Catia Bastioli

chimica e dirigente d'azienda italiana

Catia Bastioli (1957 – vivente), chimica e dirigente d'azienda italiana.

Catia Bastioli nel 2011

«Il deserto avanza, rigenerare il suolo per vivere»

Intervista di Emanuele Bompan, repubblica.it, 21 aprile 2021.

  • [Perché il tema del suolo è così centrale?] I fenomeni degradativi – collegati al cambiamento climatico – si stanno evolvendo ad un ritmo estremamente elevato a causa della pressione antropica e della nostra incapacità di capire la complessità e l'interdipendenza dei fenomeni naturali. Il tema del suolo è molto urgente dato che è una risorsa non rinnovabile – per produrne dieci centimetri servono duemila anni, mentre per distruggerlo bastano pochissimi minuti –, estremamente complessa da creare, dato che contiene un'infinità di microrganismi in interazione tra loro, fondamentali per il mantenimento del ciclo dei nutrienti.
  • [I dati sono preoccupanti.] Negli ultimi dieci anni le aree desertiche sono aumentate di 157 mila chilometri quadrati. Come se metà Italia avesse perso suolo fertile. Inoltre la Mission Soil ha ribadito che il 70-75 % dei suoli europei è inquinato, degradato e soggetto a processi di erosione. Quindi è chiaro che se noi continuiamo a non considerare il suolo come un bene comune "malato" che deve essere curato e rigenerato, continuiamo ad indebolire la nostra capacità di generare materie prime come il cibo, andando a danneggiare uno dei principali settori su cui si basa l'economia e la reputazione italiana, ovvero il food made in Italy.
  • [Rigenerare il suolo quindi è davvero necessario per sostenere tantissime imprese di questo settore?] La rigenerazione del suolo è sicuramente una questione ambientale, che sta alla base della qualità della vita, ma è anche una questione di competitività economica e di disponibilità di materie prime. Proprio la disponibilità delle materie prime è un problema che sta emergendo con sempre più gravità: l'essere autonomi per quanto riguarda le risorse reperibili dal territorio sarà anche una strategia di sicurezza nazionale. Noi impieghiamo ancora schemi inaccettabili, come mettere il materiale organico in discarica o avere fanghi talmente sporchi da non poter essere riutilizzati come carbonio organico. Mentre il settore della bioeconomia, che in Italia crea il 10% del PIL, è un settore importantissimo, che produce valore aggiunto. Bisogna capire che il cambio di paradigma porterebbe non solo più posti di lavoro, ma favorirebbe anche progetti di territorio inclusivi e innovazione partecipata, coinvolgendo anche le comunità.
  • [Quali sono secondo lei le innovazioni nella bioeconomia che cambieranno le carte in gioco nei prossimi anni?] Il tema della trasformazione dei rifiuti è uno dei più rivoluzionari: quelli che oggi sono considerati scarti di un territorio in futuro potrebbero diventare risorse, come per esempio la trasformazione in zuccheri delle cellulose di scarto presenti nei fanghi. Poi ci sono le materie prime alternative, materie che possiamo estrarre da terreni marginali: le aree collinari e i declivi, in cui gli agricoltori non riescono a coltivare per problemi inerenti i dissesti idrogeologici, possono essere gestiti seguendo una logica rigenerativa, in cui si progettino filiere integrate con prodotti multipli ad alto valore aggiunto. Infine i siti produttivi, come le bioraffinerie, vanno ripensate: più piccoli, più efficienti e localizzati più vicini alle materie prime, creando prodotti provenienti da una filiera gestita da più attori.

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