François Furet

storico francese (1927-1997)

François Furet (1927 – 1997), storico francese.

Il passato di un'illusione

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Per capire la forza delle mitologie politiche che hanno riempito di sé il XX secolo, bisogna risalire al momento in cui sono nate o quantomeno cresciute; è il solo modo che resta per cogliere parte della risonanza che hanno avuto. Il fascismo, prima di venir disonorato dai propri crimini, è stato una speranza. Ha sedotto non solo milioni di uomini, ma anche molti intellettuali. Quanto al comunismo, siamo ancora vicini alla sua stagione migliore, visto che che come mito politico e come idea sociale è a lungo sopravvissuto ai propri crimini e misfatti, soprattutto in quei paesi europei che non ne subivano direttamente l'oppressione: morto dalla metà degli anni Cinquanta fra i popoli dell'Europa dell'Est, vent'anni dopo è ancora vivo e vegeto in Italia o in Francia, nel contesto politico e intellettuale. È una sopravvivenza che dà la misura del suo radicamento e della capacità di resistere all'esperienza, fornendo quasi un'eco di quello che fu il suo periodo migliore, all'epoca degli anni vincenti.

Citazioni

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  • Che cosa c'è di tanto affascinante nella rivoluzione? L'affermazione della volontà nella storia, l'invenzione dell'uomo da parte di se stesso, simbolo dell'autonomia dell'individuo democratico. Gli eroi di questa riappropriazione di sé, dopo tanti secoli di dipendenza, erano stati i francesi della fine del Settecento, ora li sostituiscono i bolscevichi. È una successione imprevista, insolita non solo per la nuova dignità d'una nazione rimasta sempre ai margini della civiltà europea, ma anche perché Lenin fa la Rivoluzione d'ottobre in nome di Marx, nel paese meno capitalista tra quelli d'Europa. (cap. III, pp. 76-77)
  • Per capire come si articola il leninismo rispetto alla tradizione rivoluzionaria francese, si può partire dal trattamento della Rivoluzione francese da parte dei bolscevichi. Costoro, in sostanza, ne selezionano le fasi che secondo loro prefigurano l'Ottobre, senza porre fine alla critica delle illusioni universalistiche, inseparabili dalla natura «borghese» del 1789. La preferenza va all'episodio «giacobino» – nel senso ampio del termine – che copre la dittatura di salute pubblica nel 1793 e nel 1794. È non solo il momento meno liberale della rivoluzione, ma anche quello più volontaristico. (cap. III, p. 77)
  • [Willi Münzenberg] Sino al 1937 è stato un fedele esecutore, come un qualsiasi altro militante del vasto gesuitismo burocratico di Mosca. Ma la storia gli ha assegnato un ruolo su misura; all'epoca della svolta antifascista è stato quasi un ministro clandestino della propaganda del Comintern nel mondo e prima di tutto in Europa occidentale: una funzione adatta al suo modernissimo talento per la pubblicità politica e la manipolazione di immagini e parole. (cap. VII, p. 247)
  • Bolscevico d'intensa fede rivoluzionaria, Münzenberg più che un teorico è un uomo dell'agit-prop[1]. Non ha il gusto dei dibattiti e delle mozioni in cui s'affrontano i dirigenti del partito e perciò è lontano dalle battaglie d'apparato, diverso dagli altri, in quanto estroverso, interamente rivolto al proselitismo e alla propaganda. Se fosse stato americano avrebbe fatto carriera alla Hearst. Essendo tedesco, proletario, militante rivoluzionario, serve la causa bolscevica con lo stesso talento che nel mondo borghese l'avrebbe reso ricco e influente. (cap. VII, pp. 247-248)
  • [Willi Münzenberg] Vagamente sospetto agli apparatčiki[2] di Mosca, detestato soprattutto dal gruppo tedesco (composto dai futuri capi della Germania dell'Est), visse solo pochi anni felici a Parigi, tra il 1934 e il 1937, al tempo del Fronte popolare. Convocato a Mosca nel 1937, nel periodo buio del grande terrore, si mostrò esitante, cadde malato e alla fine restò in Francia, contentandosi di scrivere una lettera a Stalin. Nel 1939 era ormai senza patria: la Germania e l'Unione Sovietica volevano la sua testa. I francesi lo internarono in un campo come tedesco. Nel giugno 1940, quando evase per sfuggire a Hitler, si ha ragione di credere, sebbene non esistano prove, che venne assassinato da un agente della GPU[3]. (cap. VII, pp. 248-249)
  • Pochi sono i conflitti che nella storia siano stati accompagnati da un tale senso della fatalità come la così detta guerra fredda. Dalle due parti, i dirigenti non solo l'accettano, ma ne fanno una filosofia. Stalin non deve cercare molto nel suo campionario d'idee per condannare l'imperialismo, che ha negli Stati Uniti la sua figura di punta. Quanto a Truman, fornisce alla lotta contro il comunismo addirittura una «dottrina»: segno che persino il suo talento politico tutto operativo s'adatta alle esigenze della situazione e allo spirito dei tempi. I popoli europei, che escono da una lunga guerra ideologica, non hanno difficoltà a accettare la giustificazione d'una nuova guerra ideologica, che segue le tracce della precedente, di cui ognuno dei due campi si considera il fedele erede. (cap. XI, p. 447)
  1. Da "agitazione e propaganda", in riferimento al Dipartimento per l'agitazione e la propaganda del Partito comunista dell'Unione Sovietica.
  2. Termine colloquiale russo per indicare un funzionario del Partito comunista o del governo dell'Unione Sovietica.
  3. Acronimo di Gosudarstvennoe političeskoe upravlenie (Direttorato politico dello Stato), polizia segreta del regime sovietico.

Bibliografia

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  • François Furet, Il passato di un'illusione. L'idea comunista nel XX secolo (Le passé d'une illusion), a cura di Marina Valensise, Edizione CDE su licenza di Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1995.

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