Ipotesi sull'università

Ipotesi sull'università, saggio di Mariano Giaquinta e Angelo Guerraggio del 2006.

  • Cosa è più antidemocratico ed elitario? Parlare tranquillamente delle diverse richieste ed esigenze, dei diversi ruoli e delle diverse missioni, trattando tutti con la stessa dignità, e accettare le diversità per cercare di ridurre le disuguaglianze sociali ed economiche che ne derivano? Oppure, continuare a proclamare che le disuguaglianze non devono esistere — e quindi non esistono! — e assumere un atteggiamento protettivo e di conservazione nei confronti di questo sistema così antiegualitario? Formare l'infermiere e il medico-ricercatore, competitivo in campo internazionale, sono obiettivi diversi ma hanno entrambi una loro dignità e una loro utilità. Il professore di liceo non ne ha meno di quello universitario. La sua funzione sociale è ugualmente importante. Gli va riconosciuta però concretamente (magari permettendo anche a lui la possibilità di un "anno sabbatico"). È nel riconoscere dignità e relative funzioni che a noi sembra consista la democrazia, non nel falso egualitarismo. Distinguere non vuol dire creare steccati bensì riconoscere le diversità, dare a ciascuno pari dignità e tentare di attenuarle, con un'incisività proporzionale alla loro infondatezza. Distinguere significa continuare a vivere ogni giorno la tensione derivante dalla mobilità sociale e non pensare di averla risolta una volta per tutte, semplicemente per aver messo tutti nello stesso calderone. [...]
    È questa molteplicità che dobbiamo lasciare libera di esprimersi. "Che fare?", ci chiedevamo all'inizio del capitolo. Chiediamo che le università si specializzino e la smettano di fare tutto, perché questa genericità dell'offerta formativa sta comportando solo dilettantismo e l'inevitabile trascuratezza dei "piani alti". Occorre che gli atenei vengano invitati — con una forte pressione culturale e in modo anche più persuasivo — a compiere delle scelte. [...]
    Quando parlavamo di trascuratezza dei piani alti, non era l'inizio di una perorazione pro domo mea. Non era l'incipit di una richiesta di maggiori fondi per l'eccellenza... cioè per noi. La speranza è che, distinguendo tra le varie realtà della rete, forse riusciremo a focalizzare l'attenzione anche sulla formazione delle élite. Sono un linguaggio, e una problematica stranamente trascurati dalla riforma, quelli della formazione delle élite professionali e della classe dirigente del paese. Con la conseguenza della conservazione del loro carattere incestuoso: le élite si autoriproducono — con un livello e un'attendibilità decrescenti — all'interno delle famiglie, degli studi professionali, delle lobbies. È democrazia? È egualitarismo? Non è un onesto punto di partenza riconoscere che l'Italia sembra aver delegato ad altri la formazione delle proprie élite e che invece sarebbe compito (anche) dello stato porsi questo problema e assolvere questo ruolo? (cap. 5, p. 82)
  • Abbiamo anche espresso i nostri dubbi sulla sottovalutazione delle caratteristiche dello specifico mercato universitario. Poi, però, chiediamo che ogni realtà sia libera di scegliere la propria specializzazione. È bene allora chiarire che quella che auspichiamo non è una liberalizzazione selvaggia: la storia e la struttura della società italiana sono tali che bisognerebbe mettere in conto un periodo di tempo troppo lungo — rispetto all'urgenza dei problemi che abbiamo richiamato nel primo capitolo — per cominciare ad avere dei risultati positivi. Non è neanche la distinzione netta, che era prevista dal percorso a Y, tra percorsi professionalizzanti e curricula a vocazione scientifica. È invece la diversificazione in un continuum di missioni e (di livelli) di qualità, con una forte contaminazione dei saperi attuali tramite un processo — graduale e rapido —governato, guidato e controllato dallo stato. (cap. 5, p. 84)

Bibliografia modifica

  • Mariano Giaquinta, Angelo Guerraggio, Ipotesi sull'università, Codice edizioni, Torino, 2006. ISBN 8875780641