Giuseppe Radiciotti

musicologo italiano

Giuseppe Radiciotti (1858 – 1931), musicologo italiano.

G. B. Pergolesi modifica

  • [...] se al Pergolesi non spettano tutte le innovazioni formali attribuitegli da alcuni storici, non di meno, anche la tecnica musicale deve a lui non poco; poiché egli perfezionò il recitativo e fissò la grafia della sua cadenza; diede i primi esempi dell'aria drammatica moderna; arricchì l'accompagnamento di nuovi mezzi espressivi; tentò il finale d'opera; preparò la via all'invenzione della sonata drammatica. Se poi si guardi l'anima, l'essenza dell'arte, l'opera innovatrice del Pergolesi è della più alta importanza; poiché egli infuse un nuovo spirito alla melodia, dandole per base la verità dell'espressione ed avvivandola al fuoco dell'amore. (Parte quinta, p. 281)
  • Mentre gli altri compositori di opere suoi contemporanei, anche insigni, si prendono licenze d'ogni genere, spesso contravvenendo alle buone regole dell'accentuazione e peccando contro la proprietà della frase melodica, egli solo [Pergolesi] è irreprensibile per questo riguardo. Non lo vedete mai storpiare il testo per comodo del disegno melodico; anzi, egli assoggetta questo alle esigenze di quello, spezzando, all'occorrenza, la frase, cambiando tempo, ecc. Talvolta, per ottenere un maggior effetto drammatico, ritocca egli stesso la poesia, ripetendo o trasponendo, secondo i casi, le parole. (Parte quinta, p. 282)
  • Nel dare poi all'amore ed al dolore un'espressione profonda e penetrante, il Pergolesi, non solo non ebbe precursori, ma non fu superato da alcuno in tutto il secolo XVIII. Anche il Mozart canta l'amore, ma nei suoi personaggi, come del pari nella sua vita, questo sentimento non si scalda mai sino a diventare passione; mentre la passione pervade tutta l'opera pergolesiana: se ne sentono gli accenti tanto nelle opere serie quanto nelle comiche, nelle sacre, nella siciliana e persino nelle composizioni strumentali da camera. (Parte quinta, p. 282)
  • Concludendo: nella storia dell'opera napoletana, il Pergolesi dev'esser considerato come il più gran genio del periodo vinciano, che va dal Vinci allo Jommelli[1], escluso; in quella della musica settecentistica, come il più sentimentale compositore del secolo, ed uno dei maggiori luminari dell'opera, precursore tanto del Gluck quanto del Mozart; in quella generale della musica, come uno dei più gentili e soavi poeti dell'arte dei suoni di tutti i tempi e di tutte le nazioni. Nel campo dell'opera comica e semiseria, in tutto il settecento, egli non la cede che al Mozart, il quale, pur rimanendogli alquanto addietro in calore di sentimento ed in efficacia drammatica, lo supera in maturità di genio. È giusto però considerare che il Salisburghese visse due lustri più di lui; se la morte lo avesse colto a ventisei anni, come il Pergolesi, non avrebbe avuto tempo di legare ai posteri né Le nozze di Figaro, né Il flauto magico, né il Don Giovanni, vale a dire i suoi maggiori titoli all'immortalità. (Parte quinta, pp. 282-283)

Teatro, musica e musicisti in Recanati modifica

  • Nella musica dell'Ines, come in quella delle altre opere del Persiani anteriori ad essa, si notano, in verità, alcune mende riguardo alla tecnica dell'arte e segnatamente alla condotta dei pezzi, mancanza di uniformità di stile e un certo abuso degli abbellimenti del canto. [...]. Però, accanto a tali difetti ho trovato verità d'espressione drammatica nella maggior parte dei recitativi, felice ispirazione in molte melodie e giusta interpretazione delle più interessanti situazioni sceniche. (p. 132)
  • [Fanny Tacchinardi] [...] esordì a Livorno, nella quaresima del 1832, e salì immediatamente su le più importanti scene d'Italia: tale era la bellezza della voce, l'arte e lo squisito sentire di questa giovane. (p. 134)
  • [Fanny Tacchinardi] La sua voce non aveva gran corpo, ma era dolce, chiara, penetrante ed estesissima, perché giungeva al mi bemolle acuto, e poteva ripeterlo spesse volte nel medesimo pezzo senz'alcuno sforzo. (p. 135)
  • Qual posto occupa il maestro Persiani nella storia dell'opera italiana?
    Io mi figuro la grande e gloriosa scuola rossiniana come un poderoso tronco d'albero (il cigno pesarese), da cui si dipartano tanti rami (i suoi seguaci), quali robusti e vigorosi quasi al pari del tronco stesso (il Donizetti, il Bellini, il Verdi), quali di mediocre sviluppo, più o meno vegeti e fruttiferi (il Pacini, il Mercadante, Luigi e Federico Ricci, ... il Nini, ... il Vaccai, il Coccia, il Mosca, il Conti ecc.). Vedo il Persiani tra i rami della seconda specie, un poco più in basso degli autori della Saffo e della Vestale, ma più in alto del Mosca e del Conti, accanto a due suoi corregionali, il tolentinate Vaccai, che lo supera in fecondità, ed il fanese Nini, che lo sorpassa in dottrina e in espressione drammatica. (pp. 149-150)
  • Il Persiani fu dunque un musicista, che, se non riuscì a toccare l'eccelse vette della gloria, giunse tuttavia ad altezza tale da meritarsi un nome egregio nella storia dell'arte. Oltre a ciò, egli ebbe animo generoso e costanza di propositi. Fratello, marito e padre affettuosissimo, subordinò sempre la propria felicità a quella dei suoi cari. Bersagliato dalla fortuna, morso dagl'invidi, spregiato dai superbi, soffrì silenzioso, ma non un attimo distolse gli occhi dalla sua meta, non un momento sentì vacillare la fede nel suo ideale. (p. 151)

Note modifica

  1. Da Leonardo Vinci (1696 – 1730) a Niccolò Jommelli (1714 – 1774).

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