Genrich Grigor'evič Jagoda
politico e militare sovietico, capo della NKVD
Genrich Grigor'evič Jagoda (1891 – 1938), politico e militare sovietico, capo dell'NKVD.
Citazioni su Genrich Grigor'evič Jagoda
modifica- Alla testa della «rifondata» organizzazione [della NKVD[1]] viene posto Genrich Jagoda, il quale aveva percorso tutta la carriera di poliziotto del regime sotto Dzerzinski prima, e Menzinski poi. Un uomo abile professionalmente, ma cinico, sempre attento a volgere le vele dove soffiava il vento, seguace di Bucharin negli anni in cui questi era nella cresta dell'onda e subito abbandonato nel momento della disgrazia. (Gianni Rocca)
- Alla ripresa [dell'udienza][2] Jagoda (immaginabili quali siano state le pressioni e i ricatti su di lui esercitati) si presenta «ammorbidito». Ammette tutto, non è più quello di poche ore prima quando in tono sprezzante aveva risposto a Viscinski: «Io dirò quello che voglio dire io, non trascinatemi più in là». Una frase che era apparsa minacciosa alle orecchie di tutti, quasi un preannuncio di chissà quali sconvolgenti verità. Quell'uomo, un tempo potente capo della NKVD, appariva adesso come annientato, e con appena un filo di voce. Il documento che stava leggendo era la sua definitiva capitolazione. (Fu in quel processo che molti cominciarono a sospettare che, al di là delle pressioni fisiche, fossero somministrati agli imputati «ribelli» delle sostanze che ne sfibrassero la volontà di resistenza e la capacità di pensare.) (Gianni Rocca)
- Jagoda aveva più di chiunque altro buone ragioni per risentirsi di quel processo[2]: lui, più di chiunque altro, aveva reso a Stalin servigi insostituibili. Il fatto di essere arrestato lo aveva talmente colpito che non era più riuscito né a dormire né a mangiare, ed Ežov aveva temuto per il suo equilibrio mentale. Era stato mandato a parlare con lui Sluckij, l'insinuante capo della sezione esteri della NKVD. Jagoda lamentò la rovina dell'organizzazione che aveva edificato in quindici anni, e un giorno osservò che dopo tutto Dio deve esistere: perché da Stalin egli aveva meritato soltanto gratitudine, ma da Dio aveva meritato il destino che ora gli era piombato addosso. (Robert Conquest)
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