Gilles Deleuze

filosofo francese
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Gilles Deleuze (1925 – 1995), filosofo francese.

Per approfondire, vedi: L'Anti-Edipo.

Citazioni di Gilles Deleuze

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  • Ad ogni tipo di società [...] si può far cor­ri­spon­dere un tipo di mac­china: le mac­chine sem­plici o dina­mi­che per le società di sovra­nità, le mac­chine ener­ge­ti­che per quelle disci­pli­nari, le ciber­ne­ti­che e i com­pu­ter per le società di con­trollo. Ma le mac­chine non spie­gano nulla, si devono invece ana­liz­zare i con­ca­te­na­menti col­let­tivi di cui le mac­chine non sono che un aspetto. (da un'intervista del 1990 con Antonio Negri[1])
  • [...] al contrario il presente dell'attore è il più istantaneo, il più stretto. L'attore rappresenta, ma ciò che egli rappresenta è sempre ancora futuro e già passato, mentre la sua rappresentazione è impassibile e si divide, si sdoppia, senza rompersi, senza agire, né patire. Il paradosso del commediante allora si fonda sull'istante in cui deve contemporaneamente anticipare, ritardare, sperare e ricordare. (da Logica del senso, p. 134)
  • [Ciò] che implica tristezza, esprime un tiranno. (da Spinoza e il problema dell'espressione)
  • [Su Spinoza e l'Ethica] Esistono senza dubbio passioni tristi che hanno un'utilità sociale, ad esempio la paura, la speranza, l'umiltà, il pentimento, ma solo quando gli uomini non vivono sotto la guida della ragione. Rimane comunque il fatto che ogni passione, dal momento che implica tristezza, è cattiva in quanto tale: anche la speranza e la sicurezza. Lo Stato è tanto più perfetto quanto più poggia su affetti di gioia: l'amore della libertà deve prendere il sopravvento sulla speranza, la paura e la sicurezza. L'unico dettame della ragione [...] consiste nel concatenare il maggior numero di gioie passive col maggior numero di gioie attive. Infatti, la gioia è un'affezione passiva che aumenta la nostra potenza di agire, e solo la gioia può essere un'affezione attiva. [...] Il sentimento della gioia è il sentimento propriamente etico. (da Spinoza e il problema dell'espressione, p. 213)
  • In ogni istinto, la verità ha preso la forma di un'illusione per agire sulla volontà. È, in effetti, un'illusione voluttuosa che abusa dell'uomo, facendogli credere che troverà tra le braccia di una donna, la cui bellezza lo seduce, una gioia più grande che non tra quelle di un'altra [...]. Così egli immagina di compiere tutti questi sforzi e tutti questi sacrifici per la sua gioia personale, ed è soltanto per la conservazione della tipologia della specie in tutta la sua purezza, o per la procreazione di un'individualità ben determinata che non può nascere se non da questi genitori [...]. La soddisfazione del suo desiderio è a profitto della sola specie, ha lavorato con dedizione a un fine che non era affatto suo. (da Istinti e istituzioni, p. 62)
  • In tutta la sua opera Spinoza non cessa di denunciare tre generi di personaggi: l'uomo dalle passioni tristi; l'uomo che sfrutta queste passioni tristi, che ha bisogno di esse per stabilire il suo potere; infine, l'uomo che si rattrista per la condizione umana e per le passioni dell'uomo in generale. (da Spinoza. Filosofia pratica, p. 36)
  • L'attore non è come un dio, ma piuttosto un contro-dio. Dio e l'attore si contrappongono per la lettura del tempo. Ciò che gli uomini colgono come passato e futuro, il dio lo vive nel suo eterno presente. (da Logica del senso, p. 134)
  • [Su Nosferatu il vampiro] L'ombra di Nosferatu presenta allo stato più puro l'effetto della minaccia. L'ombra si prolunga all'infinito. (da L'immagine-movimento. Cinema 1, Milano, 1984, p. 135)
  • Spinoza: è il filosofo assoluto, e l' Etica è il grande libro del concetto. Ma nello stesso tempo il più puro dei filosofi è quello che si rivolge rigorosamente a tutti: chiunque può leggere l' Etica, purché si lasci sufficientemente trasportare dal suo vento, dal suo fuoco. (da Pourparler, p. 186)
  • Spinoza si distingue nettamente da tutti i filosofi di cui si occupa la storia della filosofia: è senza uguali il modo in cui fa tremare il cuore a quelli che si avventurano nei suoi testi. (da Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, p. 41)
  • Qualcuno ci ha chiesto se avessimo mai visto uno schizofrenico; no, no, non l'abbiamo mai visto. (da "L'Anti Edipo", scritto con Félix Guattari)
  • Carmelo Bene ha una profonda avversione per le formule dette d'avanguardia. Si tratta invece di un'operazione più precisa: si comincia col sottrarre, col detrarre tutto quanto costituisce elemento di potere, nella lingua nei gesti, nella rappresentazione e nel rappresentato. [...] Si detrae dunque o si amputa la Storia e il marchio temporale del potere. Si toglie la struttura perché è il marchio sincronico, l'insieme dei rapporti tra invarianti. Si tolgono le costanti, gli elementi stabili o stabilizzati perché appartengono all'uso maggiore. Si amputa il testo, perché il testo è come il dominio della lingua sulla parola, e testimonia ancora un'invarianza o un'omogeneità. Si sopprime il dialogo, perché il dialogo trasmette alla parola gli elementi del potere, e li fa circolare. [2]
  • È curioso che si dica di Bene: è un grande attore, complimento misto a rimprovero, accusa di narcisismo. L'orgoglio di Bene sta più nel far scattare un processo di cui egli è il controllore, il meccanico o l'operatore (egli stesso dice: il protagonista) piuttosto che l'attore. Partorire un mostro o un gigante... (da Sovrapposizioni, 1978)
  • Essere uno straniero, ma nella propria lingua... Balbettare, ma essendo balbuziente nel linguaggio stesso, e non soltanto nella parola... Bene aggiunge. parlare a se stesso, e non soltanto nella parola, ma in pieno mercato, sulla piazza pubblica... [...] Balbettare, in genere, è un disturbo della parola. Ma far balbettare il linguaggio è un'altra cosa. Significa imporre alla lingua, a tutti gli elementi interni della lingua, fonologici sintattici, semantici, il lavorio della variazione continua [...] ... essere straniero nella propria lingua... Ciò non vuol dire parlare come un irlandese o un rumeno parlano francese. [...] È imporre alla lingua, in quanto la si parla perfettamente e sobriamente, quella linea di variazione che farà di ognuno di noi uno straniero nella sua propria lingua, o della lingua straniera, la nostra, o della nostra lingua, un bilinguismo immanente per la nostra estraneità. [3]
  • Le opere di Bene sono brevi, nessuno sa finire meglio di lui. Egli detesta ogni principio di costanza o di eternità. di permanenza del testo: "lo spettacolo comincia e finisce nel momento in cui lo si fa". E così, esse finiscono con la costituzione di un personaggio, non hanno altro oggetto che il processo di tale costituzione, e non vanno oltre. Finiscono con la nascita mentre in genere si finisce con la morte. [4]
  • Non si tratta di un anti-teatro, di un teatro nel teatro, o che neghi il teatro... ecc.: Carmelo Bene ha una profonda avversione per le formule dette d'avanguardia. Si tratta invece di un'operazione più precisa: si comincia col sottrarre, col detrarre tutto quanto costituisce elemento di potere, nella lingua e nei gesti, nella rappresentazione e nel rappresentato. E non si può nemmeno dire che sia un'operazione negativa in quanto dà inizio e mette già in moto tanti processi positivi. Si detrae dunque o si amputa la storia, perché la Storia è il marchio temporale del Potere. Si toglie la struttura perché è il marchio sincronico, l'insieme dei rapporti tra invarianti. Si tolgono le costanti, gli elementi stabili o stabilzzanti perché appartengono all'uso maggiore. Si amputa il testo. Si amputa il testo, perché il testo è come il dominio della lingua sulla parola, e testimonia ancora un'invarianza o un'omogeneità. Si sopprime il dialogo, perché il dialogo trasmette alla parola gli elementi del potere, e li fa circolare [...] Ma cosa resta? Resta tutto, ma in una nuova luce, con nuovi suoni, con nuovi gesti. (da Sovrapposizioni, 1978)
  • Tutte le dichiarazioni d'orgoglio di Carmelo Bene sono fatte per esprimere qualcosa di molto umile. E anzitutto che il teatro, anche quello che sogna, è poca cosa. Che evidentemente il teatro non cambia il mondo e non fa la rivoluzione. Carmelo Bene non crede all'"avanguardia". E tanto meno crede a un teatro popolare, a un teatro per tutti, a una comunicazione dell'uomo di teatro e del popolo. [5]
  1. Citato in Andrea Fumagalli, Il diagramma di flusso della libertà, in il manifesto dell'11/11/2014.
  2. Citato in Carmelo Bene, Il teatro e la sua lingua; in Opere, con l'Autografia d'un ritratto, Milano, Bompiani, 2002, p. 1440.
  3. Citato in Carmelo Bene, Il teatro e la sua lingua; in Opere, con l'Autografia d'un ritratto, Milano, Bompiani, 2002, pp. 1442-1443.
  4. Citato in Carmelo Bene, Il teatro e la sua critica; in Opere, con l'Autografia d'un ritratto, Milano, Bompiani, 2002, p. 1433.
  5. Citato in Carmelo Bene, Il teatro e la sua politica; in Opere, con l'Autografia d'un ritratto, Milano, Bompiani, 2002, p. 1450.

Bibliografia

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  • Gilles Deleuze, Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza (De quoi une corps est-il capable? Cours sur Spinoza,1980), traduzione di A. Pardi, Ombre Corte, Verona, 2007.
  • Gilles Deleuze, Istinti e istituzioni (Instincts et institutiones, 1955), a cura di Ubaldo Fadini e Katia Rossi, Milano, 2002. ISBN 88-8483-099-0
  • Gilles Deleuze, Logica del senso, traduzione di M. De Stefanis, Feltrinelli, 2005. ISBN 8807818663
  • Gilles Deleuze, Pouparler (Pourparlers, 1990), traduzione di S. Verdicchio, Quodlibet, Macerata, 2000.
  • Deleuze-Bene, Sovrapposizioni, traduzione di J. Paul Manganaro, Milano, 1978.
  • Gilles Deleuze, Spinoza e il problema dell'espressione (Spinoza et le problème de l'expression, 1978), traduzione di S. Ansaldi, Quodlibet, Macerata, 1999.
  • Gilles Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica (Spinoza. Philosophie pratique, 1981), traduzione di M. Senaldi, Guerini e Associati, Milano, 1991.
  • Gilles Deleuze – Felix Guattari, L'Anti-Edipo, ("L'Anti-Œdipe", 1972) traduzione di A. Fontana, Einaudi, Milano, 1975.

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