Guzel' Jachina

scrittrice russa

Guzel' Šamil'evna Jachina (1977 – vivente), scrittrice e sceneggiatrice russa di origine tatara.

Jachina nel 2015

Citazioni di Guzel' Jachina

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Intervista di Antonella Mariani sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Rsi.ch, 16 marzo 2022.

  • La mattina del 24 febbraio non credevo ai miei occhi, leggendo le notizie. E la sensazione che non ci sia niente di vero, che sia un incubo da cui potremo risvegliarci non mi abbandona a tutt'oggi. La sensazione è anche un'altra, però, ed è quella di cadere in un baratro, in un buco nero in cui continueremo a sprofondare finché si combatterà.
  • È vero, per quattordici anni, per tutta la mia infanzia e adolescenza, sono stata una cittadina sovietica. Ma erano anni in cui, pur lavorando a pieno ritmo, la retorica della propaganda era più pacifista che comunista. Siamo cresciuti con la lezione di Pace (con la maiuscola, proprio così!), le canzoni e i discorsi sulla pace ogni primo giorno di scuola, siamo cresciuti con le colombe sui quaderni e alle pareti delle aule... Credere nella pace era una certezza per ogni bambino sovietico, e con questa certezza siamo cresciuti. La generazione dei miei coetanei, dei quaranta-cinquantenni di oggi, è la spina dorsale della società. Non riesco a credere che molti fra loro possano sostenere quanto sta succedendo in Ucraina.
  • La totale estraneità alla politica è un tratto radicato nella società russa. Nel corso degli anni i sovietici prima e i russi poi hanno imparato a guardare alla politica come si guarda al meteo: se scoppia un temporale c'è poco da fare, bisogna solo ripararsi e aspettare che passi. Un fatalismo che ha una spiegazione elementare. In epoca sovietica il ruolo dello stato era enorme e incideva (e ha inciso) su diverse generazioni. Senza esclusione alcuna. La politica spezzava, distruggeva o ispirava la vita di ogni una famiglia: amori e passioni, la scelta di un compagno, le fatiche dei singoli, la nascita e l'educazione dei figli, i trasferimenti, la composizione etnica dei nuclei familiari... Moltissimi finirono al confino o nei lager (tra Siberia, grande Nord e Kazachstan), altrettanti furono mandati a lavorare in zone lontane, a dissodare terre incolte o nei grandi cantieri, mentre chi sceglieva l'esercito poteva ritrovarsi a migliaia di chilometri da casa. Nessuno pensava di poter essere l'artefice del proprio destino: lo stato era il pendolo delle storie familiari sovietiche, la ragione primaria di quanto (di buono o di cattivo) poteva accadere. In altre parole, in Russia la Storia entrava in ogni famiglia. O meglio ancora, era il capofamiglia. E al capofamiglia non si tiene testa. Al capofamiglia si obbedisce. O si finge di obbedire pur di campare.
  • Un eventuale ridimensionamento nello stile di vita non mi spaventa minimamente (e come me, non spaventa quelli della mia generazione, che ne hanno viste tante). Piuttosto, mi spaventa il progressivo, precipitoso isolamento della Russia. Stanno bruciando i ponti culturali fra la Russia e il resto del mondo. Ponti che avevamo costruito negli ultimi trent'anni. La prima volta che mi portarono all'estero, da bambina (era il 1995), i miei coetanei francesi mi chiesero, serissimi, se era vero che in Russia per strada c'erano gli orsi. In uno dei miei ultimi viaggi in Francia, invece, gli scolari di un minuscolo paesino di provincia hanno scritto e messo in scena uno spettacolo sul Tatarstan: hanno mostrato fotografie dell'epoca, hanno recitato proverbi, cantato canzoni e ballato danze tatare. Per costruire quel ponte – dalla "Russia degli orsi" alla evidente comprensione della sua componente multietnica – ci erano voluti trent'anni. E quel ponte ora è saltato. Seguo con estrema attenzione sui mass media stranieri i dibattiti sulla Cancel Russia e l'atteggiamento da tenere con la cultura russa e i suoi portatori. Ora che i ponti economici e politici sono saltati, è estremamente importante che quelli culturali e scientifici possano continuare a essere percorsi. È un dato di fatto che, in Russia, nelle file dell'opposizione al governo e alla sua politica ci sono spesso stati scrittori, artisti e studiosi. Sono loro la parte del paese che guarda all'Europa e che, dunque, più patisce (e patirà) lo strappo con l'Europa stessa. La cultura e la scienza non meritano questa condanna.

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