Carlo Dell'Omodarme

calciatore italiano

Carlo Dell'Omodarme (1938 – vivente), ex allenatore di calcio ed ex calciatore italiano.

Carlo Dell'Omodarme (1963)

Citazioni di Carlo Dell'Omodarme

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  Citazioni in ordine temporale.

Intervista di Arnaldo Ninfali, estense.com, 23 novembre 2018.

  • Dirigenza? La dirigenza era Mazza: era lui che contava, e nessun altro. Era il capo. Con lui mi sono trovato benissimo. Era un uomo cordiale, democratico, col quale si poteva parlare di tutto, come si fa con un padre di famiglia. Non si è mai comportato male con nessuno, sempre di parola con tutti: un personaggio fantastico. Pensi che, quando nel 1966 tornai a Ferrara, definimmo il contratto solo con una stretta di mano. Poi mi infortunai e non giocai per molto tempo – nella stagione 1967-1968 giocai una sola partita. Ebbene, tenne fede al contratto fino all'ultimo centesimo. Ricordo che mi disse: "Guarda Carlo, ti ho promesso questo e questo ti do". Pensi che uomo era.
  • Deve sapere che io sono stato costretto a giocare ala. A me piaceva il ruolo di centravanti e nel Como ho giocato in quel ruolo fino a quando l'allenatore Lamanna, col quale litigai, proprio per questo motivo, mi disse che non ero adatto a fare la punta. Un giorno mi fa: "Guarda Carlo che tu non sei un centravanti. È vero che controlli bene il pallone, ma non sei alto: per quel ruolo ci vuole del fisico. Tu vai bene all'ala". Io non ne volevo sapere, mi lamentai anche, ma alla fine fui ala per sempre. E mi guadagnai l'appellativo di dribblomane, ma avevo una caratteristica: facevo l'ala tornante, mi inventavo sempre qualcosa per scavalcare l'uomo e poi mi piaceva offrire l'assit che facesse segnare qualche mio compagno. Per me era una soddisfazione come se avessi segnato io.
  • [«Nella stagione '60-'61 lei ha giocato anche con Gigi Meroni, vero?»] Meroni era nei ragazzi. Mi pare avesse cinque anni meno di me, per cui quell'anno lì non abbiamo giocato assieme. Qualche anno dopo, quando entrambi eravamo a Torino, lui in granata e io in bianconero, ci incontravamo spesso e lui mi diceva che ero sempre stato il suo idoletto. Gli piaceva come giocavo e, da ragazzo, cercava di ispirarsi un po' a me.
  • [«[...] è vero che un giorno, contro l'Inter, lei fece ammattire il grande Giacinto Facchetti?»] È vero sì. Avevo una tecnica speciale con Facchetti. Lui era alto, con due gambe lunghe che con un passo faceva due metri, e così era anche veloce. Io, piccoletto com'ero, cosa facevo? Lo puntavo, lo superavo in dribbling e poi davo via subito la palla. Così, se tornava su di me – tenga presente che con tre passi mi era addosso –, la palla non c'era più. Anche con la Juventus ho fatto sempre delle grosse partite contro Facchetti. Con la Juve inoltre, siccome io facevo anche il tornante e Menichelli giocava di punta all'ala sinistra, spesso ci scambiavamo di posto. Così io mi ritrovavo di fronte Burgnich, il quale non si sganciava, come Giacinto, e mi aspettava nella sua area. Così io avevo più spazio e Menichelli impediva a Facchetti di fare quelle sue sgroppate verso la nostra area con cui spesso andava anche in rete.

Intervista di Mirko Di Natale, tuttojuve.com, 27 gennaio 2021.

  • Torino è stata casa mia, la Juve è stata una scuola di vita che mi ha insegnato tanto.
  • [«Sono pochi gli ex calciatori ad essersi disinteressati di questo sport. Che cosa è successo?»] Perché non esiste più quella bellezza di cui mi sono innamorato. C'è più freddezza, non c'è più entusiasmo. Oggi hanno creato dei divi. Una volta il calcio era un mestiere come un altro, un po' più riconosciuto economicamente ma non era un divismo come lo è attualmente. C'è troppa pubblicità, vivono troppo di quello. Alcuni hanno perso i veri valori. Spesso sento la nostalgia del calcio che ho conosciuto, ho conservato i vecchi Hurrà Juventus che ho riletto più volte nel corso della vita. Rivedere certe sfide disputate con Pele, Di Stefano, Kupa è un qualcosa che mi fa emozionare. [...] È tutto completamente differente, c'è una esaltazione generale per delle giocate molto semplici. Una volta dovevi lavorare sodo per essere titolare, oggi con i contratti di tre o quattro anni sei quasi obbligato a scendere in campo. Anche la longevità non era la stessa: ai miei tempi a trent'anni eri già arrivato, ora puoi giocare fino ai quarant'anni ed essere ancora in forma. Vogliamo anche parlare di come si viveva questo sport? Prima era una festa, ora non lo è più.
  • La prima volta che da ragazzino sono andato in sede alla Juventus, che era situata in piazza San Carlo al di sopra del caffè Torino, ho avuto il piacere di incontrare i fondatori del club. Uno di loro, il commendatore Zambelli, si è avvicinato dicendomi che dovevo alzarmi in piedi e salutarlo in maniera più formale. Questo fa capire come era la Juve in quegli anni, prima di tutto veniva l'educazione.
  • [«Per curiosità, che giocatore era Carlo Dell'Omodarme?»] Un giocatore scattante sulle fasce, diciamo un lavoratore del calcio molto modesto. Posso dire di essermi tolto le mie soddisfazioni.

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