Frigyes Karinthy
Frigyes Karinthy (1887 – 1938), scrittore, poeta, drammaturgo, giornalista e traduttore ungherese.
Citazioni di Frigyes Karinthy
modifica- Oltre a ciò che tutti sanno di un cane pechinese | vi dico davvero che quello zero di vituccia evanescente nelle mie palme | è stato niente di più e niente di meno che il puro amore stesso, | è stato sì, davvero, quel certo amore che con devota estasi | ed in lotte strazianti brama e insegue l'anima assetata | perché vuole fiammeggiare come roveto, | perché vuol boccheggiare come i pesci di Francesco. | Eccolo, è qui, ingenuo e minuto, scintillante e trasparente | come un pizzico di radio attivo estratto da centinaia di quintali di pece. | Non ha niente, né cervello né cuore, è solo amore, | più non ci sono ragioni o istinti, c'è solo l'amore. | Non ha neppure vita più, nemmeno vuole vivere, solo amare vuole. | Amore senza anima, senza sensi, senza vita. | In verità vi dico che anche a noi uomini farebbe bene amare così. | Lo so, vorremmo amarci, amare gli uni e gli altri e non noi stessi, | gli uni e gli altri e non quell'io fastidioso al quale siamo legati a vita. | Sarebbe bello amare, amare un altro e non compiangere sempre noi stessi. | So che siete buoni, ragazzi, buoni sotto quelle larve sfigurate dalla cattiveria. | Attendi, è vero, mio assassino, attendi, è vero, la mia morte? | Sarebbe bello amare, sarebbe bello, ma tu ti tormenti mentre sai che vivo. | Tutti aspettate insieme con me il momento d'amarmi, | ma morire io devo perché voi possiate amarmi, ricordarmi con lacrime. (da Tommy, Monologo ingenuo sul cuore di un cane[1])
Viaggio intorno al mio cranio
modificaoffro il mio libro alla nobile e vera scienza,
che non ha mai dimostrato verso la superstizione
tanta intolleranza quanto quest'ultima
ne ha nutrita verso di lei.
Intorno al dieci di marzo di quest'anno, stavo prendendo il tè al mio solito tavolo al caffè Central in piazza Egyetem. Dalla finestra potevo vedere, da un lato la Libreria Universitaria, dall'altro una banca. Solo una targa, che riportava a caratteri cubitali la scritta «Casa Madre», segnalava in qualche modo la banca e molte volte mi ero divertito a immaginare che un passante distratto, magari per semplice associazione, potesse fraintendere l'insegna, scambiando l'edificio per un istituto di carità dove si preparino le ragazze al sacro dovere della maternità. Sapevo bene che non era affatto così: ho perduto mia madre all'età di sei anni e la vita mi ha insegnato molto presto a distinguere tra finanza e istruzione popolare.
Citazioni
modifica- Secondo la mia esperienza, si può trovare la verità solo partendo dal suo opposto, perché la verità non è che il risultato di un conflitto tra forze in contrasto. (cap. III)
- [...] nulla esiste in quanto tale, ma tutte le cose recitano la parte che gli è stata affidata. Il melo recita il ruolo del melo, così come le stelle fanno la loro parte nella grande scena corale del cielo. (cap. IV)
- Vi siete mai accorti che una città appare estranea non soltanto quando la si vede per la prima volta ma anche quando vi passeggiamo per l'ultima volta prima di una partenza, prima di emigrare per non tornare più? Osservavo con attenzione le insegne. Le vetrine così note, che erano invece diventate dolorosamente nuove, e tutto sembrava raggrinzito, ristretto, rimpicciolito; come quando si rivedono la casa, il giardino e il cortile della nostra infanzia. Non si riesce a credere ai propri occhi, tanto ce li aspettavamo più ampi, più imponenti. E quando torniamo alla nostra vita di adulti, a farci male non è il pensiero della bellezza e del valore di ciò che abbiamo perduto, ma la consapevolezza che la nostra infanzia, del cui ricordo ci siamo nutriti così a lungo, era stata in realtà piccola e insignificante. (cap. VI)
- Se ci si ferisce il mignolo la mattina, si può star certi che per tutto il giorno si continuerà ad andare a sbattere dappertutto con il dito ferito. (cap. VII)
- [...] fino a un certo punto per il medico c'è l'obbligo del segreto professionale anche verso l'ammalato. (cap. VII)
- [...] il ricovero in clinica per le analisi, me ne resi conto subito, corrisponde esattamente al carcere preventivo, cui la legge sottopone l'indiziato in attesa di processo. L'accusato è interessato solo alla sentenza e al riconoscimento o meno della sua colpevolezza: verrà dichiarato colpevole? E se sì, quanto gli daranno? Comunque si concluda la faccenda, la sua punizione risiede nel fatto stesso che l'accusa sia stata resa pubblica. (cap. VIII)
- Le cose avvengono perché le nominiamo e così le riteniamo possibili, e tutto ciò che riteniamo possibile può anche avvenire. La realtà è un prodotto della fantasia umana. (cap. XII)
- [...] non esiste compassione senza egoismo. Sua sorella maggiore, la paura della nostra stessa morte, ce la fa conoscere fin dal crepuscolo della nostra età infantile, quando ci minacciano i primi pericoli. Da quel momento siamo in grado di provare compassione per gli altri. (cap. XII)
- Ho sempre avuto una pessima opinione delle «ultime parole», le ho sempre considerate come l'ultimo petalo della margherita che viene sfogliata alla ricerca di una risposta: «sì, no, sì, no». I sopravvissuti attribuiscono all'ultimo sì o no il significato di un riassunto definitivo, sebbene la sua importanza dipenda esclusivamente dall'essere l'ultimo, a volte solo per mancanza di tempo o altro. (cap. XIV)
- Dio mio, tutti i guai seri della mia vita sono stati causati dalle donne. O forse no? Comunque sia, è bello che esistano! No, non per quello, ma perché come esseri umani sono diversi dall'uomo: sono l'eterna speranza che l'umanità un bel giorno potrà raggiungere una meta. Se mai Dio vorrà perdonare la razza umana, lo farà grazie a loro – Santa Maria, piena di grazia, prega per noi! (cap. XIV)
- Su una graziosa villetta in costruzione scoprii finalmente una scritta: «Mai avremmo potuto costruirla senza il nostro Führer». Non riuscii a reprimere nella mia mente lo sbocciare di un caustico scambio di battute: «Dico: gli ho fatto costruire questa casa». «Tu? E come?» «Ecco, loro l'hanno costruita e io gliel'ho lasciato fare.» (cap. XVI)
- [Su Le mie prigioni] Ho sempre amato molto questo libro per l'affascinante obbiettività con cui l'autore parla delle sue disumane sofferenze, come se non avesse altra pretesa che quella di apparire un semplice esperto delle catene e delle carceri della Reazione. (cap. XVII)
- [...] avrei dovuto costringermi a descrivere non la visione personale che gli artisti chiamano «verità» e che cessa di esistere assieme alla mente che l'ha concepita, ma la «realtà», che resta uguale, anche se noi non siamo più in grado di raccontarla. (cap. XVII)
- L'arte è una forma complementare della verità e il pensiero progredisce, oltre che con l'osservazione, anche con la forza della fantasia. (cap. XVIII)
- [...] la realtà, come genere artistico, non solo dal punto di vista della rappresentazione ma anche da quello della composizione, non ha bisogno di essere aiutata e corretta dall'artista. Non so come ci riesca ma sono costretto a riconoscere che essa stessa compone. Sì, compone come se avesse qualcosa da dire. Compone e coordina i suoi elementi come uno scrittore professionista. (cap. XVIII)
- [...] le biografie sono, a un tempo, anche il romanzo di una vita. (cap. XVIII)
- In fatto di umorismo non ammetto scherzi! (cap. XXI)
- La verità non ha mai interessato le donne, a loro basta avere ragione. (cap. XXIII)
- [...] noi tutti viviamo su una gigantesca isola di Robinson Crusoe, tutti, uno per uno, abbandonati e soli, e [...] non si tratta più di sapere se la mia nave carica raggiungerà le rive dei desideri, ma se il mare sarà così pietoso da restituire un'asse dalla nave colata a picco a cui poterci aggrappare. (cap. XXVI)
Ci imbarcammo a Göteborg alle sei e mezzo di sera sulla Britannia, per tornare a casa passando da Londra. L'orizzonte si spalancava intero davanti a me. All'età di quarantasette anni, era il mio primo viaggio per mare.
Note
modifica- ↑ In Mario De Micheli e Eva Rossi, Poesia ungherese del Novecento, Schwarz editore, Milano, 1960, p. 94.
Bibliografia
modifica- Frigyes Karinthy, Viaggio intorno al mio cranio, traduzione di Andrea Rényi, postfazione di Oliver Sacks, Rizzoli, Milano, 2010. ISBN 978-88-17-04298-7
Voci correlate
modifica- Ferenc Karinthy (figlio)
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