Giulio Augusto Levi

letterato, docente e critico letterario italiano (1879-1951)

Giulio Augusto Levi (1879 – 1951), italianista e critico letterario italiano.

Introduzione a Canti di Giacomo Leopardi

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  • Il Leopardi, come Dante, volle essere pensatore e uomo prima che poeta: e nessuna cosa sentì più amaramente, che le sue opinioni esser messe da banda con dirle un effetto delle sue personali sventure[1]. (p. 13)
  • [Giacomo Leopardi] Chi consideri le circostanze della sua giovinezza, può trovare da ammirare, che uno spirito cotanto bisognoso del Bene sopramondano non si volgesse naturalmente alla religione. Nella casa paterna, ch'egli amò teneramente anche quando non poté più tollerare di vivere a Recanati, si può dire che si respirasse un'aria impregnata di severo spirito cristiano. La madre governava sé e la famiglia con principi e massime ascetiche. Il padre era una nobile tempra d'uomo; appassionato degli studi, autore di numerosi scritti di argomento politico storico religioso, zelantissimo della cosa pubblica, scrivendo e operando con fiera indipendenza e incontaminata purezza. Il fanciullo Giacomo cresceva a quell'esempio fra i gravi in-folio della biblioteca adunata da Monaldo, immerso negli studi di antiche letterature e di storia ecclesiastica, guardato con orgogliosa compiacenza dal padre, il quale senza dubbio sognava grandezze di carriera ecclesiastica per il precoce e infaticabile primogenito. (p. 14)
  • Alcuni dei germi più preziosi del pensiero cristiano si erano [...] meravigliosamente abbarbicati nell'animo del Leopardi, come nel più propizio dei terreni: questi erano un amore spasimato, com'egli diceva, della virtù[2], una focosa aspirazione alla purezza, un desiderio del sacrifizio, una misera stima del mondo[3], la brama del Bello e del Bene assoluto. Quest'ultima guidò le sue riflessioni intorno alla filosofia sensista; dove si occupò principalmente di chiarire quale origine rimanesse assegnata alle idee del Bello e del Buono. Come si vide pervenuto alla conclusione che tutti i nostri giudizi sono relativi e frutti di assuefazione, e che il Bello e il Buono assoluto non esistono, non senza terrore ne ricavò la conseguenza che Dio stesso, creduto fino allora tipo ed origine di ogni perfezione, non esiste. Una simile conclusione gli ripugnava talmente, che tentò subito di restaurare il concetto della Divinità sopra un nuovo fondamento; supponendo che l'essenza di essa consistesse nell'infinita possibilità, dalla quale deduceva l'onnipotenza; e ne abbozzava un sistema che gli sembrava quadrare, anzi essere il necessario fondamento delle verità cristiane. (pp. 17-18)
  • Non si può negare che nella sua passione per la bella Fanny il Leopardi non abbia accettato la gioia da una illusione consapevole; e che non sia stato un sublime peccato quel suo esaltarsi nella contemplazione del bellissimo corpo, e non cercarne l'anima; poiché non fu esagerazione di amante respinto, ma verità, quello che disse nell'afasia, di avere amato non lei, ma la propria amorosa idea, ridestatagli dalla bellezza di lei. (p. 22)
  • [Giacomo Leopardi] Negli ultimi anni sentì chiaramente di aver fatto parte per se stesso, e di essere spiritualmente solo. Combatté con amara satira così i molli e nebulosi restauratori della religione, come i superficiali lodatori della scienza e delle sue virtù benefiche. – Il suo argomento capitale contro la fede cristiana nel Dio redentore, che dopo la scoperta di Copernico non sia più lecito attribuire alla terra e all'uomo una condizione di privilegio fra gli esseri, è molto debole: perché confonde l'ordine fisico con l'ordine spirituale. Credo che realmente la sua miscredenza avesse una radice più profonda, in un libero atto iniziale, a cui si mantenne sempre fedele con onesta coerenza: risoluto di vivere e di operare per gli uomini del suo tempo, si mise prima alla loro scuola, e accettò la tendenza prevalente nel mondo moderno di affidarsi unicamente al lume della propria ragione: onde poi si vantava di avere apertamente ripudiato quelle credenze che molti ancora simulavano, per non potersi adattare alle cerimonie, e voler scrivere in lingua moderna, non dei tempi troiani [4]. (p. 23)
  1. Lettera al De Sinner del 24 maggio 1832. [N.d.A.]
  2. Lettera al conte Xaverio Broglio d'Ajano del 13 agosto 1819. [N.d.A.]
  3. Canzone Per una donna inferma di malattia lunga e mortale, in fine, in Scritti vari, p. 35. [N.d.A.]
  4. Dialogo di Timandro e di Eleandro. [N.d.A.]

Bibliografia

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  • Giacomo Leopardi, Canti, con introduzione e note di Giulio Augusto Levi, Luigi Battistelli, Firenze, 1921.

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