamo a rilento; io su di un povero cavallo da nolo e il mio vetturino a piedi. Un sentieruzzo scosceso, pieno di ciottoli ci menava al guado del Sinello, le cui acque s'udivano scorrere fra i macigni pel cupo mormorio che brontolava da lontano.
Si faceva sera. Il sole indorava le case di un paesello — Gissi — posto al culmine dell'erta collina al di là del fiume, e ne facevi luccicare i' vetri, i quali splendevano per un poco di luce viva e scintillante, e poi sparivano a mano a mano che il cavallo avanzava.

La Maggiorana modifica

La notte dell'ultimo d'Aprile — è costume vecchio quanto l'Orco — tra le nostre montagne si sta a veglia come alla vigilia del Natale; ma su le rupi e su i poggi non si accendono i grandi fuochi che splendono tra la neve il ventiquattro Decembre; sì bene sull'aia, quando il tempo è bello — e lo è quasi sempre di quel giorno — tutti gli abitanti del villaggio fanno a gara per metter fuori le primizie della stagione, e, adornatele di fiori, aspettano che le colga la rugiada dell'alba, accoccolati in giro a raccontar panzane e storielline e favolette da tener desti anche i sordi.

Asilo modifica

Una grande meraviglia faceva uscire sulla porta delle capanne gli abitanti della valle di Roccabruna. Vedevano là, in cima al colle dirupato, il castello, il vecchio castello tutto illuminato: un gran fuoco ardeva sulla torre più alta, e di quando in quando, al chiaror delle vampe comparivano sui merli delle persone, come piccoli demoni nelle fiamme. E certo lo stupore di que' poveri contadini doveva accrescersi pensando che — secondo il costume — quelli eran segni di gioia, la quale — anche secondo il costume — non poteva manifestarsi che dopo molti mesi dalla morte del vecchio barone: eppure il vecchio barone era stato seppellito solo da quindici giorni, né l'unico erede, Giovanni di Cordova, a cui s'eran fatti dispacci, su dispacci era giunto in tempo per raccoglierne le ultime volontà.

Il Poema di Corradino modifica

Un poema in prosa?
E perché no? Forse il popolo non ha i suoi poemi, che si tramandano di padre in figlio e vivono ignorati nella mente e nel cuore del povero boscaiuolo e dell'alpigiano? Tutto che è forte e gentile, mesto e meraviglioso trova un'eco fedele tra la queta pace dei boschi, tra le rupi ove dominano il montanaro e l'aquila, dove al soffio della tramontana fischiano ancora i merli del bieco castello feudale, e paiono raccontare storie di terrore.

Il Duca zoppo modifica

Forse è storia, ed è in voce di leggenda.
Le giovinette che sentono raccontarla si stringono alla mamma facendosi rosse, e poi la notte fanno brutti sogni. E la dimane raccontano il brutto sogno al fidanzato sotto le ombre de' boschi o delle siepi di rovi per affrettare il giorno delle nozze.

Note modifica

  1. Dalla nota a pp. 25-26 di Canti popolari armeni, raccolti da Arsciag Ciobanian, traduzione di Domenico Ciampoli, Carabba Editore, Lanciano, 1921.
  2. Dalla nota a p. 65 di Canti popolari armeni, raccolti da Arsciag Ciobanian, traduzione di Domenico Ciampoli, Carabba Editore, Lanciano, 1921.

Bibliografia modifica

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