Ettore Pais

storico italiano (1856-1939)

Ettore Pais (1856 – 1939), storico italiano.

Ettore Pais

Italia antica

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  • I moderni hanno più volte cercato di rintracciare la primitiva estensione dei Liguri e le ricerche più accurate fatte nell'età nostra hanno confermata l'opinione che il gruppo dei popoli noto genericamente con il nome di Ligures occupò le spiaggie del Mediterraneo, dall'Arno sino alla Provenza, anzi sino alle coste di Gibilterra. Genti liguri abitarono grandissima parte delle Gallie e delle isole britanniche. Liguri infine furono gli abitatori della catena delle Alpi. Li troviamo non solo nelle Alpi Marittime, che sono ancora da essi occupate, ma nelle Cottiae, nella valle dei Salassi e dei Leponti, sino alle regioni orientali limitrofe alla Carnia ed al Norico. (vol. I, cap. I, pp. 38-39)
  • [...] tradizioni letterarie conservateci da Dionisio, da Verrio Flacco, da Dionisio di Alicarnasso (che fanno capo a scrittori del V e del IV secolo, ad es. a Filisto di Siracusa) affermano che i Liguri erano stati i più vetusti abitatori del Lazio. Codesta tradizione considerava anzi come Ligure la gente dei Siculi, che dal Lazio e dal paese dei Bretti (la moderna Calabria) era passata dai tempi più vetusti nella Sicilia.
    Orbene, tali dichiarazioni trovano piena conferma nella toponomastica antica e odierna. (vol. I, cap. I, pp. 39-40)
  • Constatiamo la presenza degli Umbri nelle sponde della Maremma dove scorre l'Umbro (oggi Ombrone, nome che ricompare nel Piano di Pistoia) ed ivi era pure il tractus Umbriae. Gli Umbri occupavano inoltre la Campania. Ancora nel IV secolo essi si distendevano poi sulle spiagge adriatiche, dal confine delle terre dei Sanniti all'estuario del Po, ove Ravenna e Butrio passavano per loro città.
    In tempi molto più vetusti gli Umbri avevano occupato regioni molto più a settentrione e ad oriente. Sempre da Erodoto, siamo informati dei fiumi Carpis ed Alpis, posti al di sopra dei paese degli Umbri affluenti dell'Istro. Da ciò forse si ricava che gli Umbri giungevano sino alle Alpi ed alla regione limitrofa ai Carpazi. (vol. I, cap. I, pp. 50-51)
  • Liguri ed Umbri sono i più vetusti popoli d'Italia sopraffatti poi da più recenti invasori. Ad oriente i Liguri vennero scacciati dalla valle Padana per opera degli Etruschi, i quali furono poi in parte soggiogati, in parte scacciati dai Galli spadroneggianti intorno alla catena delle Alpi. Davanti al comune pericolo determinato dalle guerre con i Romani, Liguri e Galli fecero poi causa comune. (vol. I, cap. I, pp. 51-52)
  • Gli Umbri [...] furono respinti dalle terre dell'ampia zona da essi occupata da varie e diverse invasioni e conquiste. Cacciati da tempo che non è più modo di fissare cronologicamente, dai Veneti e dagli Iapigi giunti dall'Illirico, essi furono di nuovo respinti dalla pianura Padana dal sopravvenire degli Etruschi che avevano valicato l'Apennino e conquistata la citta cui dettero il nome di Felsina[1]. La grande, invasione Gallica finì poi per limitare ancora il territorio umbro e per assoggettare una parte di questa gente numerosa. (vol. I, cap. I, p. 52)

Storia critica di Roma durante i primi cinque secoli

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Il quesito, che primo e spontaneo sorge nella mente di chi si accinga a narrare le vicende di un popolo, è domandarsi quale sia l'origine ed il valore delle notizie, da cui trarrà il materiale del suo racconto. E tale domanda, così naturale rispetto alla storia di qualsiasi nazione, si affaccia con maggiore insistenza a chi imprenda ad esporre le gesta più vetuste del popolo romano.
Poche storie nazionali rispetto al periodo delle origini porgono infatti tanta abbondanza di particolari più o meno credibili; pochi argomenti sono stati oggetto di critiche così appassionate e vivaci. Critiche e discussioni generate dagli stessi dubbi degli antichi, che, rinnovate col Rinascimento per virtù dello stesso ingegno italiano, hanno trovato man mano ampia ripercussione fra i dotti di tutte le nazioni civili. Né l'eco di tali discussioni può dirsi affievolita e tanto meno spenta. La più lieve scoperta di un sasso o di un rudere basta anche oggi per rinnovarle. Ciò ben si comprende, poiché il problema delle origini romane è strettamente connesso con quello della nazionalità italiana, anzi della civiltà dei popoli di Occidente.

Citazioni

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Volume I

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Parte prima
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  • Il contenuto dell'annalistica romana, […], pullula di falsificazioni di ogni genere, non solo per la più vetusta ma anche per l'età più recente, sia che si parli di re oppure della morte di Marcello rivale di Annibale e del processo degli Scipioni. La facilità e la spudoratezza colla quale l'annalistica romana ha creato una serie così ampia di falsificazioni, anche per età relativamente tarde e meglio controllabili, ci consiglia ad essere cauti ove ci parla di antichissimi documenti. (vol. I, parte prima, libro primo, cap. 1, pp. 11-12)
Parte seconda
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  • Al regno pacifico di Numa, che con pii sacrifìci aveva saputo tenere lontani i nemici da Roma, succede, dopo un nuovo interregno, un re bellicoso: Tullo Ostilio, che richiama in onore le arti della guerra. Nipote di Osto Ostilio di Medullia, ossia del compagno di Romolo, il terzo re romano beneficò tosto la plebe con il terreno che Romolo aveva conquistato sui nemici e che Numa aveva tenuto per sé: notizia che sta in contraddizione con quanto già riferimmo a proposito di un simile atto da parte di codesto pio principe. (vol. I, parte seconda, libro terzo, cap. I, pp. 394-395)
  • Anche ad Ostilio gli scrittori romani, attribuivano istituzioni e culti religiosi. Durante la guerra contro i Fidenati, oppure in quelle contro i Sabini, votò il culto a Saturno, il tempio alla Paura ed al Timore e creò i dodici Sali, che per distinguerli da quelli di Numa si chiamarono Collini, Agonali o Quirinali. E non mancavano scrittori che a lui attribuissero l'istituzione dei Feciali[2], che generalmente sono assegnati a Numa. (vol. I, parte seconda, libro terzo, cap. I, p. 394-395)
  • Sulla morte di questo re [Tullo Ostilio], non meno che su quella di Romolo, erano discordi le opinioni degli scrittori. La versione, che fosse venuto meno per malattia, venne sostituita da quella secondo cui sarebbe stato fulminato con tutti i suoi da Giove Elicio, da lui negletto e poi malamente consultato. Altri invece raccontava che Anco Marcio, il nepote e successore di Numa, avesse colto l'occasione in cui il re doveva fare un sacrificio; una fitta procella mista a nebbia avrebbe concesso a lui ed ai congiurati di entrare non visto, nella reggia e di uccidere il re ed i suoi figli. (vol. I, parte seconda, libro terzo, cap. I, p. 398)
  • Dopo un nuovo interregno, su proposta dei senatori, venne eletto Anco Marcio, nipote di Numa da parte di figlia, un principe per natura propenso a seguire le orme dell'avo, ma che gli eventi resero invece più simile al valoroso Romolo.
    Primo atto di Marcio fu il far pubblicare dai pontefici i commentari scritti dal pio Numa. Ben presto i Prisci Latini lo distolsero da occupazioni di questo genere, ma la tradizione letteraria con minor copia di particolari di quelli che usa ove discorre degli altri re, parla delle sue gesta militari. Distratto da queste, cercò nondimeno di far la guerra secondo i principi del giusto e dell'equo e perciò dagli Equicoli[3] apprese il diritto feciale[2]. (vol. I, parte seconda, libro terzo, cap. I, pp. 398-399)
  • Ad Anco si attribuiva [...] la "fossa Quiritium", che fortificava le parti nuovamente aggiunte alla città; il Gianicolo fu da lui congiunto per ragion di sicurezza mediante il ponte Sublicio. Ed in fine fra le gesta di questo re, che avrebbe regnato ventiquattro anni, si enumerava la costruzione del carcere, l'ampliamento del culto di Giove Feretrio, la fondazione della colonia e del porto di Ostia. (vol. I, parte seconda, libro terzo, cap. I, pp. 399-400)
  • Salito sul trono, a somiglianza di quanto aveva già fatto Tarquinio, anch'egli intruso, forestiero, e non cittadino romano dalla nascita, Servio si guadagnò i plebei con elargizioni di denaro, pagando debiti ai poveri, assegnando ad essi le terre pubbliche, che erano abusivamente possedute da altri, regolando le leggi sui contratti. Quindi ideò e mise in opera la grande costituzione timocratica, che è appunto nota sotto il nome di questo re.
    Secondo tale costituzione i cittadini erano divisi per centurie e per classi ed armati a seconda del censo e della classe. (vol. I, parte seconda, libro terzo, cap. I, pp. 405-406)
  • Intorno a Tarpeia correvano poi le tradizioni più disparate. Alcuni la facevano romana, altri sabina e persino figlia di Tito Tazio. Mentre da un lato si asseriva avesse tradito la patria per amore delle auree armille, dall'altro da età assai antica si credeva ciò avesse fatto per amore di Tito Tazio, che alcuni invece di vecchio fingevano giovine, atto a suscitare sentimenti di amore. Altri invece, come l'annalista Pisone, dipingevano Tarpeia come una buona vergine; e secondo diverse narrazioni non avrebbe vissuto in età così vetusta. Essa era la buona vestale Tarquinia che nei primi tempi della repubblica aveva beneficato il popolo romano con dono di terre. In fondo essa era la vestale Tarquinia del tempo di Numa. […]. In realtà Tarpeia, ovvero Tarquinia, non era altro che la benefica divinità protettrice del monte Tarpeio; e poiché dalla rocca omonima si solevano precipitare i colpevoli, la buona Vestale venne poi trasformata in un personaggio di indole malefica. (vol. I, parte seconda, libro terzo, cap. II, pp. 430-431)
  • La leggenda degli Orazî e dei Curiazî è uno dei tanti esempi, i quali provano che i fondatori delle famiglie romane sono personaggi puramente mitologici, e che a supposte personalità storiche ed ai mitici capostipiti di alcune famiglie vennero attribuite le gesta degli dei che esse adoravano. (vol. I, parte seconda, libro terzo, cap. IV, p. 460)

Volume II

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  • La vicinanza del nemico porge esca a nuove discordie interne. Il senato [di Roma] è obbligato di mandare umili oratori di pace all'esule [Coriolano], che fieramente la concede a patto che i Volsci riabbiano le terre perdute. Coriolano conquista intanto altre città, fra esse Corbione, Vitellia, Labico, Pedo, e ritornato daccapo presso le mura della patria, ode inflessibile le vane preghiere dei sacerdoti. Allora Veturia sua madre e la moglie Volumnia, tenendo a mano i due figli, lasciati dall'esule a Roma, per ispirazione propria o per consiglio di Valeria, la sorella del Poblicola, come dicevano gli storici di cotesta famiglia, seguite da altre matrone, decidono di andare esse stesse nel campo nemico, e di muovere a pietà il duro animo di Coriolano. Il pianto delle donne, ma sopratutto la vista della madre e le nobili parole di costei, che sdegnosa si sottrae all'amplesso del figlio, piegano finalmente il fiero esule, che dà ordine ai suoi compagni d'arme di abbandonare il territorio romano.
    Anche Coriolano ritornò fra i Volsci ed il più antico narratore romano delle patrie gesta, diceva che fra costoro sarebbe invecchiato e che l'avrebbero anzi udito lamentarsi dell'esilio, resogli più grave dalla vecchiezza. Le versioni più recenti raccontavano invece in modo teatrale la miseranda fine di lui, spento per opera degli alleati traditi. (vol. II, libro quarto, cap. II, pp. 26-28)
  • Le notizie che ci sono pervenute intorno ad Orazio Coclite ci mettono in grado di comprendere il carattere sacrale di questa figura.
    È certo ed indiscutibile che il nome di Coclite risponde a quello di Ciclope: sappiamo che Ennio, il quale certo narrava anche tale storia, chiamava "Cocliti" i Ciclopi. Questo appellativo era sorto, secondo alcuni, dall'aver Orazio perduto un occhio in guerra; secondo altri grazie alla particolare formazione delle ciglia di lui. Inoltre si affermava che essendo stato ferito nell'atto di passare il Tevere, era diventato zoppo, e che tale difetto era notato nella statua che ne presentava le sembianze. Codesta statua, secondo un racconto reputato degno di esser registrato negli Annali Massimi, era nel Comizio; essendo stata colpita dal fulmine venne collocata nel Volcanale[4], ove potesse essere illuminata dal sole. (vol. II, libro quarto, cap. VIII, pp. 101-102)
  • [...] poiché alla Fede si sacrificava tenendo involta la mano destra, siamo spinti a domandarci se per caso non vi siano ulteriori punti di contatto fra il leggendario Mucio Scevola ed il culto della Fede romana. Il cognome "Scaevola", si soleva spiegare dal sacrificio del braccio destro, così come quello di Ahala dei Servilî si interpretava dal pugnale tenuto sotto l'ascella. Ignoriamo la vera origine di codesto cognome Scevola. Non va però taciuto che la mano stesa sull'ara suggerisce l'ipotesi che la leggenda di Muzio in origine fosse stata piuttosto concepita come uno di quei giudizi di dio, ossia di quelle "ordalie", che sono ricordate nell'antichità non meno che nel medio evo. (vol. II, libro quarto, cap. VIII, p. 118)

Volume III

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  • Le tradizioni sull'invasione Gallica e sull'assedio del Campidoglio, sebbene si riferiscano a fatti nella sostanza autentici, mostrano come siano state profondamente alterate anche le vicende relative a quell'età del tutto storica che gli stessi Romani solevano contrapporre al pericolo anteriore per il quale i documenti erano ormai periti.
    Non v'è infatti particolare che non sia contraddetto da altre versioni e che non porga occasione a gravi dubbi. (vol. III, libro quinto, cap. III, p. 35)
  • Fra gli episodi relativi all' assedio del Campidoglio il più notevole è quello di M. Manlio detto "Capitolino" per aver appunto salvato il colle dai Galli. Non v'è ragione di dubitare nella sostanza della realtà storica del fatto. Ma non è nemmeno il caso di trascurare l'esame di alcuni particolari i quali mostrano, che, sebbene nella sostanza autentico, venne narrato in vario modo e che le diverse stratificazioni annalistiche lo trasformarono aggiungendovi tratti e caratteristiche proprie di altri gentili della stessa stirpe.
    [...]
    Secondo la tradizione canonica, Manlio avrebbe respinto il Gallo che si arrampicava su per la rocca del Campidoglio; ma ciò è contraddetto dall'antica versione secondo cui i Galli tentarono impadronirsi del colle per mezzo di cunicoli. M. Manlio avrebbe avuto il cognome "Capitolino" dall'aver salvato il Campidoglio, ed i membri della gens Manlia, dopo la condanna del nostro eroe, si sarebbero astenuti dal valersi oltre del prenome Marco. Ma pur rinunziando a valerci delle conseguenze a cui conduce la storia dei cognomi romani, che solo in età posteriore cominciano ad essere registrati, è a notare che ove fosse vero che il cognome "Capitolino" fu per la prima volta assunto dal difensore del Campidoglio, ci attenderemo anche rispetto al cognome, una decisione simile a quella presa sul prenome.
    Tale cognome invece continua a distinguere i Manlii. (vol. III, libro quinto, cap. IV, pp. 59-60)

Volume IV

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  • Nella regione posta a sud dell'Aesis (l'Esino) e di Ancona si estese la tribù Sabellica[5], che dal nome del sacro uccello[6] di cui seguiva gli auspici si intitolò dei Piceni. Essa, secondo ogni verisomiglianza, cacciò da codesta regione la gente degli Umbri che gli Etruschi avevano di già respinto a settentrione e ad oriente del corso del Tevere. (vol. IV, libro decimo, cap. I, p. 247)
  • Fra tutti i popoli dell'Italia centrale, i Piceni paiono aver opposto [a Roma] più vigorosa resistenza. Anche dopo le vittorie di Curio Dentato e di Fabricio, per cui Pirro fu obbligato ad abbandonare l'Italia, i Piceni si impegnarono in una guerra pericolosa, vinta nel 268 dai consoli P. Sempronio Sophus e Appio Claudio Crasso che ne menarono trionfo. Durante la guerra di Annibale alcuni fra i Piceni presero le armi contro i Romani, che li punirono trasportandoli in massa in una regione limitrofa a Salerno. Date queste disposizioni d'animo, si intende come ad Ascoli sia scoppiato il primo moto insurrezionale che condusse appunto al bellum Sociale. (vol. IV, libro decimo, cap. III, p. 291)
  1. Fèlsina, principale città etrusca dell'Etruria padana, corrisponde all'odierna Bologna.
  2. a b Feziali (Fetiales o Feciales), collegio sacerdotale dell'antica Roma; diritto feciale (ius fetiale), diritto relativo ai trattati di alleanza e alle dichiarazioni di guerra.
  3. Ramo degli Equi, antico popolo italico.
  4. Antichissimo santuario dedicato al dio Vulcano collocato nel Foro Romano.
  5. Sabelli-Sabellici termine usato per riferirsi all'antico popolo italico dei Sanniti.
  6. Il picchio verde (picus viridis).

Bibliografia

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