Giacomo Boni

archeologo e architetto italiano (1859-1925)

Giacomo Boni (1859 – 1925), archeologo e architetto italiano.

Giacomo Boni (1910)

Le formule intricate si semplificano con l'algebra e le questioni etniche si giudicano con maggiore equanimità trasferendole da uno ad altro regno della natura.
I popoli invasori diventano paragonabili a specie vegetali d'una prolificità inaudita, vissute a lungo su terreno sterile, preparando radici perforanti, tentacoli strozzanti, uncini laceranti, succhi dissolventi od ammorbanti od addormienti. La probabilità di riuscita è in ragione inversa alla nobiltà degli organismi; muore il pino od il cipresso la cui corteccia venga offesa, ma dalle scheggie di robinia o di ailanto germoglian nuovi virgulti. Trapiantate, alcune famiglie d'erbe e di animali moltiplicano a scapito della flora e della fauna locale; guai se la Natura assegnasse i territori in base alla prolificità; noi saremmo invasi dalle solanacee e l'America finirebbe popolata da cinesi o da negri. Taluni artificî consentono all'uomo di vivere nelle zone tropicali, ma la natura, senza limite di tempo, in capo a poche od a molte generazioni, sopprime gli intrusi o li parifica agli indigeni; delle nostre civiltà sulla costa d'Africa non avanzano che rovine, e contro le invasioni nordiche l'Italia avrà sempre l'aiuto del sole.

Citazioni

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  • Come i metalli alla pietra di paragone, così le stirpi umane rivelano diverso carattere al saggio della gioia o del dolore.
    Per raccogliere indizî sulla conformazione di un terreno, basta osservare in quale modo smaltisce le pioggie, o sviluppa una flora spontanea o screpola con la siccità. Per differenziare la specie umana valgono sopratutto le idee religiose, assorbite con avidità o lentezza, o rifiutate senz'altro, o trasformate a seconda delle razze, la cui diversa origine è attestata per altra via dagli indici cefalici e dai dialetti.
    Propagandosi variamente tra le popolazioni dell'Europa settentrionale, la riforma luterana differenziava le razze germaniche da quelle celtiche; l'immane tragedia odierna[1] rivela la profondità dell'abisso che, malgrado l'uniforme vernice di coltura, esisteva fra la Prussia e la Baviera. (p. 17)
  • La [prima] guerra mondiale ha dimostrato, con la Francia e col Belgio eroico, che le razze numericamente più importanti, la tedesca e la russa, non eran degne di espandersi sul globo terrestre, a danno di stirpi che già per venti o trenta secoli contribuirono idee e scoperte all'umanità e sono ancor prodighe di ammaestramenti civili e di tesori di scienza, allietati dal sorriso dell'arte.
    Per far posto alle razze eccessivamente prolifiche, basteranno i naturali sbocchi sul mare e talune delle colonie disponibili. (p. 36)
  • Nell'occupare l'Alsazia-Lorena [dopo l'esito vittorioso della guerra] i francesi hanno dinanzi a loro le stesse difficoltà che troviamo noi sulla costa dalmata.
    Come in Polonia, i teutoni si si sforzarono di vestire la sponda sinistra del Reno con una grossolana ed uniforme cotenna germanica, e dove grandi estensioni di territorio erano coltivate da francesi, hanno importato intere famiglie di contadini, perché, propagandosi, moltiplicassero le case coloniche, le chiese e le scuole tedesche, come si fa con gli innesti di pelle umana. Somma cura del governo fu di cancellare dalle città e dalle strade i nomi francesi, o d'imporre la denominazione bilingue; di parificare da prima lo studio della lingua tedesca e renderlo poi obbligatorio ed esclusivo, multando chi osasse servirsi dell'idioma nazionale; di lasciar deturpare o vendere i monumenti che potevano ricordare la patria francese; d'innalzare a più non posso statue imponenti di Guglielmo II e dei suoi antenati, della sua progenie e dei suoi ministri. (p. 37)
  1. Allusione alla prima guerra mondiale.

Bibliografia

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  • Giacomo Boni, Nemesi, Nuova antologia, Roma, 1919.

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