Francesco Tassi

storico dell'arte italiano (1710-1782)

Francesco Maria Tassi (1710 – 1782), storico dell'arte italiano.

Vite de' pittori scultori e architetti bergamaschi modifica

  • In somma venerazione, e stima dee da ogni amator dell'arti nostre il valore del Previtali esser tenuto, come quegli che al pari d'ogni altro sublimissimo ingegno de' suoi tempi seppe tanto avvanzarsi nella pittura, che non solamente ogn'altro agguagliò; ma si fece anco in molte facoltadi di gran lunga superiore. Fu egli de' primi, che dalla per anco imperfetta maniera di degradare scostandosi cominciò con giusta, e ben regolata proporzione a diminuire le figure a misura che quelle più o meno in distanza collocate apparire doveano; fu de' primi parimente, che nuovi modi di perfezione cercando introdusse una morbidezza, e forza di colorire che parve cosa maravigliosa in quel tempo, e sopratutto togliendo il mal uso invecchiato de' profili, co' quali si caricavano i contorni delle figure, e dandole in vece un naturale, e facile atteggiamento poté servire di lume agli altri Maestri, che vennero dappoi. (tomo I, Andrea Previtali, p. 39)
  • Fra Damiano converso dell'ordine di San Domenico è stato un uomo sì eccellente nell'arte della tarsia, che fra Leandro Alberti nella sua descrizione d'Italia fa egli quell'onorata ricordanza di lui che appresso alli scrittori nostri non ritrovasi. Così egli scrive: «Frate Damiano converso dell'ordine de' Predicatori è stato uomo di tanto ingegno, quanto si sia trovato insino ad ora al Mondo in commettere legni insieme con tanto artifizio, che pajono pitture fatte col pennello». (tomo I, Fra Damiano domenicano, pp. 59-60)
  • Di maggior laude io reputo degno quegli, che contenendosi in un sol genere di pittura arrivi a toccarne la meta, che non istimo colui il quale aspirando a divenir pittore universale, non giunga alla perfezione in niuno. Così l'intese il Baschenis, che dal genio portato ad una nuova sorta di pittura, ed in questa fondato il suo studio, arrivò a tal grado di virtù, che saranno le sue opere stimatissime in ogni luogo. (tomo I, Prete Evaristo Baschenis pittore, pp. 233-234)
  • Quello in che veramente riuscì [Evartisto Baschenis], fu una bizzarrissima maniera, ch'egli s'inventò; e questa sua propria, né più usata da altri, né più veduta; e fu il dipingere ogni sorta di strumenti da suono con incredibile naturalezza, e verità; e n'è riuscito con tanta perfezione, che io non so ch'altri l'abbia uguagliato giammai. (tomo I, Prete Evaristo Baschenis pittore, p. 234)
  • Fu il Ceresa buon figurista sì in grande, che in piccolo, ma ad olio solamente. Studiava le opere sue dal naturale, dal che ne risulta esatta correzione del disegno. Nell'inventare fu piuttosto aggiustato, che ferace. Si valse per lo più di colori vivaci e brillanti, caricando però gli scuri con molta forza: usò certo modo di tingere, che in parte a quello, che tenne il Querino nelle carnagioni, si accosta. Le figure sono aggraziate, ed espressive, e le sacre spirano divozione. Fece li puttini assai carnosi, e ritondi, e che molto dilettano per le idee loro belle e ridenti. (tomo I, Carlo Ceresa pittore, p. 246)
  • [Pietro Paolo Raggi] Si dilettò fuor di modo di scelti vini, ed il fargli qualche regalo di tal sorte era un mezzo sicuro per avere con maggiore sollecitudine, e con maggior diligenza le sue pitture; delle quali essendovi grandissimo numero nelle private case, non giova farne racconto; ed essendovene ancora molte condotte con soverchia speditezza, e disattenzione, a segno che noi potremmo dubitare se fossero di sua mano: si potrebbe perciò applicare al Raggi ciò, che soleva dire di se stesso Santi di Tito celebre Pittore del borgo S. Sepolcro, qualor gli veniva ordinata qualche pittura: Io ho pennelli da tutti i prezzi; e perciò si sono vedute alcune sue opere molto strapazzate, alcune delle quali di poi si sono vendute ne' pubblici mercati ad ogni prezzo più vile: e questo appunto è ciò che suole accadere a quegli artefici, che più al guadagno sono intenti, che alla gloria. (tomo II, Pietro Paolo Raggi pittore, p. 25)
  • Se la fecondità, e prestezza del pennello di Antonio Zifrondi fosse stata accompagnata da maggior diligenza e finimento, sarebbe certamente arrivato non dico a sorpassare, ma bensì ad emulare quella del famoso Tintoretto. Creato dalla natura pittore, ebbe da questa tanti e sì abbondevoli doni, che in poco tempo arrivò, ove tant'altri con immense fatiche non giunsero. (tomo II, Antonio Zifrondi pittore, p. 34)
  • [Sulla velocita d'esecuzione del pittore Zifrondi] Trovandosi egli in Gandino[1], fece scommessa di qualche somma di denaro, che nel breve spazio di tempo, in cui nella Chiesa si cantava il Vespero[2], avrebbe dipinto un quadro ben istoriato di mezzana grandezza: in fatti accintosi all'opera, come quegli che non aveva bisogno di tempo per formare prima il disegno, con tocchi magistrali ne fece l'abbozzo, e lo ridusse anco a perfezione avanti che fosse terminato il Vespro, con istupore e meraviglia de' riguardanti, e con molta soddisfazione e piacere di lui, che si smascellava dalle risa per aver preso a gabbo chi di sì prodigiosa prestezza non lo credeva valevole. (tomo II, Antonio Zifrondi pittore, p. 39)
  • Fu il Zifrondi pittore facile, sicuro nel disegno, pronto all'invenzione, e spedito nell'operare, essendo solito di far poco più che alla prima, abbozzando, e terminando nello stesso tempo le sue pitture; ed avendo egli così obbediente la mano a' suoi pensieri, e possedendo sì gran franchezza di pennello; ogni minimo indugio a veder comparire sulla tavola il proprio concetto, gli pareva mille anni; e per questo usava per lo più il colore molto liquido, valendosi talvolta per mezza tinta del nero della mestica, e talvolta ancora valendosi in certi luoghi della medesima senza altro colore; e pure ciò non ostante la maggior parte delle sue opere sono di grande forza, e si conservano lucide e fresche, che pajono appena colorite; e vanno sin ora esenti dal difetto che ebbero altri valent'uomini. (tomo II, Antonio Zifrondi pittore, pp. 40-41)

Note modifica

  1. Comune della provincia di Bergamo.
  2. Comunemente vespri, preghiera del tramonto della liturgia cristiana.

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