Gino Gerola
Gino Gerola (1923 – 2006), poeta, scrittore e insegnante italiano.
Citazioni di Gino Gerola
modifica- [Su Marco Pola] Eppure, Marco, che gioia leggere le tue pagine, le tue poesie. Per tua fortuna (anche nella vita, spero e mi auguro) con gli anni, sei diventato un saggio che capisce le cose a fondo, che non si fa troppe illusioni, eppure, appunto, si mette una specie di berretto a sonagli e si diverte e fa divertire. O meglio no: in questo verbo resta sempre l'idea di qualcosa di superficiale. Mentre in te non c'è niente che somiglia a questa roba. Hai conservato intatta la purezza di sentire, l'entusiasmo, l'amore per la natura, gli animali, le cose vive, che sono proprie di un ragazzo. Un saggio con l'anima di un ragazzo. Che manda al diavolo tutti i sublimi traguardi di certa conoscenza e continua a guardare il mondo, a goderlo nei suoi aspetti più vivi e vivificanti, ridendo, qualche volta bonariamente sghignazzando, delle tante pretese e finte tragedie dei saputi. C'è la sofferenza, certo, il male, il caos, ma c'è anche un cielo e una natura pieni di meraviglie. E allora perché chiudersi nel pozzo a disperarsi e non mettersi su un'altura, invece, o anche a una finestra e di lì, saper cogliere quanto di generoso, di vivo, di bello sa offrire una giornata? Come sempre, insomma, la tua poesia diventa una gioia nella lettura e, al tempo stesso, una lezione di vita, di equilibrio, di libera, spensierata saggezza. Grazie. Anche perché non mi succede spesso, neanche coi così detti grandi, troppo compresi e sicuri della loro grandezza, per avere le briosità rinfrescanti delle tue pagine.[1]
La valle e periferia (1943-1995)
modificaElevazione
Stride in ansie discordi
un ronzo di vetture
straziante
nel buio della salita.
M'afferra improvviso
come uno schianto. Lievita tenace
la mia oppressura
e prominenze accolte
in un'attesa di luce
che stempra in una limpida chiaria
serenità di spazi
e arcani di stelle
a una pace di monti quasi emersa
dal mio strepere trito
e del giorno più greve.
L'oscurità s'assiepa
da bassure alle case
svanite in un tacito tormento.
Il cuore rattristisce
di questo buio gelido che affolta
silenzi di rovine.
Ma palpita coi venti
il mio respiro assorto
oltre il giro di stelle che mi spazia.
Citazioni
modifica- Quando la pioggia lapida la notte | e fa deserto il mondo | o si levano sogni di campane | a cullare i crepuscoli | ognuno attende una voce | che rompa i silenzi | in cui l'animo affonda, | rianimi le solitudini | che s'affoltano intorno. || A quel muto richiamo | fa eco il fiato del vento | e il cigolìo dei carri | o il fragore vano delle case. | Impaura lo sguardo | la sorda quiete dei muri | chiusi agli orizzonti | dove altri camminano in ascolto. || Ma le pietre son diafane | se il nostro fiato alita parole | che ripetano i gesti delle madri. | Se s'aprono i battenti | alle folate d'ombra | lieti pellegrini | faranno sosta alle soglie stupite | e sarà giorno improvviso. (In ascolto; in Tempo d'avvento (1947-1953), p. 32)
- Per uno stento arbusto | scoperto a un lume fugace | quanti campi di fiori favolosi | chiude la nostra notte. | Forse la saggezza estrema | è coscienza del buio, | chinarsi a cogliere le lucciole | perché splendano in alto. (da Saggezza; in Tempo d'avvento (1947-1953), p. 34)
- Mani devote accendono la fiamma | sulla tua tomba, ora | che il giorno si rabbuia. Come un fiore | appassirà il cordoglio di chi t'ama | perduto in altre angosce. Resterà | sul marmo solo il nome | uno degli infiniti che passano. (da Su una tomba; in La città insonne (1947-1953), p. 55)
- La piazza è presa al volo | dai colombi a folate. Un ragazzetto | intorno al chiosco sbircia | donne sui rotocalchi con lo sguardo | riparato dal bavero. I sommari | sciorinati su un filo | vibrano al vento: – Aumenti agli statali. | I soldati di Ciombe fanno guerra | senza quartiere all'Onu. In Algeria | attentati dell'Oas fanno strage | tra i musulmani: venti morti – il vecchio | tramviere scuote il capo. All'improvviso | l'urlo d'una sirena | blocca il traffico, sospende | i rumori: ombre incappucciate | di nero sono immobili sui vetri | dell'ambulanza in fuga | verso i viali. Si segna una vecchietta | con mano ossuta. Con le braccia a croce | il vigile riapre | la furia di macchine e pedoni. (da Telegiornale (1963-1094), p. 92)
- Sulla montagna | nella cucina calda | più nessuno la sera | veglia a bere le storie degli altri, | i pianti, le risate. | Il tempo ha fretta adesso, precipita. Dall'alto | sul teleschermo, la visione di una villa massacrata | dalle esplosioni. Si levano | ancora fumane pigre sulle macerie, | intorno soffia un silenzio | da pianeta distrutto. In una stanza | (dove?) un uomo pare seduto | in una mite cella, alza appena la testa | con quieta disperazione: – Non posso | più durare. Ormai | sono loro i padroni. Si è fulminata | l'ultima speranza di resistenza. Me ne andrò | e le ortiche copriranno | una fatica di decenni. Cinquanta operai | finiranno su una panchina della piazza | a scrutare il futuro, l'orizzonte | se arriva qualche messaggero | senza flagelli. Intanto dai palazzi | in feluca e marsina | nessuno muove un soffio | perché la nostra regione respiri | fuori dall'aria dei banditi –. | Luci e sigle sul video. Uno stadio urla | un'esplosione: la nostra squadra | è un trionfo. Ride anche la faccia | a mezzobusto, un attimo. Dietro | si apre un bosco ceduo, | una buca dove hanno estratto | una donna rapita e interrata viva. | Il tempo si sfrena senza pace, | le voci si perdono in dissolvenza. | Più niente. Fuori un autobus romba | sulla curva, una sirena | lacera la notte. (da Notizie di cronaca (1988), pp. 106-107)
Coltiva fiori sociali
finti nell'orto decadente
dove incede con l'occhio teso
a un difficile baricentro. Calcola i gesti
sulle leggi della persuasione
occulta. – È uno dei nostri –
si afferma da sinistra. – In verità
si può considerare una conquista
tutta nostra – ammiccano untuosi
dall'altro versante. La gente è dinamica:
dà un'occhiata di ammirazione
prescritta dai servizi pubblicitari
e passa avanti. Egli sbozza più in là
il prossimo piedistallo. Dalla fronte gli scende
una faccia metà rossa e metà nera.
Citazioni su Gino Gerola
modifica- La poesia di Gino Geròla si svolge secondo le esperienze e le situazioni del tempo, ma non cede mai ad avventure di forme: il fondamento è costituito dall'alta meditazione della parola sui paesaggi, quelli così profondamente concretati nel suo Trentino di valli, monti, colline, venti, brevi e impervi paesi, avare coltivazioni e vaste selve, rocciose cascine, tenace e affaticato lavoro, lucido, senza disperazione, eroico, come una suprema sapienza e verità della condizione dell'uomo. L'endecasillabo e il settenario sono la struttura specifica di tutte le sue raccolte poetiche, e soltanto forse Telegiornale e Notizie di cronaca comportano qualche ampliamento metrico per esprimere più affannosamente il giudizio degli errori e dei mali della storia che coinvolgono il poeta, indotto allora a reagire con la partecipazione dolorosa di un tempo che, sì, si è mutato, ma moltiplicando le indifferenze, le violenze, gli orrori. La valle di Geròla, e tutto il suo paesaggio ripercorso, ridescritto e contemplato, sono, insieme, l'esperienza della vita e del cuore e l'emblema della condizione umana. (Giorgio Barberi Squarotti)
Note
modifica- ↑ Da Lettera a Marco Pola, Firenze, 11 marzo 1985; in Poesia dialettale e poesia in lingua del Novecento Intorno all'opera di Marco Pola, a cura di Anna Dolfi, All'insegna del Pesce d'oro, Milano, 1994, pp. 198-199. ISBN 88-444-1270-5
Bibliografia
modifica- Gino Geròla, La valle e periferia (1943-1995), Prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti, Edizioni Osiride, Rovereto (TN), 2001.
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