Francesco Orlando
critico letterario e francesista italiano (1934-2010)
Francesco Orlando (1934 – 2010), critico letterario italiano.
Dal lungometraggio di Robertò Andò Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Francesco Orlando. Autoritratto d'intellettuale a Palermo
- [Su Giuseppe Tomasi di Lampedusa] Dovevo subire. Non avevo assolutamente la forza di contrariarlo. Mi spaventava la sua sicurezza di parola, mi intimidiva la forza della sua personalità. Anche se io mi sono pubblicamente confessato un ragazzo maleducato, nel senso che ero capace di formidabili gaffe, e questo mi nocque non poco, c'era comunque una educazione che mi metteva un minimo al riparo da questo rischio, avevo pur sempre quel fondo di buona educazione piccolo borghese per cui era un dogma non mancare di rispetto ad un uomo che ha i capelli bianchi. Una risposta che fosse anche lontanamente impertinente, non diciamo neppure insolente, non gliela avrei mai data. Il mio solo modo possibile di protesta era la fuga.
- È largamente ora di insistere sul fatto che poi questa periferia...accidenti che periferia straordinaria! Leggevamo moltissimo, ci riunivamo per fare delle letture in comune, per fare ascolti di musica in comune, imparavamo centinaia di versi leggendoceli l'un l'altro ad alta voce; non saprei dire quante delle massime partiture del patrimonio musicale sono legate a dei primi ascolti a casa di Bebbuzzo Sgadari, ed eravamo tutti insieme, pronti a scambiarci le nostre nozioni spesso intensissime [...] Quale fervore! Quale intensità di scambi! Quindi direi in sintesi: era una periferia, questo è assolutamente innegabile, ma era una periferia di raro fervore, di rara vitalità.
- In noi tutti c'era questa idea che il successo non si decideva a Palermo, però su questo non so quanto si riflettesse, perché naturalmente la consapevolezza che il successo non si decide in un luogo equivale alla presa di coscienza della perifericità e dunque, con una parola un po' più dura, del provincialismo eventualmente di quel luogo. In me, personalmente, se posso dirlo, questa coscienza esisteva in una sorta di forma negativa. Il successo era qualche cosa che doveva venire da lontano, da Milano.
- La periferia è tanto più periferia se non sa di esserlo. In questo credo che una certa componente di provincialismo come limite alla pur innegabile ed intensa circolazione di cultura ci fosse, e fosse proprio nel fatto che non so quanto tutti eravamo particolarmente consapevoli di essere molto al rimorchio di cose che si decidevano altrove, quali erano gli scrittori attuali, gli scrittori che contavano, le cose da leggere o da non leggere. Erano tutte cose che si decidevano altrove, lontano.
- Quello che ho imparato dopo, lasciando Palermo, e ahimè era necessario forse lasciare Palermo per impararlo, è che qualunque cultura si distribuisca in un'ampia area geografica ha un centro e una periferia, anzi un centro e più periferie. Ecco, quello che io ragazzo ventenne a Palermo non potevo lucidamente capire era che io mi trovavo all'interno di una periferia colta, di una periferia direi molto colta.
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