Giuseppe Antonelli (linguista)

accademico e linguista italiano

Giuseppe Antonelli (1970 – vivente), linguista e accademico italiano.

Intervista a Giuseppe Antonelli, scrittore, docente e conduttore del programma di Radio 3 "La lingua batte"

ladante.it, 4 dicembre 2015.

  • In Italia si legge poco anche perché la lettura è presentata come qualcosa di grave e serioso. Non mi ricordo dove, ma ho letto qualche tempo fa un aneddoto: sugli spalti dello stadio Olimpico, durante una partita noiosa, si sente a un certo punto una voce che dice "Che palle, me pare che sto a lègge un libro!". L'interesse si crea parlando dei libri come di qualcosa che rende la vita più interessante e divertente. Parlandone anche in trasmissioni d'intrattenimento, o cercando di fare intrattenimento anche in trasmissioni dalla più netta vocazione culturale. E poi – e questa è la cosa più difficile – più che parlare dei libri, bisognerebbe riuscire a raccontarli. Proprio come faceva Baricco nelle sue trasmissioni televisive. 
  • social network – insieme con le e-mail, con le chat, con i vari tipi di messaggeria istantanea – stanno cambiando il linguaggio. Il nostro linguaggio: quello di noi tutti, non solo il linguaggio giornalistico. Grazie a questi nuovi mezzi, tutti ormai scriviamo e leggiamo tantissimo. Molto di più di quanto non si sia mai fatto. Anche persone che fino a quindici anni fa non avrebbero letto o scritto nemmeno un rigo. Solo che tutti ci stiamo abituando a un tipo di testo diverso da quello tradizionale. La vera novità dell'e-taliano (come ormai viene chiamato l'italiano digitale) va cercata proprio nella frammentarietà dei testi. Testi non solo brevi, ma incompleti, perché – per esprimere a pieno il loro senso – hanno bisogno quasi sempre di un elemento esterno. Vale per i dialoghi in chat, in cui ogni battuta si appoggia a quella dell'interlocutore. Vale a maggior ragione per i post nei social network, in cui la multimedialità di link e immagini non è più un'espansione ma una condizione necessaria. 
  • Uso l'italiano tutte le volte che posso: ovvero quando la parola inglese non è altro che un superfluo doppione rispetto a una parola italiana. Ma ci sono casi – e non sono pochissimi, ormai – in cui sostituire le parole inglesi è tutt'altro che semplice. Poco sopra, per dire, entrambi abbiamo parlato di social network: un'espressione come reti sociali non avrebbe funzionato altrettanto bene, anche perché nessun utente si sognerebbe di chiamarli così. Già Leopardi scriveva che «rinunziare o sbandire una nuova parola o una sua nuova significazione (per forestiera o barbara ch'ella sia), quando la nostra lingua non abbia l'equivalente o non l'abbia così precisa e ricevuta in quel proprio e determinato senso; non è altro, e non può esser meno che rinunziare o sbandire, e trattar da barbara e illecita una nuova idea, e un nuovo concetto dello spirito umano». E aggiungeva, con malcelata amarezza: «se noi italiani non volevamo usar parole straniere nella filosofia moderna, dovevamo formarla noi. Quelle discipline che noi abbiamo formate (per esempio l'architettura) hanno i nostri vocaboli anche presso le altre nazioni». 

 

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