Giuseppe Pipitone Federico

scrittore e giornalista italiano

Giuseppe Pipitone Federico (1860 – 1940), scrittore e giornalista italiano.

Citazioni di Giuseppe Pipitone Federico

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  • A me no spetta certamente il compito di estendermi sulla valutazione critica dell'opera di Gabriele D'Annunzio: ciò altri ha fatto, e farà ancora.
    Piacemi solo rilevare il mirabile travaglio ond'Egli dalla prosa lussureggiante, e a tratti eccessivamente lavorata, d'un suo primo atteggiamento artistico, sia pervenuta gradatamente al pieno possesso della prosa semplice, e suffusa quasi di misticismo, degli anni del cimento e del dolore, la prosa della Leda, delle Faville del Maglio, e del Notturno improntata quasi sempre di alta spiritualità. (da Ricordando Gabriele D'Annunzio in AA. VV., Gabriele D'Annunzio. Nel ventennale della Marcia di Ronchi, Tipografia G. Ferraro, Palermo, 1939, p. 27)

Il naturalismo contemporaneo in letteratura

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  • Più volte m'è avvenuto di doverci insistere: dinanzi al magnifico sviluppo preso dalla novella in Francia da De Balzac, e, più di recente, dal Flaubert in poi, mi sento come umiliato e rimpiccinito pei nomi miserini onde i nepoti del Boccaccio possono inorgoglire. Laggiù in Francia è tutto un complesso e vasto e fiorentissimo movimento di giovini forze, che s'espandono, lussureggianti di novi germogli preannunziatori di lunga e verde vitalità; qui ci si deve contentar delle risciacquature pornografiche del Casti, con la salsa satiriaca di certi libri innominabili che certe persone infami vendono di nascosto su pe' muriccioli de' vicoletti fuori mano, da' quali ammicca un viso logoro di baldracca, invitante gl'inesperti col lampo giallo degli occhi di gatto.[1] (p. 110)
  • È doloroso, intanto, ma non mi meraviglia la resistenza de' molti al metodo naturalista, che farnetica produttore di corruzione, quand'esso, al contrario, dall'ambiente corrotto si produce, serenamente, anatomizzandolo; si che l'arte, inspirandosi allo studio delle piaghe sociali, interessandosi delle condizioni delle plebi, divien sociale, in corrispondenza al momento storico che l'umanità attualmente attraversa. È doloroso lo spettacolo di uomini sei, non isprovveduti di cultura, non d'ingegno, che s'intestano a sostenerci come qualmente in codesta società di cherubini e di angiolelle belle e nove tutto vada per la sua china, lemme, lemme, approdandosi al trionfo pieno della candidezza. (pp. 159-160)
  • Qualunque ostacolo, qualunque obbiezione all'incedere trionfale del naturalismo appare semplicemente puerile. Il naturalismo trionfa perché non è una scuola – come pareva a qualcuno anni a dietro, e pare tuttavia in Francia a' Barbey d'Aurevilly, a' Brunetiere, a' Sarcey; ed in Italia al Panzacchi, al Checchi, allo Scarfoglio, alla Serao – ma una formola scientifica. Esso è il metodo analitico e sperimentale applicato a tutte le manifestazioni della vita: ciò vuol dire che tutti gli scrittori odierni, adoperando il metodo d'osservazione, saranno fatalmente naturalisti – come osserva acutamente lo Zola[2] – ancorché amoreggino a volte colla retorica. (pp. 218-219)
  1. Convien si eccettuino, tra tanta robaccia, oltre ad alcun novelliere gentile e d'ingegno, i due spiccatissimi naturalisti italiani, entrambi di Sicilia, Luigi Capuana e Giovanni Verga. [N.d.A., pp. 110-111]
  2. Émile Zola (1840–1902), scrittore francese, tra i massimi esponenti del naturalismo.

Bibliografia

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Giuseppe Pipitone Federico, Il naturalismo contemporaneo in letteratura. Impressioni e note, Luigi Sandron Editore, Palermo, 1886.

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