Ildefonso Falcones
Ildefonso Falcones de Sierra (1958 – vivente), scrittore e avvocato spagnolo.
Citazioni di Ildefonso Falcones
modificaLa cattedrale del mare
modificaAnno 1320
Masseria di Bernat Estanyol
Navarcles, principato di Catalogna
Approfittando di un attimo di disattenzione dei presenti, Bernat alzò gli occhi verso il cielo azzurro e terso. Il tenue sole di fine settembre accarezzava i volti dei suoi invitati. Aveva dedicato così tante ore e sforzi ai preparativi della festa che solo un tempo inclemente avrebbe potuto rovinarla. Bernat sorrise al cielo autunnale e, quando abbassò lo sguardo, l'espressione dipinta sul suo volto si accentuò di fronte all'allegria che regnava sullo spiazzo di pietra davanti alla porta delle stalle, al pianterreno della masseria.
Gli invitati, una trentina, erano entusiasti: la vendemmia, quell'anno, era stata ottima. Tutti, uomini, donne e bambini, avevano lavorato dall'alba al tramonto, prima per raccogliere l'uva e poi per pigiarla, senza concedersi un momento di riposo.
Solo quando il mosto era ormai a fermentare nelle botti e le vinacce riposte per essere poi distillate nelle tediose giornate invernali, i contadini celebravano le feste di settembre. E Bernat Estanyol aveva deciso di sposarsi proprio in quell'occasione.
La mano di Fatima
modificaDomenica, 12 dicembre 1568
Il rintocco della campana che richiamava alla messa delle dieci del mattino infranse la gelida atmosfera attorno al piccolo villaggio su uno dei contrafforti della Sierra Nevada. I suoi echi metallici si perdevano giù per i dirupi, quasi volessero schiantarsi contro le falde della Contraviesa, la catena montuosa che da sud chiude la fertile valle percorsa dai fiumi Guadalfeo, Adra e Andarax, con i loro affluenti che scendono dalle cime innevate. Oltre la Contraviesa, le terre delle Alpujarras si allungano fino al Mediterraneo. Sotto il timido sole invernale, duecento tra uomini, donne e bambini – molti trascinando i piedi, quasi tutti in silenzio – si diressero verso la chiesa e si riunirono alle sue porte.
L'edificio, di pietra ocra e senza ornamenti, era costituito da un unico e semplice corpo rettangolare. Su uno dei lati s'innalzava la massiccia torre campanaria. La piazza lì accanto si affacciava sulle intricate gole che dalla Sierra Nevada scendevano a valle. Dalla piazza, in direzione dei monti, si dipanavano stretti vicoli costeggiati da una moltitudine di case imbiancate a calce, a un piano o due, con porte e finestre molto piccole, tetti a terrazzo e comignoli tondi che culminavano in una sorta di fungo. Sopra i tetti, peperoni, fichi e uva essiccavano al sole. Le strade salivano sinuosamente i fianchi della montagna, e i tetti delle case più basse raggiungevano le fondamenta di quelli superiori, quasi montassero le une sulle altre.
La regina scalza
modifica7 gennaio 1748
Quando stava per mettere piede sul molo di Cadice, Caridad ebbe un attimo di esitazione. Si trovava in fondo alla passerella della feluca su cui erano sbarcati dalla Reina, il galeone che aveva scortato i sei mercantili e il loro prezioso carico dall'altra parte dell'oceano. La donna alzò gli occhi al sole invernale che illuminava il porto affollato e chiassoso: uno dei vascelli che aveva navigato con loro dall'Avana stava per essere scaricato. I raggi penetrarono nel suo liso cappello di paglia, abbagliandola. Tanto baccano la prese alla sprovvista e lei si ritrasse spaventata, come se quelle urla fossero rivolte a lei.
«Ehi, tu! Non stare lì impalata, Morena», urlò il marinaio dietro di lei mentre le passava davanti senza troppi riguardi.
Caridad inespicò e fu sul punto di cadere in acqua. Quando un altro degli uomini alle sue spalle fece per superarla, la donna saltò goffamente sul molo, si fece da parte e rimase immobile mentre altri membri dell'equipaggio continuavano a sbarcare tra risate e scommesse di ogni tipo sulla femmina grazie alla quale avrebbero subito dimenticato la lunga traversata oceanica.
«Goditi la tua libertà, negra!» gridò uno di loro passandole accanto, mentre le rifilava una sonora pacca sul sedere, che suscitò le risate di alcuni suoi compagni.
Gli eredi della terra
modificaBarcellona, 4 gennaio 1397
Il mare era burrascoso, il cielo grigio plumbeo. Sulla spiaggia, i lavoratori dei cantieri navali, i barcaioli, i marinai e i bastaixos, i mulattieri del mare, erano tesi; molti si fregavano le mani o le battevano per scaldarle, mentre altri cercavano di proteggersi dal vento gelido. Quasi tutti se ne stavano in silenzio, scambiandosi occhiate furtive per poi rivolgere lo sguardo alle onde che s'infrangevano con forza. L'imponente galea reale di trenta ordini di rematori per lato era alla mercé della tempesta. Nei giorni precedenti, i maestri d'ascia dei cantieri navali, aiutati da apprendisti e marinai, avevano provveduto a smontare tutta l'attrezzatura e gli elementi accessori della nave: timoni, armamento, vele, alberi, banchi, remi... I barcaioli avevano portato sulla spiaggia tutto quello che si poteva staccare dall'imbarcazione, dov'era stato recuperato dai bastaixos, che, ligi al loro compito, trasportavano il materiale recuperato fino ai depositi. Avevano lasciato tre ancore che adesso, fissate al fondale, ormeggiavano la Santa Marta, un'imponente carcassa indifesa contro la quale s'infrangeva la mareggiata.
Hugo, un ragazzo di dodici anni con i capelli castani, mani e faccia sporche come la camicia che indossava e che gli arrivava alle ginocchia, non riusciva a staccare dalla galea gli occhi in cui brillava una luce intelligente. Da quando lavorava con il genovese nei cantieri navali, aveva aiutato a tirare in secca e a mettere in mare parecchie imbarcazioni del genere, ma quella era grandissima e il temporale metteva a reppentaglio l'operazione. Alcuni marinai sarebbero dovuti salire a bordo della Santa Marta per disancorarla, poi i barcaioli avrebbero dovuto trainarla fino a riva, dove un nugolo di uomini l'aspettava per trascinarla all'interno dei capanoni. Lì avrebbe svernato. Si trattava di un lavoro difficile e, soprattutto, estremamente duro, anche usando le pulegge e gli argani di cui si servivano per trainare la nave dopo che l'avevano tirata in secco sulla spiaggia. Benché fosse una delle potenze marittime del Mediterraneo insieme a Genova, Pisa e Venezia, Barcellona non aveva un porto; non esistevano ripari né frangiglutti che facilitassero tal compito: la spiagga era completamente esposta.
Il pittore di anime
modificaBarcellona, maggio 1901
Le grida di centinaia di donne e bambini echeggiavano nei vicoli del centro storico. «Sciopero!» «Sbarrate le porte!» «Fermate le macchine!» «Abbassate le saracinesche!» Il corteo delle donne, molte delle quali avevano i piccoli in braccio o cercavano di tenerli per mano nonostante i loro sforzi di scappare e unirsi ai più grandicelli, liberi da ogni controllo, percorreva le vie della città vecchia esortando gli operai, gli artigiani e i commercianti che tenevano ancora aperti laboratori, officine e negozi a fermare immediatamente le attività. I pali e i bastoni che brandivano convincevano quasi tutti, anche se non mancavano vetrine infrante e risse sporadiche.
«Sono donne!» urlò un vecchio dal balcone di un primo piano, proprio sopra la testa di un negoziante adirato che stava affrontando alcune di loro.
«Anselmo, io...» Il bottegaio alzò lo sguardo.
Il tentativo di scusarsi fu subissato dagli insulti e dai fischi di quelli che osservavano la scena dagli altri balconi delle vecchie case a schiera, dimore di operai e gente umile, con le facciatre scrostate, percorse da crepe e macchiate di umidità. L'uomo strinse le labbra, scosse la testa e mise il chiavistello, mentre alcuni ragazzini cenciosi e sporchi cantavano vittoria e lo prendevano in giro. Qualche spettatore non poté trattenersi dal sorridere di fronte alle burle di quegli scioperanti precoci; il bottegaio non era affatto benvoluto nel quartiere. Confezionava e vendeva espadrillas. Non faceva credito. Non sorrideva mai, e neppure salutava.
Bibliografia
modifica- Ildefonso Falcones, La cattedrale del mare, traduzione di Roberta Bovaia, Longanesi, 2007. ISBN 978-88-304-2429-6
- Ildefonso Falcones, La mano di Fatima, traduzione di Nanda di Girolamo, Longanesi, 2010. ISBN 978-88-304-2722-8
- Ildefonso Falcones, Il pittore di anime, traduzione di Nanda di Girolamo, Longanesi, 2013. ISBN 978-88-304-3358-8
- Ildefonso Falcones, Gli eredi della terra, traduzione di Marco Amerighi e Roberta Bovaia, Longanesi, 2016. ISBN 978-88-304-4669-4
- Ildefonso Falcones, Il pittore di anime, traduzione di Pino Cacucci e Stefania Cherchi, Longanesi, 2019. ISBN 978-88-304-5292-3
Altri progetti
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- ↑ Citato in Ildefonso Falcones: “La Sicilia ha mille storie che potrei raccontare”, Repubblica.it, 16 giugno 2023.